venerdì 4 marzo 2016

Abbandono di rifiuti in proprietà altrui. E' una colpa essere proprietari di un terreno? Secondo il decreto Ronchi (art.14) NO.

SOMMARIO:– 1. Premessa; – 2. Cosa capita al proprietario di un’area interessata dall’abbandono di rifiuti; – 3. Cosa si chiede al proprietario dell’area; – 4. I primi dubbi; – 5. Esempi caratteristici; – 6. La tesi da verificare; – 7. Le decisioni del Consiglio di Stato; – 8. Le decisioni dei Tribunali Amministrativi Regionali; – 9. La Suprema Corte di Cassazione; – 10. I “buoni” ed i “cattivi”; – 11. Alcuni aspetti particolari; – 12. Conclusioni.
 
1 – PremessaPrendendo spunto dalla recentissima decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato (di seguito indicato con l’acronimo CdS), 16 novembre 2005, n. 6406, vorremmo evidenziare come, ancora oggi,non sono per niente rare le occasioni in cui un’amministrazione comunale (avviando – quando va bene !! – un procedimento amministrativo) indirizzi direttamente ai proprietari di un’area, in cui “qualcuno” ha scaricato dei rifiuti, un provvedimento che impone loro di provvedere alla rimozione degli stessi (molte volte qualificandola impropriamente come “bonifica”), nonostante che la deprecabile azione sia imputabile ai soliti ignoti. In aggiunta a ciò, molto spesso, viene del tutto omessa o trascurata – da parte dell’Ente locale – la predisposizione di concreti accertamenti volti ad individuare chi sia l’effettivo autore dell’illecito, come se ciò non avesse poi troppa importanza.
Dichiarata preliminarmente l’intenzione di non volersi addentrare nella tematica della bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati1, ci proponiamo di sottolineare come una delle massime ricavate dalla menzionata decisione n. 6406/2005, risulti formulata in maniera tale da lasciar intendere, a primo acchito, che le sopradescritte iniziative – intraprese dalle pubbliche amministrazioni a carico di proprietari di immobili – siano sempre del tutto legittime. D’altronde, vistone il tenore, non si può negare che lo si potrebbe anche pensare: «L’ordinanza con la quale il sindaco impone al proprietario dell’area di bonificarla in relazione a rifiuti speciali tossici e nocivi su essa giacenti, non ha carattere sanzionatorio, nel senso che non è diretta ad individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la responsabilità civile e/o penale della situazione abusiva, ma solo ripristinatorio, per essere rivolta essenzialmente ad ottenere la rimozione dell’attuale stato di pericolo e a prevenire ulteriori danni all’ambiente circostante e alla salute pubblica. Pertanto, detta ordinanza può essere legittimamente indirizzata all’attuale proprietario dell’area, cioè a colui che si trova con quest’ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi ad altro soggetto o al precedente proprietario (v. C.d.S. Sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904 e 2 aprile 2003 n. 1678).»

Il nostro, quindi, vuol essere un modesto contributo semplicemente rivolto a chiarire che – contrariamente a quanto qualcuno possa o voglia pensare – “di regola” non è affatto plausibile “prendere di petto” il proprietario incolpevole – di un terreno interessato da un abbandono di rifiuti – ed invitarlo/incaricarlo/obbligarlo a fare ciò che da questi, viceversa, non potrebbe essere assolutamente preteso.

Con il proposito ed al fine di approfondire il più possibile – nei termini sopra esposti – questa peculiare e fors’anche secondaria fattispecie (che assurge però a ruolo primario per quei soggetti che vi si imbattono), ci vediamo costretti ad evitare la trattazione di quegli aspetti di natura penale che, non si esclude affatto, possano avere una certa rilevanza in casi simili. Rimarremo, appunto per questo, nel solco – deliberatamente prefissatoci – della descrizione e commento di quelle situazioni in cui le condotte, inizialmente descritte, sono state considerate palesemente illegittime, così come di quelle altre che, viceversa, sono risultate ammissibili, in quanto costituenti legittime “eccezioni” alla suddetta regola madre. Naturalmente con l’auspicio di non annebbiare ancor di più le idee del povero lettore, visto che, in tal caso, il tentato rimedio si rivelerebbe peggiore del male che si intendeva debellare.

2 – Cosa capita al proprietario di un’area interessata dall’abbandono di rifiutiPuò capitare (e capita!!) che Tizio, per il solo fatto di esserne proprietario (o titolare di diritti reali o personali di godimento), si veda notificare – da parte dell’amministrazione comunale territorialmente competente – una comunicazione di avvio procedimento amministrativo, ex-art. 8 legge 241/902, avente ad oggetto il riscontrato abbandono di rifiuti in una certa (sua) area. Comunicazione che, contenendo – solitamente – l’invito a rimuoverli prontamente, costringe l’interessato, quantomeno, ad attivarsi3 per partecipare al procedimento. Diciamo subito che questa partecipazione deve considerarsi solo e soltanto un mero onere iniziale: così…tanto per gradire! Poi, ovviamente, ci sarà da affrontare anche tutto il resto del programma (primo, secondo, contorno, formaggi, frutta, dolce e caffè…); che, a dire il vero, costituisce…il bello… della storia!!
Quindi può accadere (ed accade!!) che, per quanto estraneo al fatto4, sia “proprio il proprietario” dell’area ad esser posto nelle condizioni di dover porre rimedio, e trovar soluzione, ad una situazione illecita determinata dalla scellerata condotta di terzi ignoti; tanto che – in caso di un eventuale, e non raro, contenzioso con l’amministrazione comunale procedente – questi ultimi benemeriti sconosciuti potrebbero persino “godere” dell’aggiuntiva soddisfazione di veder sommata la “beffa” al “danno” da loro stessi cagionato. Tutti episodi che chiunque sarebbe in grado di ascrivere nella famosa raccolta rubricata: «Agli zoppi grucciate!» o, che dir si voglia, «Il giusto ne soffre per il peccatore !».

Sappiamo bene che, normalmente, la pubblica amministrazione opera conformandosi scrupolosamente ai basilari principi di ragionevolezza, legalità, imparzialità, autotutela e buona amministrazione. Quando però la “pizzichiamo” a cimentarsi nell’attuazione di pretese così paradossali, sorge spontaneo – ed è anch’esso: ragionevole, legittimo ed imparziale – un grosso dubbio sull’affermazione di cui al lemma precedente. D’altronde, in molti casi5, il tipico e purtroppo ricorrente deposito/abbandono di rifiuti consta di: modeste quantità di macerie edili, vecchi elettrodomestici, pneumatici, bidoni, tubi, ceramica sanitaria, qualche lastra di eternit – a volte – intonsa6, ecc., la cui rimozione, obiettivamente, non costituisce, di per sé, un problema insormontabile. Proprio per questo risulta difficile trovare una plausibile giustificazione al tentativo – operato da parte dell’istituzione che rappresenta la collettività – di coinvolgere direttamente chi non c’entra proprio niente (alias: proprietario incolpevole) con la verificatasi manifestazione di inciviltà. L’inopportunità di una tal condotta, così degna di biasimo, è altresì dimostrata dal fatto che, non di rado e magari in ragione dell’esigua quantità di rifiuti oggetto del contendere, il proprietario dell’area – “forzosamente” invitato a rimuovere l’illecito deposito di materiali di scarto – si faccia prendere dalla tentazione di rispondere favorevolmente all’invito che gli giunge dall’amministrazione comunale. Spinto a far ciò, non tanto da una recondita e spiccata benevolenza o da un innato senso di masochismo, quanto perché il destinatario dell’invito è portato a ritenere (a nostro avviso sbagliando!) che sia “più semplice” farsi carico della rimozione dei rifiuti – e……. chiuderla là! – piuttosto che dover instaurare un lungo ed oneroso contenzioso con l’Ente locale; implicante, come noto, l’andarsi a presentare di fronte ad un giudice, con l’assistenza di un legale e quant’altro, di sgradito, ognuno di noi può facilmente immaginare.
Addirittura, ci sentiamo di affermare che, in molti casi, il problema principale del proprietario incolpevole non è affatto il costo di quella rimozione, bensì l’istintivo rifiuto di rimuovere i rifiuti (ci sia consentito il bisticcio di parole) prodotti da altri maleducati concittadini, accompagnato dal fondato e prevalente timore7 di creare un precedente negativo in capo ed a scapito di se stesso; sapendo bene di avere come unico “torto” quello di essere titolare di un diritto (la proprietà) tutelato dall’art. 42 della Carta Costituzionale.
Vogliamo dire che, se il proprietario incolpevole si attiva pedissequamente una prima volta – asportando quanto “offertogli” notte tempo dai soliti furbi di turno – come potrà, in una successiva (e magari molto più “consistente”) occasione, rifiutarsi di farlo? E’ vero – nessuno lo nega!– che l’accorto e diligente possidente potrà dotare i luoghi – divenuti oggetto dello scarico abusivo (e le relative vie di accesso) – di indicazioni di divieto di scarico, divieto di accesso, divieto di….questo, divieto….di quell’altro; così come è altrettanto vero che questi ed altri idonei8 espedienti dissuasivi hanno un’efficacia meramente astratta. Se poi, riguardo a quest’ultima opinione, non trovassimo l’accondiscendenza di chi legge, reputiamo sia comunque da condividere perlomeno l’assurdità della pretesa che tali escamotage precauzionali vengano estesi ad ogni parte di quella proprietà e, conseguentemente, in ognuna delle proprietà riconducibili a quel certo soggetto. Tenendo ben presente che tutto ciò può valere per ciascuno dei – grandi e piccoli – proprietari immobiliari italiani; i quali, senza alcun’ombra di dubbio, non bramano certo di attivarsi preventivamente per (o di esser chiamati a): cartellonare, recintare, o dotare di accorgimenti dissuasivi, ogni tratto ed ogni angolo dei propri possedimenti, sol per evitare (o tentare inutilmente di farlo!) che a qualcuno, prima o poi, passi per la mente la malsana idea di prenderli di mira per scaricarvici dei rifiuti, a mo’ di omaggio natalizio; che potrebbe avere una certa attinenza con le festività da poco trascorse.

3 – Cosa si chiede al proprietario dell’area Occorre tener presente che solitamente, nella comunicazione di avvio procedimento amministrativo – che il proprietario incolpevole potrebbe vedersi recapitare –, l’Ente locale indica che gli agenti, accertatori del verificatosi misfatto, non sono stati in grado di identificare il vero responsabile dell’abbandono e ricorda, altresì, che l’obbligo di rimozione e smaltimento dei materiali abbandonati incombe solidalmentesul proprietario…al quale tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
Nonostante il peculiare contenuto della significativa precisazione contenuta in quest’ultimo lemma9, capita spesso che sia proprio il padrone di casa – indipendentemente dalla sussistenza a suo carico del necessario elemento soggettivo della colpa – ad essere “invitato” ad attivarsi per la rimozione dei rifiuti giacenti nel proprio cespite immobiliare, oltre che, naturalmente, a ripulire il tutto …con le modalitàpreviste dalla normativa vigente. Ma non basta, in quanto, non raramente, l’invito consiste in un vero e proprio ordine “sotto mentite spoglie”, essendo quasi sempre accompagnato dalla precisazione: «In caso di inottemperanza il Sindaco disporrà con ordinanza le operazioni di cui sopra…»; la quale attribuisce a quella garbatissima esortazione una connotazione “appena appena” coercitiva.

4 – I primi dubbiCi chiediamo, e – tanto per rendere partecipe il lettore – invitiamo a domandarsi, quanto sia logico e ragionevole che, al proprietario10 di un’area divenuta oggetto di uno scarico abusivo di rifiuti, possa essere richiesto tout court di provvedere a rimediare alle altrui scelleratezze; oltre ad esigere, sempre con una certa non-scialans, addirittura il ripristino dei luoghi, perpetuamente e soltanto – su questo non c’è dubbio!– a proprie spese.
Eppure ci “par di ricordare” che gli articoli 7.2 e 21.2, lettera g), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, definiscono e/o «considerano» come “urbani”: i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua. Su tale scorta, quelli in tal modo individuati non sono altro che rifiuti il cui smaltimento costituisce obbligo per il comune ex-art. 21.1 del citato decreto.
Non ci è dato però di poter trattare in maniera esaustiva il concetto di area privata comunque11 soggetta ad uso pubblico. La storia si allungherebbe troppo, visto che dovremmo cominciare col rilevare come già nel testo dell’art. 2, terzo comma punto 3)12, del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, ci si riferiva ad aree private comunque soggette ad uso pubblico, e, di aree private soggette ad uso pubblico, ne trattava il successivo art. 913 dello stesso decreto. Ma non sarebbe sufficiente, perché anche nel vigente decreto Ronchi si parla di aree private comunque soggette ad uso pubblico, agli articoli 7, comma 2 lettera d), e 21, comma 2 lettera g); mentre le aree soggette ad uso pubblico sono menzionate al successivo art. 49, comma 2.
Non potendo fare di meglio, ci limiteremo a farne un breve accenno nel prosieguo, onde risparmiare sia energie che spazio, a tutto vantaggio dell’argomento principale che si intende trattare. Oltretutto, potrebbe risultare imprudente trarre conclusioni premature e fors’anche inutili, dal momento in cui già altri – e più accreditati – autori14 hanno esaustivamente trattato dell’argomento nel suo complesso.

Detto ciò, inizieremo ad analizzare – puntualmente – alcune fra le più significative decisioni giurisprudenziali che, nel passato a noi prossimo, sono intervenute in merito all’argomento de quo. Se non altro, per cercare di ridurre ai minimi termini il possibile dubbio che, in mezzo ad esse, dimorino delle contraddizioni; la cui palesata sussistenza, oltretutto, potrebbe determinare uno smarrimento “di non poco conto” sia fra gli operatori delle pubbliche amministrazioni, sia nei privati, sia in coloro che sono chiamati a giudicare, o fornire assistenza, in contenziosi concernenti la materia in esame.
 

5 – Esempi caratteristici

CdS, Sez. V, 08 marzo 2001 n. 1347
Paradigmatica al riguardo è la sentenza CdS, Sez V, 08 marzo 2001 n. 134715, nella quale è fin troppo facile comprendere la ragione per cui, nel giudizio di primo grado, il T.A.R. lombardo abbia annullato il provvedimento sindacale che poneva obblighi di asporto e smaltimento, a carico di certi soggetti, per il solo fatto di essere i titolari del diritto di proprietà sull’area interessata da un verificatosi abbandono di rifiuti (in quel caso, indipendentemente e/o senza che fosse stato predisposto alcun accertamento circa la loro effettiva responsabilità al riguardo). Infatti, nella motivazione del provvedimento – annullato dal Giudice di prime cure, con sopravvenuta debita conferma in secondo grado – non veniva svolta alcuna considerazione circa le ragioni per cui i proprietari dell’area sarebbero stati tenuti, in quanto tali, a provvedere allo smaltimento dei rifiuti.
Fin qui, pertanto, si tratta di conclusioni piuttosto scontate e quindi non troppo utilizzabili – per carente adattabilità – per approfondire e comprendere meglio quelle situazioni in cui, viceversa, i provvedimenti impugnati non appaiono così palesemente illegittimi.

Per tale ragione, adesso, ci dedicheremo all’esame di altre e più recenti sentenze dello stesso Giudice d’Appello, le quali, sempre trattando l’argomento in esame, hanno determinato impressioni anche “di segno opposto” fra gli operatori del diritto. Il nostro fine è sempre lo stesso: verificare – come annunziato – se effettivamente, fra queste, si celi una qualche recondita contrapposizione, oppure se si possa veramente e finalmente confidare nell’esistenza di un leitmotiv comune a tutti16 gli organi giudicanti; quantomeno – non potendo pretendere che sia unico ed immutato nel tempo – con variazioni secondarie e/o contenute entro limiti ragionevoli.

T.a.r. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 giugno 2005, n. 1041Altro stereotipo può essere individuato nella sentenza T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 22 giugno 2005, n. 1041, con la quale è stato considerato illegittimo l’ordine di provvedere alla rimozione dei rifiuti presenti in un’area, impartito da un comune – in forza dell’art. 14 D.Lgs. 22/97 – direttamente ai proprietari della medesima, con comminatoria, per il caso d’inosservanza, di esecuzione d’ufficio in danno e con rivalsa di spese, fatta salva l’applicazione di sanzioni amministrative e penali….
Anche in questo caso, dall’istruttoria svolta in sede giurisdizionale, è risultato come l’Amministrazione soccombente non si fosse fatta minimamente carico di svolgere gli opportuni e congrui accertamenti volti a verificare la sussistenza di fatti suscettivi di integrare le necessarie fattispecie di responsabilità dolosa o colposa a carico del proprietario dell’area, e di esplicitarne compiutamente le ragioni. Così operando – nonostante gli interessati avessero esposto, in proposito, di aver fatto tutto quanto fosse possibile (segnalazione alle autorità competenti, recinzione del terreno) per impedire l’abbandono di rifiuti su quel terreno – alla proprietà dell’area è stata imputata una sorta di responsabilità oggettiva, notoriamente non prevista dalla legge.
Per ragioni di completezza potremmo altresì citare, con risultato del tutto analogo, anche le altre sentenze: T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 aprile 2005, n. 6348; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 840.

CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153 e n. 154Non sarebbero da meno le vicende riconducibili alle sentenze CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153 (che annulla la sentenza T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 dicembre 2003, n. 888) e CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 154 (che annulla la sentenza T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 gennaio 2004, n. 12), dato che avrebbero astrattamente potuto costituire un ulteriore e valido esempio dell’insana abitudine di rivolgersi per default al proprietario del terreno.
Difatti – per quanto si tratti di sentenze annullate17 – il provvedimento sindacale, sul quale si sono incardinati i due distinti giudizi di primo grado, imponeva il ripristino dello stato dei luoghi (con rimozione del materiale ivi depositato) direttamente al proprietario dell’area, oltre che ad una società incaricata della gestione della servitù – gravante su parte del fondo – per le sistemazioni riguardanti una pista di sci esistente in loco. Nel corso delle istruttorie relative ai due separati ricorsi – presentati, rispettivamente, da quest’ultima società e poi anche dal proprietario del terreno – è stato accertato che nulla, a questi, poteva essere imputato a titolo di dolo o colpa grave18.
Non vale però la pena intrattenersi troppo su questo caso, visto che il Consiglio di Stato – pur se per tutt’altre questioni –, decidendo definitivamente sugli appelli presentati dal comune, li ha accolti annullando le sentenze di primo grado e rinviando le cause al T.A.R. Friuli19, con obbligo che lo stesso provvedesse anche alle spese dei giudizi d’appello.


6 – La tesi da verificare

Forse conviene – anche per tracciare una determinata linea di riferimento ed individuare un alveo in cui far confluire la fiumana di fatti ed atti di cui ci apprestiamo a trattare – dichiarare quale sia la tesi di cui vorremmo verificare la fondatezza. In pratica, essa consiste nel cercare riscontro al fatto che, in caso di abbandono o di deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo20, il proprietario e/o i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area interessata, siano davvero tenuti a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti, oltre che al ripristino dello stato dei luoghi (in solido con l’autore effettivo), solo e soltanto ove tale violazione sia imputabile anche ad essi a titolo di dolo o di colpa. Ergo, acclarare che al proprietario, ecc. ecc., incolpevole non possa mai essere indirizzato l’ordine di rimozione dei rifiuti, salvo eccezionali, limitati e particolari casi. Precisando fin da ora come non possano assolutamente essere considerati tali quelli caratterizzati da:
√ il generale obbligo giuridico di impedire un evento; in quanto lo stesso è configurabile solo a carico di chi sia, al riguardo, investito di una posizione di garanzia21, e non risulta sussistere alcuna disposizione che ponga a carico del proprietario (o del titolare di altri diritti reali o di godimento) l’obbligo giuridico di impedire la discarica abusiva da terzi posta in essere;
√ la responsabilità causalmente fatta discendere dall’omissione di obblighi generici di custodia, che comunque non sono affatto previsti, e dunque non sono rilevanti, al fine di impedire l’evento del formarsi di un abbandono/discarica abusiva di rifiuti.

A tutto vantaggio dell’anzidetta verifica, le sentenze che a breve verranno richiamate, sono state deliberatamente classificate come “favorevoli” o “contrarie” alla tesi suesposta.

▪ Un piccolo contributo per accostarsi adeguatamente agli artt. 14 e 17 del D.Lgs. 22/97
In ragione del fatto che – come abbiamo già visto inizialmente – anche nel prosieguo si parlerà di ordini di “bonifica” (nonostante che il tema da trattare sia soltanto quello che stanzia nel contesto dell’art. 1422 del decreto in oggetto), appare utile riportare un breve accenno alla differente posizione assunta, nei riguardi del proprietario di un’area, dalle disposizioni dell’art. 14, rispetto a quelle contenute nel successivo art. 17 dello stesso D.Lgs. 22/97.
Per quanto attiene al contesto in cui ci troviamo risulterà sufficiente precisare che il citato art. 1423 è informato al principio secondo cui – in linea di massima – l’obbligo dell’asportazione dei materiali e del ripristino dello stato dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione (verificatasi mediante commissione od omissione, sia essa volontaria o colposa), dovendosi escludere qualsiasi forma diresponsabilità oggettiva del proprietario; il quale viene chiamato a rispondere –solidalmente con l’autore – solo e soltanto in ragione degli ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di famiglia) che è alla base della nozione di colpa.
Questa – che è la tipica fattispecie del mero abbandono o deposito di rifiuto – va nettamente distinta da una situazione di vero e proprio inquinamento di un determinato sito; caso diverso, che risulta disciplinato dall’art. 17 dello stesso decreto legislativo.
Nell’articolo 1724, infatti, per la posizione del proprietario25 incolpevole, si attua un principio diverso, in quanto – nell’ipotesi in cui il responsabile della contaminazione resti ignoto o non provveda, tanto da rendere necessario l’intervento dell’amministrazione comunale – viene previsto26 che gli interventi “di bonifica”, per quanto effettuati d’ufficio, costituiscano onere reale sulle aree inquinate e27 che, conseguentemente, le spese sostenute dall’Ente siano assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime – ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, comma 2, c.c. – oltre che da privilegio generale mobiliare.
In questo caso, pertanto, pur non essendoci astrattamente alcun obbligo diretto, è impossibile nascondere la pratica sussistenza di una forma di responsabilità limitatamente “oggettiva” a carico del proprietario; sulla cui situazione patrimoniale, di fatto, si va, indirettamente, ad incidere per quanto e nonostante che lo stesso possa dimostrare di essere del tutto incolpevole.
Per quanto sia da ritenere molto discutibile28, non manca chi è riuscito ad intravedere una logica che spieghi la diversa struttura assunta dalla fattispecie dell’articolo 17 rispetto a quella tipica del 14. Si è evidenziato, infatti, che nella prima non è richiesta semplicemente la rimozione di una quantità confinata e ben individuata di rifiuti (cosa che caratterizza la seconda), bensì si rende necessaria l’attuazione di: • diversi livelli di progettazione, • articolate operazioni di caratterizzare del sito, oltre che l’individuazione di specifiche, • complesse ed adeguate metodologie di bonifica. Sembra che questa possa essere la ragione29 per cui la posizione del proprietario venga considerata in modo differenziato, e meno impegnativo, nel caso in cui si tratta di fenomeni consistenti nel mero abbandono incontrollato di rifiuti ex-art. 14 (di regola caratterizzato da ridotte dimensioni e dal fatto che l’attività illecita non è di per sé destinata a prolungarsi molto nel tempo). Dal nostro punto di vista – condividendo le affermazioni di autorevoli giuristi30– la riteniamo una clamorosa illegittimità, dal momento in cui, mentre in forza di quanto stabilito dall’art. 14 – in caso di proprietario incolpevole – è previsto l’intervento del comune e….. tutto finisce lì, viceversa, nelle fattispecie riconducibili all’articolo 1731 il comune interviene ma solo “in astratto”, in quanto lo fa avvalendosi del previsto e concreto onere reale e privilegi vari, in base ai quali, di fatto, è “proprio il proprietario incolpevole” a farne le spese32, risultando evidentemente “colpevole” di esser tale.
Per rafforzare l’illogica disparità di trattamento operata da queste due fattispecie normative nei riguardi del proprietario dell’area, ci permettiamo di riprodurre un estratto della risposta al quesito : «E’ consentito adottare una ordinanza d’urgenza per disporre la "messa in sicurezza" di un sito, senza aver prima accertato l’avvenuto sfondamento (o pericolo di sfondamento) dei valori limite di accettabilità consentiti dal D.M. 471/1999? Come si assolve l’obbligo di motivazione di siffatta ordinanza?», magistralmente fornita dal Prof. Avv. Pasquale Giampietro:33
L’art. 14 abilita il sindaco (o un suo delegato ovvero il responsabile del servizio) ad estendere gli obblighi imposti dall’ordinanza a soggetti diversi dall’autore del fatto qualora l’abbandono sia imputabile anche al proprietario e/o al titolare del diritto reale o personale sul bene immobile i quali devono aver cooperato consapevolmente con l’autore del fatto, secondo un atteggiamento della volontà da qualificare tecnicamente come doloso (o "secondo l’intenzione", ex art. 43, del codice penale) o colposo (dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia, ecc.). In definitiva, la solidarietà nell’obbligo (di rimozione, recupero, smaltimento) del proprietario attuale dell’area e degli altri soggetti cit., sorge e si fonda – per l’art. 14 …. – sul concorso colposo o doloso dei medesimi nell’illecito abbandono da parte dell’esecutore materiale. Si è visto, infatti, che l’art. 14 colpisce, in via diretta l’autore dell’abbandono (nel caso: dei rifiuti di ….) e, in via estensiva, il "concorrente", solo se imputabile dello stesso illecito (penale o amministrativo), a titolo colposo o doloso….. .
Chiedendoci quale sia la ragione per cui tutto ciò non dovrebbe valere anche per l’art. 17 dello stesso decreto, abbandoniamo la questione che, diversamente, ci porterebbe veramente fuori strada!


7 – Le decisioni del Consiglio di Stato

Fra le più recenti decisioni del Consiglio di Stato ci è sembrato opportuno analizzarne alcune, il cui contenuto viene di seguito concisamente illustrato e analizzato.

CdS, Sez. V, 08 marzo 2005, n. 935Questa sentenza34 può considerarsi favorevole alla tesi esposta nella sezione precedente.
Nell’anno 1999 il Sindaco del Comune di Campi Bisenzio – richiamandosi all’art. 14 del D.Lgs 5.2.1997, n. 22 – intimava, ad una società, di provvedere (entro 20 giorni) alla rimozione di rifiuti abbandonati da terzi ignoti su area antistante il proprio stabilimento, ritenendola comunque “responsabile” dell’accaduto, sul rilievo che questa avrebbe dovuto accorgersi del misfatto, essendo dotata di un particolare sistema di sorveglianza esterno35. Nel caso di specie, l’omissione di tale vigilanza era stata interpretata – dall’Ente locale – come elemento costituente il comportamento colposo di cui al citato articolo e quindi presupposto della responsabilità solidale del proprietario del terreno con l’autore dell’abbandono.
Il T.A.R. Toscana, viceversa, nella propria sentenza – n° 619/2002, che ha annullato la citata ordinanza – ha considerato quel sistema di sorveglianza come semplice misura funzionale ad impedire l’accesso di intrusi nello stabilimento e non certamente atta a vigilare anche sui terreni contigui; giungendo a ritenere insussistenti, in capo alla società ricorrente, sia l’imputabilità “a titolo di dolo o colpa” dell’abbandono dei rifiuti de quo, così come qualsiasi altro elemento di cooperazione colposa nella violazione alle norme vigenti.
Nel successivo grado di giudizio, l’Ente locale – appare opportuno precisarlo – è giunto perfino a richiamare il principio generale, desumibile dall’art. 205136 del codice civile, per il quale graverebbe sul proprietario di un immobile, o del soggetto che lo ha in custodia, un generale onere di vigilanza “in quanto responsabile dello stato di conservazione dell’immobile stesso e dei danni che derivano dalla sua omessa custodia, salvo che non provi che i danni medesimi siano dovuti a caso fortuito”. Cionostante, il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, ha ritenuto tale rilievo del tutto inconferente; tant’è che, con riguardo all’art. 2051 c.c., il Supremo Giudice Amministrativo ha ribadito come lo stesso non sia affatto espressione di un principio di carattere generale dell’ordinamento. Al contrario – lungi dal poterlo considerare tale – da Palazzo Spada si è precisato che si tratta di un’eccezione; quindi, di uno specifico caso di responsabilità aggravata – in cui l’evento dannoso è posto a carico di chi ha in custodia la cosa – che deroga, in favore del danneggiato (in ragione della difficoltà di stabilire come sia stato causato il danno), al principio generale per il quale, viceversa, spetta a quest’ultimo provare – oltre al dannoe al rapporto di causalità – anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa del soggetto che il danno ha provocato (salvo la prova del caso fortuito ovvero del fatto del terzo o dello stesso danneggiato).
A ben vedere, poi, riteniamo sia alquanto claudicante la tesi secondo cui il proprietario possa essere chiamato a rispondere in ragione della responsabilità oggettiva conseguente agli obblighi connessi con lacustodia, dal momento in cui è lo stesso articolo 2051 c.c. a prevedere che “non si risponde” del caso fortuito ovvero del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Quindi, il cercare di “affibbiare” al proprietario incolpevole quella responsabilità oggettiva è veramente una forzatura che ci porta tragicamente al di fuori dei principi dell’ordinamento giuridico.
A parte ciò, la Quinta Sezione del CdS ha proprio evidenziato come il fatto (all’origine di tale controversia) configurasse piuttosto una figura specifica di atto illecito, punito dall’ordinamento37 solo in base all’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
Riteniamo fondamentale l’asserzione contenuta nella sentenza in esame, secondo cui, in ogni caso: “…il dovere di diligenza, che fa carico al titolare del fondo,non può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza, da esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area e, per quanto riguarda la fattispecie regolata dall’art. 14 citato, di abbandonarvi dei rifiuti. La richiesta di un impegno di tale entità travalicherebbe oltremodo gli ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di famiglia) che è alla base della nozione di colpa, quando questa è indicata in modo generico, come nella specie, senza ulteriori specificazioni…”
Sempre con riguardo alla condotta della società resistente, il Giudice d’Appello aggiunge e precisa che: “…in tale quadro, 
le modalità con le quali si è verificato l’abbandono di rifiuti nella fattispecie in esame sono state tali da escludere del tutto la configurabilità di un comportamento colposo addebitabile alla società appellata….. Infatti i rifiuti sono stati abbandonati durante le ore notturne, dopo avere forzato un cancello che bloccava l’accesso alla strada e quindi al luogo in cui i rifiuti sono stati versati (secondo quanto denunciato dalla società appellata alle forze dell’ordine)….”.
In tale contenzioso quindi38 è stata fornita una grande rilevanza anche alle modalità39 con le quali si verifica l’abbandono di rifiuti; elemento cui verrà dato il giusto rilievo nel prosieguo.

CdS, Sez. V, 21 giugno 2005,ORDINANZA n. 2959Si tratta di un’ordinanza40 che, a prima vista, può sembrare contraria alla tesi che stiamo testando, ma che, da una più attenta analisi, ne conferma favorevolmente tutti gli elementi sostanziali.
La considerazione circa le modalità, con cui si è concluso il punto precedente, risulta utile a comprendere come mai questo provvedimento n. 2959, ugualmente proveniente dalla stessa sezione V del CdS, non costituisca – in alcun modo – elemento di contraddizione nella logica seguita, in due diverse occasioni, dal Giudice d’Appello amministrativo.
Si tratta, in questo caso, di un ricorso, presentato dall’Amministrazione Provinciale di Potenza – avverso un’ordinanza del Sindaco di Melfi con cui era stata imposta, alla stessa Provincia, la rimozione di rifiuti giacenti nelle aree di pertinenza di strade di proprietà provinciale –, che ha visto accolta41 in primo grado, con ordinanza del T.A.R. per la Basilicata, l’istanza cautelare proposta dall’Ente provinciale; cui, però, è seguita la riforma della decisione del Giudice di prime cure, operata dalla Quinta Sezione del CdS, che ha respinto l’istanza cautelare proposta in primo grado.
Di fatto, come inizialmente annunciato, nelle due pronunce provenienti da Palazzo Spada, non si è verificata alcuna contraddizione, in quanto non si è preteso (dalla Provincia de qua) una costante vigilanza, da esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di scaricare rifiuti nelle aree di propria pertinenza. Il ragionamento e la logica seguiti sono altri e concernono proprio le richiamate modalità di formazione degli scarichi abusivi. Il CdS, difatti, in questo caso, ha individuato la colpa della Provincia nella reiterata trascuratezza scaturente dalla pluralità dei depositi abusivi di rifiuti, dalla loro entità e dal lasso di tempo non breve in cui i depositi sono venuti a formarsi. Questi sono gli elementi posti a fondamento dell’insufficiente azione di vigilanza (sia preventiva che postuma), che, per tale Sezione, ha determinatoinsuperabili esigenze di salvaguardia dell’igiene42 ed ha costituito indice di colpevolezza (resta il fatto che, a nostro avviso, quelli abbandonati in loco, potevano essere considerati rifiuti urbani; ma di questo tratteremo nella sezione rubricata «Un accenno alla natura dei rifiuti in base al luogo di abbandono»).

CdS, Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3596Pure questa decisione43 potrebbe apparentemente mostrarsi contraria alla tesi da noi prospettata; viceversa ne conferma a pieno la validità, tanto da doversi considerare pienamente favorevole.
Si ravvisa una certa assonanza fra l’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959 (precedentemente trattata) e questa sentenza CdS, Sez V, 01 luglio 2002, n. 3596. In entrambe i casi il giudice di primo grado aveva respinto i ricorsi, lasciando immuni i provvedimenti sindacali – che imponevano ai proprietari incolpevoli la rimozione di rifiuti – mentre invece il Giudice dell’Appello li ha cassati, riformando le decisioni che li avevano salvati. Nonostante tutto ciò, anche stavolta non sussiste alcuna antinomia. Difatti, mentre il T.A.R. Lombardia del ‘97 aveva astrattamente ritenuto che, nella specie, non sussistesse alcuna responsabilità dei proprietari44 – sia perché non accertata, sia perché attivatisi richiedendo l’autorizzazione per la recinzione dell’area – il CdS, in via astrattanon si è affatto discostato dal principio generale45 dell’improcedibilità verso il proprietario incolpevole, dovendo però, nella fattispecie concreta, ritenere i proprietari di quell’area non del tutto esenti da responsabilità, perlomeno a titolo di colpa.
Il Supremo Giudice Amministrativo, infatti, ha rilevato (dalla realtà degli atti processuali) che, in passato, quell’area – divenuta oggetto dell’abusivo abbandono di rifiuti – era stata affittata dai proprietari ad unterzo soggetto (v. amplius successiva sezione 11, «casi particolari di colpa»), il quale vi aveva attivato, fin da subito, un deposito abusivo per l’ammasso di pneumatici. Deposito che, anche dopo la cessazione dell’affitto, ha continuato ad essere ancora abusivamente utilizzato da altri soggetti, dato che nessuno – neppure i proprietari ! – aveva provveduto a ripristinarne l’originaria recinzione precedentemente divelta. In tal senso e per tale ragione la Sezione Quinta ha sottolineato come i proprietari, in quel caso, fossero, da anni, necessariamente a conoscenza dell’utilizzazione “come discarica” del loro terreno, concorrendo, grazie alla loro negligenza, ad aggravare la situazione e risultando incuranti della necessità di ripristinare la preesistente recinzione46, fino al momento in cui –tardivamente ! – non vi sono stati costretti dall’intervento dell’Autorità.
Due ulteriori particolarità caratterizzano il caso in esame. In primo luogo, sussistono effettivamente i presupposti per l’adozione di un provvedimento contingibile ed urgente, stante il periodico verificarsi diincendi di grosse proporzioni – dei pneumatici ivi abbandonati –, con emissione di fumi acri e tossici, determinanti gravi inconvenienti ambientali ed igienico-sanitari. Subito dopo rileviamo – sempre dalla sentenza in esame – un riscontrato concorso di responsabilità anche a carico dell’Amministrazione comunale47, per non aver tempestivamente provveduto al riguardo; pur dovendo rilevare come tale aspetto non sia stato specificamente dedotto dagli interessati e quindi non abbia trovato la debita rilevanza nel giudizio de quo. La ragione di quest’ultima considerazione è evidente. Non dimentichiamo, infatti, che l’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 14 del D.Lgs. 22/97 prevede che: « …Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate….», tanto che la mancanza del dovuto intervento (CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 1904) da parte dell’amministrazione comunale è da considerare negligenza a tutti gli effetti e, quindi, colpevolezza.


▪ Un accenno alla natura dei rifiuti in base al luogo di abbandono
Ricondotta “ad unità” la logica che la Quinta Sezione ha seguito in occasioni diverse, vorremmo sommessamente fornire un nostro contributo riguardo all’evento che sta alla base dell’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959; cominciando col ricordare che il convincimento del Giudice si forma in base agli elementi addotti dalle parti in causa.
Se ne può ragionevolmente dedurre che, nel caso di specie, nessuno abbia pensato ad “orientare” l’attenzione del giudice di prime cure (prima) e del Supremo Giudice Amministrativo (poi) su quanto disposto degli articoli 7.2 e 21.2, lettera g), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22. Nel senso che nessuno deve aver portato il Giudicante a “riflettere” sul fatto che, mutatis mutandis, i rifiuti oggetto del contendere, altro non erano che rifiuti urbani. D’altronde è inequivocabile – e vale la pena ripeterlo – che per il nostro ordinamento giuridico : «Sono comunque considerati rifiuti urbani, ai fini della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio, tutti i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade ovverodi qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle strade marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua».
Sulla giacenza di rifiuti in aree pubbliche non c’è molto da dire: o si individuano i responsabili dell’abbandono, oppure, essendo «rifiuti urbani» a tutti gli effetti, questi debbono essere rimossi dal soggetto istituzionalmente deputato a gestirne la raccolta nell’ambito del territorio48. Riguardo alle aree private non vorremmo spendere troppe parole sull’argomento dell’uso pubblico di un’area privata – in quanto ridondanti rispetto a quelle di chi49 ne ha trattato con competenza ed esaustività – ritenendo sufficiente limitarsi ad evidenziare che quel “comunque” (posto quasi in mezzo alla dizione: aree privatecomunque soggette ad uso pubblico) dovrebbe potersi leggere come: in qualsiasi modo. Visto che la nozione di uso pubblico deve essere intesa nel senso – ampio e generico – di utilizzazione “di fatto” della stessa, tale peculiare caratteristica viene a dipendere dal fatto che una certa area (anche privata) sia interessata dalla “circolazione di un numero indeterminato ed indiscriminato di persone”. E’ altrettanto evidente che debba ugualmente considerarsi di uso pubblico quell’area privata cui vi si possa accedere, oppure vi si possa entrare, senza che vi siano elementi qualificanti che ne limitino l’accessibilità alla sola fruizione – e quindi in funzione esclusiva – dell’attività o dei servizi che in essa vengono svolti. Addirittura, anche l’assenza di una recinzione, in fregio ad un’area privata, è stata ritenuta sufficiente a farla considerare «comunque di uso pubblico»50.
Quale ulteriore conferma preme evidenziare che anche nello schema del nuovo Decreto Unico Ambientale51, all’art. 184, secondo comma, si legge che sono rifiuti urbani (lettera di rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua.
Per tutto quanto sopra esposto, quale mai potrebbe essere la ragione per cui – ove il proprietario dell’area privata sia incolpevole e la stessa sia comunque soggetta ad uso pubblico – i rifiuti abbandonativi da ignoti non dovrebbero essere rimossi dall’istituzionale gestore della raccolta dei rifiuti urbani ? A nostro avviso: nessuna! (Cfr. anche CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 1904).

In ogni modo, tornando al caso interessato dall’ordinanza CdS, Sez. V, 21 giugno 2005, n. 2959, è facilmente deducibile che i terreni interessati da quell’abbandono di rifiuti fossero addirittura qualificabili come area pubblica (aree di pertinenza di strade di proprietà provinciale). Onde per cui, fin dal verificarsi dei primi scarichi abusivi (effettuati da autori ignoti) i materiali derelitti avrebbero dovuto essere considerati «rifiuti urbani»; il cui smaltimento – per il dettato dell’articolo 7.2 del decreto Ronchi – costituiva obbligo per il comune ex-art. 21.1 del citato decreto. Questo lo si riscontra anche nella previsione di cui all’art. 49, comma 2, dello stesso D.Lgs. 22/97; secondo la quale è prevista, per i Comuni, la copertura dei costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e aree private soggette ad uso pubblico.
Nessuno vuol negare che poi, in un secondo momento, ai deprecabili fatti iniziali possa essersi addizionata anche l’inerzia dell’amministrazione provinciale “proprietaria” delle aree. Questa però è altra cosa. E’ nostra ferma convinzione che, in ogni caso, ciò non sopprime né attenua l’iniziale “mancanza di reazione” da parte del soggetto istituzionalmente tenuto alla raccolta dei rifiuti urbani, di fatto, formatisi (anche nel caso di specie) sul territorio di specifica competenza.

CdS, Sez. V, 08 febbraio 2005, n. 323Si tratta di una decisione52 nettamente favorevole alla nostra tesi.
Il caso si origina dall’ordinanza dell’ottobre del 1993 con cui il Sindaco di Urbino ha imposto ad un privato (ex-art. 9 D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915) di provvedere alla rimozione dei rifiuti depositati su terreno di sua proprietà ed alla bonifica (sic!) dell’area.
Anche in questo caso il CdS rileva sia la non configurabilità di un’ipotesi di responsabilità oggettiva del proprietario del terreno, sia l’omessa valutazione – da parte del comune – dell’effettiva responsabilità del succitato proprietario. La Sezione Quinta, inoltre, evidenzia che anche con riferimento all’art. 9 del DPR 915/1982: «…L’orientamento giurisprudenziale assolutamente maggioritario, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, infatti, era nel senso che, secondo il disposto dell’art. 9 citato, l’ordine di smaltimento dei rifiuti non potesse essere rivolto al proprietario come tale, se non in quanto egli potesse ritenersi “obbligato” a causa di un comportamento – anche omissivo – di corresponsabilità con l’autore dell’abbandono illecito dei rifiuti….in considerazione della natura dell’ordine di smaltimento, configurato quale sanzione avente carattere ripristinatorio, che presuppone l’accertamento della responsabilità da illecito in capo al destinatario. »
Viceversa, nel caso posto all’esame di Palazzo Spada, il provvedimento sindacale scaturigine del contenzioso – passato al vaglio del giudice di prime cure ma arrestatosi nella rete del successivo grado d’Appello – risultava essersi fondato solo e soltanto sull’accertamento …..che l’area occupata dai suddetti rifiuti fosse catastalmente di proprietà di quella persona fisica. Il proprietario, pertanto, è stato direttamente interessato da un procedimento amministrativo per il solo fatto di esserlo; senza la necessaria indicazione di suoi comportamenti – quantomeno colposi – causalmente collegati all’evento dannoso – al quale si è preteso vi ponesse rimedio –, ed anche senza che fosse svolta alcuna valida attività istruttoria tesa ad accertarne la responsabilità con riguardo all’illecito stesso.
Il cliché è sempre lo stesso ! Lo potremmo considerare un manuale di come “non” comportarsi (quindi una sorta di anti-manuale) e ci fornisce lo spunto per approfondire un elemento che, già inizialmente, avevamo visto, trattando delle sentenze CdS 3596/2002 e T.A.R. Sicilia 1041/2005.


▪ La necessità di un’approfondita attività istruttoria
La necessità di una valida attività istruttoria tesa ad accertare l’effettiva o eventuale responsabilità del proprietario dell’area riguardo all’illecito, ci offre lo spunto per rilevare come tale ed imprescindibile elemento – fondante la legittimità di un provvedimento ex-art. 14 D.Lgs. 22/97 – sia espressamente previsto anche nel nuovo schema di DECRETO UNICO AMBIENTALE53, nel quale (perlomeno all’attuale stato crisalideo), al terzo comma di quello che oggi è l’articolo 19254, si legge che l’obbligo della rimozione dei rifiuti abbandonati, anche da terzi, in un’area, è da intendersi come imposto solidalmente con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa “grave”. Questo è un primo elemento di novità: deve trattarsi di colpa “grave”! Ma, del grado della colpa tratteremo nell’apposita sezione 11, alla quale facciamo rimando.
La nuova norma (lo ribadiamo: ancora in bozza) prosegue precisando: “…in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”. Quindi – e siamo al punto che volevamo trattare ! – nel caso in cui tale novella sia confermata in via definitiva, non solo ci vorranno sempre degli accertamenti da parte dei soggetti preposti al controllo, ma gli stessi dovranno addirittura essere condotti “in contraddittorio” con gli interessati (alias: i proprietari).

CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136Altro giudicato55favorevole alla tesi esaminata, è quello formatosi da una vertenza scaturita dopo l’emanazione di provvedimenti del Sindaco di Grado, con i quali, nel febbraio 2000, è stato intimato ad una società – in quanto proprietaria – di provvedere alla pulizia di certe aree, in quanto interessate da numerose discariche abusive di rifiuti, ed anche di realizzare la recinzione dell’intero sedime di proprietà, con comminatoria, in caso di inadempienza, delle previste sanzioni.
In tal caso, nonostante che detta società fosse stata esplicitamente autorizzata – in relazione a talune delle particelle interessate dagli scarichi abusivi – al deposito temporaneo di rifiuti e che nei provvedimenti, da questa impugnati, non risultasse essere stata spesa una parola per dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo nell’operato di tale società56, il T.A.R. Friuli ha ritenuto ugualmente di dover respingere il ricorso.
Decisione di primo grado assunta in base al fatto che l’abusivo abbandono di rifiuti durava “indisturbato” da lungo tempo e che la recinzione preesistente fosse stata abbattuta (n.d.r.: da ignoti!) per un tratto così ampio, da consentire il passaggio anche di automezzi pesanti; il tutto interpretato e considerato come fattore di negligenza imputabile alla società proprietaria, tacciata, oltretutto, di aver trascurato le più elementari misure di sorveglianza dell’area, a niente valendo l’apposizione di numerosi cartelli di divieto, a fronte del fatto che (secondo il T.A.R.) la stessa avrebbe avuto l’obbligo di adoperarsi attraverso misure efficaci e non “meramente simboliche”.
Il Consiglio di Stato, in maniera – a nostro avviso – del tutto corretta, ha censurato l’operato del comune, sotto il particolare profilo dell’omessa valutazione della responsabilità della ricorrente, ed ha “dato contro” al Giudice di prime cure, rilevando come lo stesso si sia sostituito all’Amministrazione comunale (fra l’altro non costituitasi in giudizio!!) in tale valutazione, giungendo a preoccuparsi di verificare autonomamente se da parte della società proprietaria – poi divenuta appellante – vi fosse stata negligenza nella gestione della proprietà.
Anche in questo caso, la Quinta Sezione di Palazzo Spada, rilevando l’assoluta mancanza – nel provvedimento originariamente impugnato di fronte al T.A.R. Friuli – di quella necessaria indicazione di comportamenti quanto meno colposi (del proprietario dell’area) e causalmente collegati all’evento dannoso chiamato a riparare, ha voluto ribadire come l’art. 14 del D.Lgs. 22/97 escluda, in linea di principio,qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario, essendo necessario l’accertamento di un suo comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità e quindi di un suo coinvolgimento doloso o quantomeno colposo (in tal senso, richiamando la propria decisione Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2001 n. 1904).
Non avendo niente da obiettare in tal senso, ci limitiamo ad osservare quanto risulti insensato l’aver preteso che il proprietario dovesse sopperire, riparando e ripristinando continuamente l’ apposita recinzione – di cui era stata munita la propria area – reiteratamente divelta da ignoti, giungendo persino a qualificare la sua umana e naturale desistenza come indice di negligenza (altro caso da aggiungere alla raccolta citata in calce al primo capoverso della precedente sezione 2).

CdS, Sez. V, 30 dicembre 2004, n. 8295Si tratta di una sentenza57favorevole al nostro asserto (per quanto con necessità di qualche spiegazione), che pone fine ad una vicenda generatasi da una determinazione della Regione Piemonte del 2002, recante ingiunzione – rivolta ai titolari di un’impresa di demolizioni e scavi – di ripristino dello stato dei luoghi, a seguito dell’avvenuto scarico abusivo di materiali inerti in un avvallamento del terreno lungo il torrente Sangone; con obbligo di rimozione completa dei materiali scaricati nell’area. L’impresa, negando di essere proprietaria dell’area interessata dallo scarico abusivo, così come di essere autrice materiale di quest’ultimo, non ha ottenuto tutela dal T.A.R. Piemonte, il quale ha respinto il ricorso in quanto – per contro – sarebbe risultato confermato che il deposito dei materiali inerti fosse situato, per la maggior parte, su proprietà dei ricorrenti stessi. Fra le altre cose, nel corso del giudizio di primo grado, sembra sia emerso che alcuni dei depositi di rifiuti fossero stati effettuati (sì) da terzima su indicazione dell’impresa, ed anche che un ultimo episodio di scarico fosse stato (addirittura) realizzato per il tramite di un mezzo di trasporto di proprietà della stessa impresa ricorrente.
Viene dunque da chiedersi come mai il CdS abbia riformato la decisione del giudice di prime cure, apparentemente ineccepibile !
A ben vedere, in sede di Appello, è stato accertato come, per una parte, l’area interessata dagli scarichi fosse effettivamente situata “al di fuori” della proprietà dell’impresa, ma che, per un’altra parte, viceversa, i rifiuti si trovassero effettivamente nella disponibilità della stessa. Quindi, nel caso di specie, il CdS ha recepito solo in parte l’appello, ritenendo parzialmente accoglibile anche il ricorso esperito in primo grado. Il provvedimento regionale fonte di tutto è pertanto in parte legittimo ed in parte no!
Ciò potrebbe sottendere una logica diversa da quelle seguite, dalla stessa Sezione Quinta, nei casi precedentemente illustrati; ma così non è! Si tratta di un caso avente particolari peculiarità. Infatti, il provvedimento de quo risulta essere stato assunto in applicazione della L.R. Piemonte 17 aprile 1990, n. 28, con cui – nelle zone di salvaguardia della Fascia Fluviale del Po – è previsto uno specifico divieto di «modificazione dello stato dei luoghi» senza una preventiva autorizzazione (art. 12, 2° c., L.R. cit.); divieto che ricade in capo al soggetto che, avendo la disponibilità dell’area, compia atti idonei a modificarne l’assetto, ovvero (anche) consenta ad altri di farlo, omettendo la necessaria vigilanza. Quindi, è per quest’ultima particolare evenienza che l’ordine di rimozione è stato e deve considerarsilegittimamente impartito nei confronti dell’impresa proprietaria; per quanto limitatamente ai materiali depositati sulle particelle di propria competenza58.
E’ evidente come, dal testo della sentenza d’Appello, non risulti dimostrata la colpevolezza dell’impresa riguardo alla fase di formazione degli scarichi abusivi de quibus, tanto da aver acquisito rilevanzasolo l’obbligo direttamente ricadente – stavolta – sul proprietario, ma non tanto in forza dell’art. 14 del D.Lgs. 22/97, quanto per le particolari previsioni di cui all’art. 12.2 della L.R. Piemonte 17 aprile 1990, n. 28.
Alla fine dei giochi, appunto per questo, non risulta sussistere alcuna incongruenza.

CdS, Sez. V, 12 agosto 2004, n. 5549Si tratta di un verdetto59sostanzialmente in linea con l’indicazione di cui alla precedente sezione 6, che riguarda un provvedimento sindacale, rivolto a proprietari di un’area al fine di sgomberarla dai rifiuti ivi depositati da ignoti, confermato dal giudice di primo grado – nonostante i ricorrenti abbiano evidenziato al T.A.R. Lombardia un’alternanza di disponibilità dell’area fra i legittimi proprietari ed un affittuario – il quale ha respinto il ricorso.
Da un esame del contenzioso de quo non risulta acclarata la colpevolezza di coloro che hanno avuto la disponibilità effettiva dell’area, tanto che, anche in questo caso – avendo il CdS confermato la scelta operata dal Giudice di primo grado –, potrebbe sorgere il dubbio che vi sia incoerenza tra questa decisione e le precedenti assunte dalla stessa Sezione Quinta. Anche stavolta, però, il motivo “celato” è un altro e consente di confermare – anche in questo caso e senza alcuna contraddizione – l’inesistenza di una responsabilità oggettiva in capo al proprietario ed ai titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area.
Emerge infatti, dall’analisi delle decisioni, come i proprietari dell’area in questione fossero stati interessati da un precedente ed identico ordine, contro il quale non era stato esperito alcun mezzo di impugnazione; così che, quand’anche si fosse voluto ritenere compreso – nell’impugnativa esperita in primo grado – anche tale precedente provvedimento (notificato quasi un anno prima di quello impugnato), il ricorso originario avrebbe dovuto essere comunque dichiarato inammissibile dal Giudice lombardo, in relazione alla mancata impugnativa dell’ordinanza precedente e, quanto meno, tardivo (rispetto all’ordinario termine di 60 giorni per la notifica del ricorso). Questa è la ragione che sta alla base della negativa evoluzione del giudizio riguardo alla posizione dei proprietari.
 

▪ Sentenze solo apparentemente contraddittorie
Sono due le recenti e significative sentenze che potrebbero sembrare elementi di incongruenza rispetto a quanto finora detto. E qui arriviamo a trattare anche della recentissima decisione del Consiglio di Stato, Sez V, 16 novembre 2005, n. 6406, inizialmente richiamata e la cui massima, già riportata in premessa, potrebbe far giungere a conclusioni opposte alla nostra tesi.

CdS, Sez. V, 16 novembre 2005 n. 6406Ma è proprio vero che il Consiglio di Stato ha cambiato idea ? Questo è l’interrogativo che ci siamo posti con grande scrupolo e, nel farlo, la risposta è risultata ancora una volta univoca: no! Non c’è alcuna contraddizione, dal momento in cui, nel caso sottoposto al giudizio di Palazzo Spada, sussistono tutti i fondati presupposti necessari all’adozione di un provvedimento contingibile ed urgente appartenente alla competenza esclusiva del sindaco quale ufficiale di governo. Quindi il provvedimento – che chiama in causa direttamente il proprietario dell’area interessata dalla presenza di rifiuti – è legittimo perché esistono tali presupposti, ed occorre altresì notare come la realtà dei fatti (prodromici all’adozione del provvedimento stesso) sia ben diversa da quella che si potrebbe eventualmente dedurre o interpretare dalla descrizione fattane in massima: si tratta di un caso molto particolare e non del “classico” abbandono di rifiuti su di un terreno – affrontabile normalmente ricorrendo all’impiego dell’art. 14 D.Lgs. 22/1997 –.
Il Consiglio di Stato, nello scorso novembre, ha respinto l’appello60 dei soggetti cui era stata notificata un’ordinanza del vicesindaco del comune di Barletta, volta anche a rimuovere rifiuti presenti nell’area di una ditta fallita, ma, soprattutto, finalizzata ad eliminare una situazione divenuta potenzialmente inquinante a seguito, ed a causa, di un incendio doloso del capannone di tale ditta, ad opera di ignoti.
In primo luogo, pertanto, si rileva un uso improprio del termine “bonifica” (utilizzato nel provvedimento), al quale, nel caso di specie, non deve assolutamente essere attribuito il significato di cui all’art. 17 del D.Lgs. 22/97 ed al D.M. 471/99. Occorre poi, come già detto, prendere le distanze dai meri casi di “abbandono di rifiuti da parte di terzi ignoti, nell’area di un proprietario incolpevole” ex-art. 14 D.Lgs. 22/97. Qui ci troviamo di fronte ad una situazione “grave”, per far fronte alla quale il provvedimento del comune è stato dotato di un’ampia motivazione sul danno ambientale che si sarebbe potuto generare, nell’area interessata, a causa della presenza di fibre di amianto e di fusti contenenti materiale chimico decomposto, nonché sul pericolo per la salute pubblica connesso alla necessità di eliminarestrutture pericolanti.
E’ ovvio che, così dettagliatamente illustrata, la questione si pone su di un piano completamente diverso. Il CdS ha infatti sostenuto che, in quel caso, l’ordinanza con cui l’Autorità preposta ha imposto al proprietario dell’area “di bonificarla” (sic!!)61 in relazione a rifiuti speciali tossici e nocivi su essa giacenti, non è stata adottata ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 22/1997, trattandosi di una vera e propria ordinanza extra-ordinem, che, in quanto tale, si adotta ogni qual volta non ci si possa avvalere degli strumenti offerti dall’ordinamento. Quello impugnato era un provvedimento che non ha caratteresanzionatorio – nel senso che non è diretto ad individuare e punire i soggetti ai quali è da attribuire la responsabilità civile e/o penale della situazione abusiva – ma solo ripristinatorio, essendo rivolto essenzialmente ad ottenere la rimozione di un attuale stato di pericolo e prevenire ulteriori danni all’ambiente circostante e alla salute pubblica (queste sono le dizioni più corrette, alternative a “bonificare”).
E’ solo per tali ragioni che l’ordinanza è stata considerata legittima pur se indirizzata all’incolpevole proprietario dell’area; essendo egli, il solo a trovarsi, con quest’ultima, in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, per quanto notoriamente non imputabile a lui, bensì ad altro soggetto ignoto o al precedente proprietario. Per questa ragione, infatti, il Giudice di Appello si è preso la briga di evidenziare come resti del tutto impregiudicata ogni rivalsa – da parte del proprietario dell’area – nei confronti dell’effettivo responsabile. Nelle more di tale individuazione, però, ed a fronte di una situazione di concreto pericolo per l’ambiente e per la salute pubblica, l’Autorità sanitaria locale ha ritenuto che il soggetto destinatario del provvedimento contingibile ed urgente potesse anche essere l’attuale proprietario incolpevole.


▪ Una parentesi con il CdS, Sez VI, 05 settembre 2005, n. 4525, e le misure urgenti
A questo punto vorremmo rilevare come, in un diverso contenzioso, la VI sezione del Consiglio di Stato (CdS, Sez VI, 05 settembre 2005, n. 4525) si sia espressa in maniera ancor più opportuna – delineando adeguatamente il corretto uso del termine “bonifica” – affermando la legittimità di rivolgere un provvedimento (analogo a quello di cui al punto precedente) direttamente al proprietario dell’area, non tanto per il fatto che questo sia l’unico soggetto che, in tal caso, avrebbe il potere di intervenire sul sito, bensì in quanto ed a condizione che l’ordine si limiti ad imporre l’adozione di sole misure urgenti(messa in sicurezza). In relazione a queste ultime, e solo a queste, possono essere esercitati i poteri del Sindaco – ex-art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 – anche prescindendo dall’individuazione dell’effettivo responsabile dell’inquinamento (accertamento i cui tempi sarebbero, in molti casi, come quello in esame, incompatibili con l’urgenza di garantire la sicurezza del sito). Il Consiglio di Stato del settembre 2005, addentrandosi, stavolta, nel vero e proprio ambito della disciplina sulle bonifiche (che, come già detto, è ben diverso da quello in esame), giunge a precisare che l’ordinanza di messa in sicurezza e bonificapuò ben essere notificata al proprietario (solo e soltanto) al fine di renderlo edotto dell’onere cui va incontro (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area dal vincolo correlativo), ma non può imporremisure di bonifica (qualificabili come) ulteriori rispetto alla mera messa in sicurezza, salvo un preventivo ed adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l’inquinamento del sito (abbiamo già visto che il proprietario “ne busca ugualmente” da un punto di vista economico, ma anche questa….è un’altra storia!).
 
▪ Ancora sul CdS, Sez. V, 16 novembre 2005 n. 6406
Tornando a trattare della sentenza 6406/05, abbiamo visto che neppure quel contesto è riferibile all’art. 14 D.Lgs. 22/97. Si tratta, in ogni caso, di una fattispecie utile a capire che quanto ordinato dal comune di Barletta non è certamente l’imposizione di una bonifica, e neppure la mera asportazione di rifiuti, bensì l’adozione di urgenti misure di messa in sicurezza dell’area devastata da un incendio (Così come si è verificato nel caso della sentenza T.A.R. Emilia, Bologna, Sez II,29 giugno 2004, n. 1531). Ci preme aver chiarito che non si trattava del “solito e, purtroppo, “incivilmente routinario” abbandono di rifiuti!

CdS, Sez. V, 02 aprile 2003, n. 1678A ben vedere la decisione CdS, Sez V, 16 novembre 2005 n. 6406 – poco sopra commentata – non differisce molto dalla precedente del 02 aprile 2003, n. 167862, tant’è che, anche quest’ultima, si riferisce ad un particolare caso di ordinanza contingibile ed urgente, resasi necessaria a seguito di un principio di incendio.

▪ Provvedimenti contingibili ed urgenti
Ciò significa che anche nel caso divenuto poi oggetto della sentenza 1678 del 2003 è possibile riscontrare:
• il presupposto della necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, che giustifica la legittimità di provvedimenti contingibili ed urgenti anche e soprattutto – alla stregua dell’art. 32 Cost. – per evitare che tali danni abbiano a verificarsi (Cons. Stato, V, 19 febbraio 1996, n. 220);
• il concetto in base al quale l’art. 14 del D.Lgs. 22/97 sia informato al principio secondo cui, in linea di massima, l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi grava soltanto sull’autore della violazione (mediante commissione od omissione, volontaria o colposa), dovendosi escludere qualsiasi forma di responsabilità oggettiva del proprietario;
• l’affermazione che tutto ciò, comunque, non impedisce che il sindaco – ove ne sussistano i peculiari presupposti – possa imporre specifici comportamenti a carico del proprietario incolpevole (chiaramente scevri da qualsiasi carattere sanzionatorio, bensì solo ripristinatorio), tutte le volte in cui l’individuazione e la ricerca del soggetto effettivamente obbligato di diritto – implicando accertamenti complessi e laboriosi – potrebbe:
√ essere incompatibile con la necessità di rimuovere celermente un attuale stato di pericolo e prevenire ulteriori danni all’ambiente circostante e alla salute pubblica (e, quindi)
√  svuotare di contenuto l’intrinseca natura e funzione dei provvedimenti contingibili ed urgenti63.

Permanendo in ogni caso impregiudicata, ragionevole e legittima ogni successiva rivalsa, da parte del proprietario, nei confronti dell’effettivo e concreto responsabile.


▪ Confini fra provvedimenti ordinari e provvedimenti d’urgenza
Tuttavia, quella che risulta decisiva per giungere ad un concreto discrimine fra le condizioni necessarie e sufficienti all’adozione di un provvedimento ex-art. 14 D.Lgs. 22/97 a carico del proprietariocolpevole (ed ovviamente anche dell’autore dello scarico di rifiuti in una certa area) e quelle da porre a fondamento di un’ordinanza contingibile ed urgente, extra ordinem, che va ad interessare il proprietarioincolpevole, è certamente la sentenza CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 190464.

CdS, Sez. V, 02 aprile 2001 n. 1904Nella fattispecie affrontata in tale giudizio, il T.A.R. aveva accolto il ricorso esperito, dai proprietari di un’area, contro un ordine di “messa in sicurezza” e di bonifica della stessa, in quanto adibita – secondo l’amministrazione procedente – a “discarica abusiva”.
Nonostante si tratti di un caso più affine alle disposizioni ex-art. 17 del D. Lgs. 22/97 piuttosto che alla fattispecie di scarico abusivo di rifiuti di cui all’art. 14 stesso decreto, la sentenza affronta ugualmente, in maniera esemplare ed esaustiva, quest’ultima disposizione.
La Quinta Sezione del 2001, infatti, conferma che, in base alla formula legislativa del citato art. 14, l’ordine di sgombero di un’area – interessata dallo scarico di rifiuti – può avere quali destinatari soltanto i soggetti inadempienti all’obbligo di non abbandonare, scaricare o depositare rifiuti; non potendo riguardare i proprietari della stessa, a meno che non venga accertata la loro responsabilità, eventualmente anche solo colposa. Ne consegue che, nel caso in cui, nonostante un’adeguata istruttoria, non vengano individuati gli autori della condotta illecita e, nel contempo, non risulti accertata una specifica responsabilità del proprietario dell’area, di regola spetta all’amministrazione comunale il compito (con i relativi oneri organizzativi ed economici) di avviare le idonee procedure di ripristino della situazione ambientale degradata dallo scempio.
Quindi, Palazzo Spada – anche in tale occasione – ribadisce come la norma in oggetto esprima il principio secondo cui, in linea di massima, l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi grava soltantosull’autore della violazione – commessa mediante commissione od omissione, volontaria o colposa –, non potendo chiamare in causa il proprietario, salvo che venga individuato a suo carico l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Solo in quest’ultimo caso egli può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino ex-art. 14 e 50 D.Lgs. n. 22/97, con irrogazione di sanzione penale in caso di inosservanza. In antitesi, si tratterebbe di un caso di responsabilità oggettiva del proprietario , che, viceversa, deve essere drasticamente esclusa.
Il Consiglio di Stato prosegue rinsaldando il concetto secondo cui tutto ciò costituisce la regola, ma non impedisce che il Sindaco possa ugualmente imporre specifici comportamenti anche a carico delproprietario incolpevole, nel caso in cui – solo e soltanto nel caso in cui ! – emerga, con sufficiente chiarezza, l’indifferibilità di un’apposita attività, resasi necessaria e volta ad eliminare un pericolo per la tutela della salute pubblica. In tali eventualità, che potremmo considerare l’eccezione, è però necessario che l’amministrazione procedente appuri scrupolosamente il carattere effettivamente urgente ed indifferibile dell’intervento da richiedere al proprietario “innocente”, proprio con specifico riguardo alla incidenza che la situazione, venutasi a creare, può avere sull’igiene e sulla salute pubblica. E’ solo questo il caso in cui il proprietario (o comunque titolare in uso di fatto del terreno), per quanto incolpevole, può ugualmente essere destinatario della ordinanza sindacale emessa secondo i principi generali «extra» D.Lgs. n. 22/97; non certo quale autore dello scempio, bensì quale parte lesa di un eventuale procedimento a carico dei terzi autori del fatto (ove e se individuati).
Le realtà in cui ci si imbatte presso alcune pubbliche amministrazioni ci consigliano di ribadire che il presupposto necessario per poter dare legittima attuazione a tale eccezione consiste nella ricorrenza di un grave pericolo di danno imminente, che emerga da inequivoci accertamenti tecnici e risulti da una congrua e dettagliata motivazione del provvedimento adottato (repetita iuvant).

Nel caso di specie il Supremo Giudice Amministrativo ha respinto l’appello del comune, confermando così la decisione del giudice di prime cure con cui era stato accolto il ricorso e, quindi, annullata l’ordinanza. Tutto ciò proprio perché il provvedimento non evidenziava, in modo adeguato,  concreti pericoli attuali  dannosità per la salute pubblica, tanto da non poter essere considerato sufficientemente motivato. Oltretutto, nel caso di specie, era pure stata individuata una traccia di collegamento con i concreti autori del misfatto.
Se il provvedimento sindacale non avesse presentato tutte queste carenze, l’appello avrebbe potuto essere accolto e la sentenza di primo grado revisionata a tutto vantaggio dell’Ente locale.

T.A.R. FRIULI, 01 settembre 2005, n. 750Quanto appena adesso sostenuto è confermato dalla sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 01 settembre 2005, n. 750 (favorevole) ove si afferma che: «… il potere esercitato dall’autorità comunale (in base al precetto contenuto nell’art. 14, comma 3, del D.L.vo n. 22/97, qualora venga violato il divieto di abbandono di rifiuti sul suolo di cui al comma 1), riveste natura sanzionatoria di un illecito commesso,non presuppone necessariamente l’incombere di situazioni di pericolo o di urgenza (a differenza di quello previsto dall’art. 13 stesso decreto)…». Per questa ragione l’adozione dell’ordinanza per la rimozione ed il ripristino di cui all’ultimo periodo, terzo comma dell’art. 14 prima menzionato: «… rientra tra le normali attribuzioni del comune in quanto tale e non costituisce, in definitiva, ordinanza contingibile ed urgente: di qui…».

Il tutto viene confermato dalla recentissima sentenza T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 dicembre 2005, n. 4243 di cui si tratta all’inizio della successiva sezione 7 (vds. anche in sezione 11: «La competenza per l’adozione dei provvedimenti»).

▪ Una piccola polemica anche sui provvedimenti d’urgenza
Quindi, abbiamo visto che, ove sussistano effettivamente i presupposti della contingibilità e dell’urgenza, può concretizzarsi quell’eccezione in base alla quale viene ad essere direttamente interessato il proprietario dell’area, nonostante incolpevole. A ben vedere, però, non è detto che in tali particolari situazioni, sia sempre per forza soltanto “lui” a poter/dover agire. Riteniamo, infatti, che non sia affatto da escludere un intervento diretto da parte dello stesso Comune; il quale potrebbe certamente autorizzare propri agenti ad introdursi nella proprietà privata al fine di prelevare i rifiuti, asportarli e provvedere alla ripulitura straordinaria del sito. Anche in questo caso occorrerà l’ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco – emanata nell’esercizio di specifici poteri a tutela dell’igiene, del decoro e della salute pubblica65 –, che sarà ugualmente indirizzata al proprietario dell’area, in quanto, essendo privata66, non sarebbe possibile intromettervisi – per quanto al fine di rimuovere rifiuti ivi abbandonati da terzi – se non in forza di un atto dell’Autorità.
La differenza “significativa” consiste nel fatto che, stavolta, saranno direttamente gli incaricati del Comune a dover eliminare il pericolo, legalizzati ad agire – anche in ambito privato – proprio in forza dell’ordine impartito al legittimo proprietario; il quale – in tal caso – avrà come unica e gradita incombenza quella di non potersi opporre!

Al di là della parentesi perniciosa, che possiamo considerare conclusa, quella che a questo punto ci si pone davanti è un’alternativa imprescindibile: o il provvedimento è un’ordinanza contingibile ed urgente (potere atipico), oppure si tratta di un provvedimento ex art. 14 D. Lgs. 22/1997 (potere tipico). Ma di questo tratteremo in maniera più adeguata in calce alla successiva sezione 11.

CdS, Sez. V, 09 agosto 2005, n. 4224Risale invece alla scorsa estate la sentenza CdS, Sez. V, 09 agosto 2005, n. 422467, con cui il Supremo Giudice Amministrativo ha sostenuto che: «Il sindaco può ordinare al proprietario dell’area, mediante ordinanza contingibile e urgente e a prescindere dalla sussistenza di alcuna responsabilità del medesimo, di provvedere allo smaltimento qualora ciò sia necessario per fronteggiare una situazione di urgenza».
In questo caso, a maggior ragione, potrebbero sorgere dei dubbi sulla continuità e costanza dei ragionamenti fatti presso la stessa Sezione del CdS; si tratta però di mera apparenza. E’ stato infatti possibile appurare come l’ordine impartito dal comune, per bonificare (sic!!) una certa area e per recingerla, si fondasse sulla descrizione fatta dai vigili urbani di “area ricoperta da sterpaglie ed erbacce di considerevole altezza ed aggrovigliate, costituendo in tal modo un ideale habitat per insetti e ratti”. Quindi si trattava sì, anche stavolta, di un’ordinanza contingibile ed urgente, motivata però da ragioni igienico-sanitarie più legate all’insalubrità della stessa come “ricettacolo di insetti e ratti”, piuttosto che per la riscontrata presenza di rifiuti, di cui non si fa alcuna menzione.
Un altro falso allarme! Per giunta accompagnato dall’utilizzazione di quell’ambiguo termine «bonificare» che, istintivamente, ci potrebbe indurre ad attraccare al famoso molo dell’art. 17.

CdS, Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328Questa deliberazione68 (decisamente favorevole) si riferisce ad un distinto caso in cui il Sindaco del comune di Monselice, nel gennaio 2002, ha ordinato – ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 – anche alla curatela di una società fallita, di provvedere alla rimozione dei rifiuti presenti in una certa area e di eseguire altri interventi di “bonifica” (da intendersi come rimozione di rifiuti e disinfestazione). Al riguardo, il comune ha sostenuto che la responsabilità imputabile al fallimento derivava dalla inottemperanza ai precedenti provvedimenti adottati nei confronti della società fallita. Il T.A.R. Veneto ha annullato tale provvedimento e, in sede di appello, la Quinta Sezione del CdS – confermando la decisione del giudice di prime cure – non ha riscontrato la sussistenza di quei presupposti69cui si è fatto cenno trattando delle sentenze CdS, Sez V, 16 novembre 2005 n. 6406 e 02 aprile 2003, n. 1678. Anzi, ha chiaramente precisato come tutta la questione vertesse solo sullo stabilire se lacuratela fallimentare potesse davvero essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla “bonifica” (sic!!) di siti, inquinati per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita (nella specie si trattava dell’imposta rimozione di migliaia di tonnellate di pneumatici). Al riguardo, il Giudice d’Appello ha statuito che la disponibilità giuridica degli oggetti presenti in loco (pneumatici) – per quanto qualificati dal comune come “rifiuti inquinanti” – non è sufficiente per imporre l’adempimento di un obbligo gravante sull’impresa fallita né tantomeno sulla curatela. Di questo particolare argomento, però, preferiamo trattare in una parte specifica – inserita nella successiva sezione 8 – dedicata, appunto, alla esigibilità di intervento da parte di una curatela fallimentare.

CdS, Sez. V, 20 gennaio 2003, n. 168Si tratta di una decisione70 molto particolare, ma, in definitiva, favorevole alla tesi in esame. In primo luogo la vertenza riguarda un provvedimento – adottato nel 1988 dal Sindaco di Santhià –, concernente la presenza di rifiuti (carcasse di animali, legname, lattine e rifiuti domestici) sulla superficie delle acque scorrenti nel Canale Cavour, volto ad impartire, alla Coutenza Canali Cavor, l’ordine di provvedere all’immediata rimozione e successivo smaltimento degli stessi. Esimendoci dall’approfondire il fatto che il T.A.R. Piemonte, in primo grado, abbia respinto il ricorso in base alla considerazione che il corso d’acqua non sarebbe qualificabile come luogo pubblico, resta da dire che il Consiglio di Stato ha riscontrato una carenza nelle ragioni – in fatto ed in diritto – richiamate d quel comune per imporre, alla citata Coutenza, l’obbligo di asporto e smaltimento dei rifiuti, pur non essendo questa proprietaria del canale (demanio regionale) ma solo mera consegnataria; senza poi contare che, oltretutto, trattavasi di rifiuti abbandonati sicuramente da altri.
Anche nella sentenza del gennaio 2003 il Collegio ha ritenuto che non sussistessero motivi per discostarsi dal principio secondo cui l’ordine sindacale d’urgenza per motivi d’igiene, sanitari ed ambientali di smaltimento dei rifiuti, debba essere impartito, in linea di massima, al produttore dei rifiuti che li abbia abbandonati in aree pubbliche o private (anche non aperte al pubblico) o in acque pubbliche o private (in forza dell’art. 9 D.P.R. 10.9.1982 n.915) e non al proprietario dell’area in quanto tale (o al titolare della disponibilità del bene), salvo che non sia configurabile una compartecipazione del proprietario – anche soltanto colposa – a titolo di mancata vigilanza. In tale occasione – riferita al D.P.R. 915/82 – viene precisato come lo stesso principio sia stato poi confermato dall’art. 14 del decreto legislativo 5.02.1997 n.22 (successivo alla vicenda in esame), in cui si continua a prevedere la responsabilità solidale del proprietario, o dei titolari di diritti reali o personali di godimento, solo nel caso in cui tale violazione sia loro addebitabile a titolo di dolo o colpa.

▪ Sono queste le uniche decisioni veramente contrarie ?
Ci apprestiamo, adesso, ad indicare quali siano quelle decisioni del Consiglio di Stato che, in alcune occasioni, vengono richiamate dai Tribunali Amministrativi Regionali come indicanti posizioni chiaramentecontrapposte alla tesi di cui alla precedente sezione 6:

Ordinanza CdS, Sez. V, 06 maggio 2003, n.1740In primo luogo occorre rilevare come il provvedimento scaturigine dell’intero contenzioso fosse volto ad ottenere la presentazione di un progetto di bonifica, che è questione ben diversa dal valutare un mero ordine di rimozione di rifiuti abbandonati da ignoti. Subito dopo non si può nascondere come – a seguito dell’annullamento dell’ordinanza da parte del giudice di prime cure71 –, in appello, il comune di Follo abbia avuto ampio spazio per controdedurre, legittimamente ed a proprio piacimento, tutto quanto ritenuto favorevole alla conservazione del proprio atto, non essendosi costituito in giudizio l’appellato proprietario dell’area.
Quanto affermato, se non altro, traspare dal fatto che la Quinta Sezione si è così espressa: «… Rilevato che la mancanza di responsabilità personale in ordine alla determinazione dello stato di inquinamento del terreno non appare idonea ad escludere l’obbligo del proprietario di rimuovere i rifiuti…» . Quindi è del tutto evidente che la fattispecie trattata inerisca ad uno stato di contaminazione del suolo, più che ad un abbandono di rifiuti sullo stesso. Ci chiediamo come mai l’ordinanza venga a volte richiamata dai TT.AA.RR. per dirimere situazioni di mero abbandono di rifiuti.

Ordinanza CdS, Sez. IV, 9 dicembre 2003, n. 5432In questo caso, viceversa, è il comune di Brioso a non essersi costituito nel giudizio di appello e la Quarta Sezione del CdS ha concisamente definito la faccenda ritenendo: «… in questa fase, prevalente l’interesse pubblico alla rimozione dei rifiuti dal bene gestito dall’ANAS, indipendentemente dalla eventuale responsabilità dell’Ente (cfr V 6/5/2003 n. 1740)…». Così facendo, però, la Quarta Sezione ha richiamato l’ordinanza 1740/2005 della Quinta Sezione che, come abbiamo avuto modo di vedere, si riferiva ad un (sostanzialmente diverso) provvedimento, volto ad ottenere la presentazione di un progetto di bonifica!

In conclusione, se sono solo queste le decisioni cui capita che certi TT.AA.RR. facciano riferimento per avallare posizioni antitetiche alla congettura illustrata nella precedente sezione 6, tutto ciò non fa altro che confermare la mancanza di qualsiasi soluzione di continuità decisionale nella Quinta Sezione del Consiglio di Stato fra l’aprile del 2003 ed il novembre 2005 e, conseguentemente, la fondatezza della nostra tesi.

8 – Le decisioni dei Tribunali Amministrativi RegionaliE’ scontato che non tutte le decisioni adottate dal Giudice amministrativo di prime cure siano poi sfociate in un conseguente appello di fronte al Consiglio di Stato, quindi, per avere una panoramica più completa riteniamo conveniente scorrerne – velocemente e con descrizioni del tutto sommarie ed anche parziali – alcune fra le più significative dell’anno appena adesso conclusosi, sconfinando lievemente in quello ancora precedente. L’ intento resta immutato e continua ad essere quello di testare la solidità, o meno, della tesi inizialmente esposta, limitandoci ad una brevissima descrizione delle parti (a tal scopo) più significative delle sentenze prese in esame.

T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 dicembre 2005, n. 4243 (favorevole): Il T.A.R. Veneto, pochi giorni or sono, ha accolto un ricorso in quanto il provvedimento comunale impugnato, pur imponendo – ad un Consorzio – la messa in sicurezza, bonifica e ripristino di aree inquinate72, quale innegabile ed “…univoca attuazione delle disposizioni di cui all’art. 17 del d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22…” (potere tipico), si riferiva contemporaneamente anche all’ art. 14 dello stesso decreto (potere tipico), nonché all’art. 54, secondo comma, del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (potere atipico), senza che mai fossero ben definiti gli ipoteticamente palesati “gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini”, unici a poter giustificare il ricorso al potere di ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco; in assenza dei quali la competenza sarebbe dovuta rimanere al dirigente ex-art. 107 D.Lgs. 267/2000 (v. amplius in sezione 11: «La competenza per l’adozione dei provvedimenti»). Oltretutto, dalla sentenza emerge come non fossero state specificate – a seguito di un’accurata istruttoria – le ragioni per le quali il Consorzio ricorrente era stato ritenuto obbligato a partecipare all’attività di ripristino ambientale imposta dal Sindaco.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 28 settembre 2005, n. 15623 (favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso in quanto in nessuna parte del provvedimento impugnato sono stati anche solo dedotti i necessari profili di dolo o colpa che potessero giustificare l’obbligo imposto, dal comune all’ANAS, di procedere alla rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 14 D. Lgs. n. 22/97.

T.A.R. Friuli, 01 settembre 2005, n. 750 (favorevole): A differenza di quanto verificatosi nei primi due giudizi incardinatisi sulla stessa questione di fronte al Giudice friulano (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 dicembre 2003, n. 888 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 26 gennaio 2004, n. 12, di cui si è incidentalmente trattato nella precedente sezione 5), questa volta la colpevolezza del proprietario è stata provata e, da quel punto di vista, il provvedimento ritenuto giustamente legittimo; il ricorso, però, è stato ugualmente accolto ed il provvedimento comunale annullato, per non aver – il comune – avviato correttamente un procedimento amministrativo ex-legge 241/90 (ma questa è una questione ben diversa).

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 luglio 2005, n. 10383(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso ed annullato il provvedimento comunale con cui era stato imposto, all’ente proprietario di un’area, il ripristino dello stato dei luoghi in base alla mera titolarità di tale diritto reale, senza che risultasse esperita alcuna valida attività istruttoria tesa ad accertare l’identità dei veri responsabili dell’abbandono dei rifiuti, né in qualche modo indicata l’imputabilità, di tale condotta vietata, in capo al proprietario, né a titolo di dolo né di colpa. In questo caso il giudice di prime cure ha aggiunto che le caratteristiche del bene, ed in particolare la sua estensione e la sua difficile controllabilità, erano tali da non far emergere, in termini obiettivi, i necessari elementi di colpevolezza dell’ente proprietario.

T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 giugno 2005, n. 1041 (favorevole): A fronte del provvedimento comunale con cui è stato imposto a dei soggetti, in qualità di proprietari, di provvedere alla rimozione dei rifiuti presenti in una loro area, il T.A.R. ha precisato come l’Amministrazione avrebbe dovuto farsi carico di svolgere gli opportuni e congrui accertamenti del caso, intesi a verificare la sussistenza di fatti suscettivi di integrare le fattispecie di responsabilità dolosa o colposa a carico del proprietario stesso, esplicitandone compiutamente le ragioni. Diversamente, risulta essere stata imputata, a carico della proprietà, una responsabilità oggettiva non prevista dalla legge (in spregio a tutto quanto fatto dai proprietari – segnalazione alle autorità competenti, recinzione del terreno – per impedire l’abbandono di rifiuti sul terreno).

T.A.R. Umbria, 05 maggio 2005, n. 217 (favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso ed annullato il provvedimento comunale, escludendo l’esistenza, in capo ai proprietari incolpevoli, di un obbligo giuridico di provvedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati da terzi, derivante esclusivamente dalla loro qualità di titolari del diritto reale sull’area interessata dall’abbandono. Il comune resistente, oltretutto, non aveva neppure contestato il fatto che i ricorrenti fossero le “vittime” e non gli “autori” dell’abbandono dei rifiuti; anche se, nel farlo, non ha tenuto conto che l’obbligo di rimozione dei rifiuti presupponesse una condotta commissiva, dolosa o colposa, circa l’abbandono dei rifiuti stessi.

T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263 (favorevole): Il T.A.R. ha respinto il ricorso dei proprietari dell’area in quanto – pur riconoscendo che, in relazione a situazioni in cui non vi è alcun nesso tra la condotta commissiva consistente nell’abbandono dei rifiuti e la posizione del proprietario, possessore o detentore del suolo, il parametro della colpa non può che essere quello ordinario, consistente nella diligenza del buon padre di famiglia – ha ritenuto diverso il caso in cui l’abbandono incontrollato di rifiuti sia la conseguenza dell’esercizio (secondo modalità illecite) di un’attività economica consentita dal proprietario stesso (Vds. anche la parte rubricata «casi particolari di colpa» nella sezione 11). In tale specifico caso, per il Giudice di prime cure, è risultato impossibile negare che vi fosse un nesso tra il comportamento illecito posto in essere dall’imprenditore conduttore dell’immobile e l’utilità che il proprietario locatore ritraeva (di regola, a titolo di canone di affitto) dalla concessione dei diritti di utilizzazione dell’immobile; risultando facilmente attribuibile al proprietario la negligenza di non aver sentito il bisogno di “stare accorto” circa la possibile insorgenza di problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti prodotti dal locatario, quale tipico effetto largamente prevedibile nell’esercizio di un’attività economica (sia per difficoltà tecnico-gestionali, se non per la tentazione di ampliare i margini di profitto riducendo i costi legati alla protezione ambientale).

T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582(favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso della società – proprietaria dell’area destinata a verde pubblico ed accessibile a terzi – alla quale il comune aveva imposto di provvedere all’asporto dei rifiuti ivi rinvenuti73 ed il ripristino dello stato dei luoghi. Il Giudice per il Lazio ha negato qualsiasi rilevanza alla palesata inadeguata sorveglianza dell’area, così come all’assenza di recinzione e mancata apposizione di cartellinon ritenendole affatto condotte omissive – causa di un eventuale danno ambientale commesso da terzi – ma reputandoli meri deterrenti contro eventuali scarichi abusivi operati da altri. E’ stato ribadito – sulle orme della sentenza CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935– che il dovere di diligenza, che fa carico al titolare di un fondo, non può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza, da esercitarsi giorno e notte, per impedire ad estranei di invadere l’area e – per quanto riguarda la fattispecie regolata dall’art. 14 più volte citato – di abbandonarvi dei rifiuti; tanto da esser stato riconosciuto che la richiesta di un impegno di tale entità travalicherebbe oltremodo gli ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di famiglia), che è alla base della nozione di colpa, quando questa è indicata in modo generico e senza ulteriori specificazioni, come risulta nel caso esaminato.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 aprile 2005, n. 5318 (favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso presentato dall’ente proprietario di un’area, che si era visto notificare dal comune un provvedimento volto ad imporre la pulizia del fondo mediante la rimozione dei rifiuti ivi abbandonatati, osservando che gli adempimenti concernenti il ripristino dell’area oggetto dell’abbandono dei rifiuti non potevano essere addossati indiscriminatamente al proprietario per tale sua qualità, essendo necessario un comportamento anche omissivo di corresponsabilità e quindi un coinvolgimento (doloso o quantomeno colposo) del proprietario nell’inquinamento. Inoltre il Giudice ha rilevato che si sarebbe resa necessaria una specifica valutazione che evidenziasse concreti aspetti di corresponsabilità del titolare del fondo, anche in termini di comportamento omissivo specificamente ecausalmente correlato, in funzione agevolatrice, alla realizzazione della condotta vietata. Il Tribunale ha inoltre precisato che l’obbligo giuridico di impedire un evento è, in generale, configurabile a carico di chi sia al riguardo investito di una posizione di garanzia, in presenza della quale il soggetto, qualora l’evento abbia a verificarsi, può esserne ritenuto responsabile (dell’evento) anche a titolo di concorso con l’autore materiale. Non esiste però alcuna disposizione che ponga a carico del proprietario (o del titolare di altri diritti reali o di godimento) l’obbligo giuridico di impedire la discarica abusiva posta in essere da terzi, nè la responsabilità può causalmente farsi discendere dall’omissione di obblighi generici di custodia che comunque non sono affatto finalizzati, e dunque non sono rilevanti, al fine di impedire l’evento, nella specie, appunto, la discarica abusiva.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 aprile 2005, n. 6348 (favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso in quanto, nell’atto impugnato, il Comune non ha minimamente dedotto alcun profilo di dolo o colpa della ricorrente A.N.A.S. s.p.a., che fosse idoneo a giustificare la diffida alla rimozione dei rifiuti, limitandosi ad accollare tale onere all’ente “quale diretto proprietario e gestore del Raccordo”.

▪ Una breve parentesi sulla responsabilità della curatela fallimentare
Due delle sentenze74 destinate ad essere richiamate subito di seguito, ci consentono di riprendere l’argomento accennato – nella sezione 7 – mentre trattavamo della sentenza CdS, Sez V, 29 luglio 2003, n. 4328. In quel caso (del CdS del luglio 2003), mentre il comune sosteneva che “il fallimento” – subentrando negli obblighi facenti capo all’impresa fallita – fosse tenuto all’adempimento dei doveri derivanti dall’accertata responsabilità della stessa impresa, Palazzo Spada aveva statuito che il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comportava necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (intesa comerimozione di rifiuti e disinfestazione). Sempre in tal caso – abbiamo già visto che – la Quinta Sezione del CdS ha evidenziato come la disponibilità giuridica degli oggetti presenti in un certo sito non sia sufficiente, di per sé, a legittimare l’imposizione autoritativa dell’adempimento di un obbligo gravante sull’impresa fallita né tantomeno sulla curatela. Inoltre, proprio il verificatosi richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti, ha consentito al Giudice d’Appello di evidenziare che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito, soprattutto quanto – come nel caso specifico – il fallimento non viene neppure autorizzato a proseguire l’attività precedentemente svolta dall’impresa fallita. Quindi, nella vertenza trattata, non sussistevano neppure i presupposti per poter collegare l’obbligo di “bonifica” del sito con l’attuale svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti.
Del tutto in linea con queste conclusioni del Giudice superiore, risultano essere anche le due sentenze appresso richiamate; le quali, oltretutto, devono considerarsi favorevoli nel confermare la tesi di cui trattasi.

T.A.R. Lazio, Latina - 12 marzo 2005, n. 304 (favorevole): Il T.A.R. ha accolto il ricorso di un curatore fallimentare cui era stata imposta, dal comune territorialmente competente, la rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati sull’area della società fallita. La ragione delll’accoglimento è duplice: sia perché i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito non costituiscono “beni” da acquisire alla procedura fallimentare (e, quindi non formano oggetto di apprensione da parte del curatore)75, sia perché – in ogni caso – il comune non si era fatto carico di provare il dolo o la colpa del curatore ai fini dell’abbandono dei rifiuti stessi.

T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 10 marzo 2005, n. 398 (favorevole): Anche in questo caso il T.A.R. ha accolto il ricorso, proposto dalla curatela di un fallimento, avverso l’ordine – impartitole – di bonificare, dai rifiuti speciali ivi depositati, l’area dello stabilimento già in uso alla società fallita. Le ragioni dell’accoglimento sono molteplici:
√ il comune aveva già ingiunto alla ditta fallita lo stesso ordine senza ottenere alcun risultato, evidenziando con ciò, in maniera del tutto palese, l’estraneità della curatela fallimentare riguardo alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati in quell’area;
√ insussistenza di una corresponsabilità del fallimento, anche meramente omissiva, in relazione alle condotte poste in essere dall’impresa fallita, in quanto il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti imputabili alla società fallita;
√ il fatto che – come già detto in precedenza – la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito;
√ l’aver appurato che il fallimento non sia stato autorizzato a proseguire l’attività precedentemente svolta dall’impresa fallita, tanto da non poter neppure collegare l’obbligo di bonifica del sito allo svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti da parte della curatela;
√ l’insussistenza di un rapporto causale tra l’operato della curatela e i fatti che hanno dato luogo al procedimento di cui l’atto impugnato costituisce l’epilogo;
√ in ultimo – ma non per importanza – l’ impossibilità di ricondurre anche solo a colpa della curatela il comportamento inquinante posto in essere dall’impresa fallita.

Unico rimedio esperibile da parte dell’amministrazione procedente sarebbe stata l’esecuzione d’ufficio dello smaltimento, in danno dei soggetti obbligati (art. 14, comma 3 del D.Lgs. n. 22/1997), mediante insinuazione al passivo fallimentare (cfr. art. 18, comma 5, D.M. 25 ottobre 1999, n. 471)76.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 839 e 840 (favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento del comune di Caivano77 trattandosi di un ordine indiscriminatamente rivolto al proprietario, o comunque al soggetto che aveva la disponibilità dell’area,senza verificarne l’imputabilità “a titolo di dolo o colpa” per i verificatisi fatti di abbandono e/o di deposito incontrollato di rifiuti. Il T.A.R. è giunto a specificare che, non risultando accertato alcuncomportamento, anche omissivo, specificamente e causalmente correlato, in funzione agevolatrice, alla realizzazione della condotta vietata, manca qualsiasi indizio di corresponsabilità – e quindi un coinvolgimento doloso o quantomeno colposo – del proprietario all’inquinamento, così come manca qualsiasi disposizione che ponga a carico del proprietario (o del titolare di altri diritti reali o di godimento) l’obbligo giuridico di impedire la discarica abusiva posta in essere da terzi.

T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 03 febbraio 2005, n. 120 (favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento emanato dal Comune di Castellammare del Golfo per una situazione – speculare alla precedente – che ha visto ordinare al proprietario di aree, ubicate a ridosso del lato sud del cimitero comunale, di procedere “al ripristino dello stato dei luoghi, alla rimozione e bonifica” delle stesse, senza accertarne assolutamente l’imputabilità a titolo, quantomeno, di colpa. Dalla sentenza risulta addirittura che l’abbandono dei rifiuti in questione, in qualche modo, avrebbe potuto essere imputato anche al comune, resosi responsabile dell’apertura di un ingresso secondario nella recinzione dell’ampliamento in itinere dell’area cimiteriale.

T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 02 febbraio 2005, n. 435 (contraria): Si denota, in primo luogo, una certa assonanza con l’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959 (fin qui più volte citata), ma anche una presumibile contraddizione con la sentenza dello stesso Giudice: T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. II, 22 luglio 2004, n. 5368 (di cui si dirà nel prosieguo).
In questo caso del febbraio 2005, il T.A.R. ha respinto il ricorso presentato dal Consorzio speciale per la bonifica di Arneo che (in questa occasione!) viene considerato titolare di diritti “…in tutto assimilabili a quelli del titolare di diritti di consistenza reale ovvero assimilabili a quelli personali di godimento…” su di una pista carrabile (una strada asfaltata lunga circa 65 km.) posta al servizio della condotta adduttrice “Irrigazione Salento”, avente la primaria funzione di consentirne la manutenzione78. Il provvedimento sopravvissuto – non sappiamo se giustamente – all’empasse di “primo grado”, era stato emanato dal Comune di Sava ed imponeva al predetto Consorzio, “in quanto concessionario”, di provvedere a bonificare (con le modalità previste dalla legge vigente in materia) le zone interessate dai materiali e rifiuti ivi abbandonati, ed inoltre a: sistemare ed integrare la segnaletica stradale, proteggere con opportuni sistemi di chiusura la struttura e la viabilità del servizio e, infine, incrementare la vigilanza con personale all’uopo incaricato.
A ben vedere si tratta di un caso limite, ma non si comprende ugualmente la ragione per cui il T.A.R., in questa occasione, abbia sottolineato – in maniera enfatica – come le aree in questione non fossero adibite ad un uso pubblico79. Male che vada – diciamo noi! – saranno state aree aree private comunque soggette ad uso pubblico! Si tratta di un argomento, a nostro avviso, del tutto inconferente ed immeritevole di qualsiasi pregio, dal momento in cui, trattandosi di un provvedimento risalente all’anno 2004, la questione dell’uso pubblico o meno di un’area80 avrebbe potuto acquisire rilevanza ai fini della qualificazione – come “urbani” o meno – dei rifiuti abbandonativi, ma non poteva incidere in alcun modo riguardo alla previsione di cui all’art. 14 del D.Lgs. 22/97, nel quale ci si riferisce a: «…abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo …» (senza l’attribuzione di alcuna qualificazione o caratteristica limitativa) ed a «… il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area …». Quindi, se effettivamente (ammesso e non concesso) fosse stato possibile attribuire al Consorzio la titolarità di diritti reali o personali di godimento81 sull’area, non si esclude affatto che lo stesso potesse essere chiamato ad intervenire, ma solo e soltanto a condizione di potergli attribuire la violazione a titolo di dolo o colpa.
Il T.A.R. in questione, giunge persino a definire “non pertinente” il richiamo operato – dalla difesa del Consorzio – alla precedente sentenza, della stessa sezione, n. 5368/2004 (sulla quale, poco più avanti, si riporteranno alcune considerazioni) «…in quanto nel caso citato le risultanze del giudizio (n.d.r. di quel giudizio) si erano basate sull’esito di una diversa istruttoria, da cui era emerso come l’opera fosse adibita ad “uso pubblico quasi esclusivo”…» (n.d.r.: così motiva il T.A.R.!!). In proposito, vogliamo far notare che (in quel giudizio precedente) si trattava di un evento sempre riguardante lo stesso Consorzio ed anche la stessa opera (stessa strada di circa 65 Km) interessata da scarichi abusivi di rifiuti. Questo ci fa propendere per attribuire a tale argomento (l’uso della strada e delle aree) una scarsa capacità discriminatoria!
Il T.A.R., inoltre, risulta anche aver assunto una posizione nettamente minoritaria, considerando che: « …il grado di colpa richiesto dalla norma richiamata al fine di individuare in capo al soggetto titolato l’obbligo di recupero, smaltimento e ripristino (n.d.r. quindi l’art. 14 del D.Lgs. 22/97) risulta essere quello della mera colpa lieve, con la conseguenza che sarà possibile (anche) la sola verifica in concreto di tale tipo di colpa al fine di confermare la sussistenza in capo a lui dei predetti obblighi…» (Vds. la parte rubricata «il grado della colpa» nella sezione 11).
Infine e finalmente, il Giudice di prime cure risulta aver affrontato l’unico aspetto cui riteniamo possa essere attribuita una qualche importanza: la possibile colpevolezza del Consorzio. Il T.A.R. lo fa fornendo rilievo al fatto che, nel corso degli anni, lo stesso Consorzio non abbia tenuto una condotta connotata da quel minimum di diligenza che avrebbe consentito di evitare il (o, almeno, di attenuare il rischio del) deposito ed accumulo indiscriminato di rifiuti, individuando come elementi dimostrativi:
√ che gli accumuli di materiali erano di carattere pluridecennale;
√ che il Consorzio non risultava aver attivato alcuna iniziativa volta ad attenuarne l’impatto o ad impedirne la formazione;
√ che i cartelli, indicanti il divieto di accesso alla pista82 quasi interamente divelti, non sarebbero mai stati sostituiti nonostante la loro “evidente” idoneità (n.d.r. a nostro avviso tutta da dimostrare!!) a prevenire (ed in parte, ad attenuare) il lamentato, indiscriminato deposito di rifiuti.
Pur stazionando ancora nella “nostra mente” un forte dubbio circa l’evidente “idoneità” attribuita dal T.A.R. alla cartellonatura (di cui si dirà nel prosieguo), l’unico elemento che, in qualche modo – rifacendosi al contesto dell’ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959 – può essere letto in termini di colpevolezza del Consorzio è costituito dal lungo periodo di giacenza dei rifiuti.
In ogni caso, ammesso (ma non concesso): • che esista davvero una spiegazione logica al fatto che, per la stessa strada e per lo stesso Consorzio – nella sentenza che di seguito viene trattata –, la medesima Sezione del medesimo T.A.R. sia giunta a conclusioni, a dir poco, antitetiche (Cfr. punti a, b e c del successivo commento alla T.A.R. Puglia 5368/2004); • che forse, nel caso del comune di Sava, i rifiuti non erano costituiti da elettrodomestici abbandonati; e • che (forse), nel caso del comune di Avetrana (di cui vedremo subito dopo), i rifiuti potevano essere stati scaricati da poco tempo; resta comunque incomprensibile la ragione per cui una stessa strada, una volta, possa essere ritenuta pubblica e/o aperta al pubblico ed impossibile da sorvegliare, mentre, dopo solo sei mesi (non 6 lustri!), la si consideri, viceversa, privata ed anche ben controllabile. Il tutto a parità di insussistenza di accertamenti concreti circa la responsabilità dello stesso Consorzio. E’ evidente che ci mancano elementi cognitivi importanti, senza i quali siamo costretti a porre termine al nostro esame, ma non ai nostri legittimi dubbi.

T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez II, 22 luglio 2004, n. 5368 (inspiegabilmente favorevole): Lo stesso T.A.R. Puglia, circa sei mesi prima, aveva accolto il ricorso esperito, dallo stesso Consorzio speciale per la bonifica di Arneo, avverso un analogo provvedimento emanato, stavolta, dal comune di Avetrana – ma sempre – con riguardo a rifiuti abbandonati nella stessa pista carrabile (sempre una strada asfaltata lunga circa 65 km.) posta al servizio della condotta adduttrice “Irrigazione Salento”.
In questa occasione il ricorso risulta essere stato accolto in base alle seguenti considerazioni:
√ quando una strada – sia pure privata «…cosa che non è nel caso di specie…» (n.d.r.: così si esprime il TAR in questa occasione!) – viene assoggettata in modo continuativo ad uso pubblico (in modo che si ha una situazione corrispondente all’esercizio di una servitù) «…incombe all’Ente esponenziale di quella collettività curare la manutenzione della strada medesima…» (n.d.r.: comune territorialmente competente) «… come il Collegio ha avuto modo di osservare in alcune recenti pronunce (relative a fattispecie analoghe – T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, sentenze n. 818/04, n. 1183/04 e n. 2265/04)…». E’ per questa ragione che, da parte del T.A.R., si è ritenuto venisse «… meno l’unico elemento che avrebbe potuto (sia pure in presenza di altre condizioni, come si vedrà) giustificare l’adozione dell’ordinanza impugnata…»; aggiungendo che «…l’art. 7, comma 2, classifica come rifiuti urbani, fra gli altri “...d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico....”, mentre l’art. 21, comma 1, prevede che siano i Comuni ad effettuare la gestione dei rifiuti urbani, per cui già da ciò risulterebbe l’illegittimità in parte qua dell’ordine di smaltimento intimato al Consorzio di Bonifica di Arneo…»83;
√ non è risultato che il Comune avesse, in qualche modo, proceduto ad accertare eventuali responsabilità in capo al Consorzio… per cui, sul punto, l’ordinanza impugnata è stata ritenuta carente, sia dal punto di vista istruttorio, sia da quello motivazionale;
√ per il fatto che : «…la tipologia dei rifiuti abbandonati (lavatrici, frigoriferi, etc.) fa pensare che l’area sia utilizzata da numerosi cittadini incivili come discarica abusiva, approfittando del fatto che si tratta di area aperta al pubblico e impossibile da sorvegliare da parte del Consorzio (il cui personale si reca in loco solo quando deve eseguire lavori di manutenzione della condotta)…»

Ogni ulteriore commento risulterebbe soltanto ridondante!

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 31 gennaio 2005, n. 559 (favorevole): il T.A.R. ha accolto il ricorso presentato da chi si è visto notificare l’ordine (del Comune di Caivano) di provvedere alla pulizia di proprie aree84, in quanto individuato proprietario dei fondi in stato di abbandono e privi di recinzioni quanto meno adeguate. Il Tribunale amministrativo per la Campania, in tale occasione, ha ribadito che l’ordine di smaltimento rifiuti riveste natura di sanzione avente carattere ripristinatorio, e, come tale, presuppone l’accertamento della responsabilità da illecito in capo al destinatario (questione del tutto trascurata, vista la genericità della parte narrativa del provvedimento cassato), non sussistendo, viceversa, alcun obbligo a carico del proprietario incolpevole.

T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 gennaio 2005, n. 227 (favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento con cui il Comune di Monselice – dopo due precedenti provvedimenti censurati dallo stesso Giudice – aveva ordinato, alla società proprietaria di un’area, la rimozione dei materiali ivi presenti, senza che – ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n.22/97 – fossero stati rinvenuti a carico della stessa elementi di dolo ovvero di colpa; limitandosi, peraltro, ad elencare in narrativa una serie di mere “preoccupazioni” per la salute e l’igiene pubblica. Il Collegio giudicante, in questo caso, ha ribadito che l’onere posto – dal citato articolo 14 – a carico delle amministrazioni è di carattere positivo, tanto che spetta ad esse dimostrare la sussistente colpevolezza del proprietario dell’area interessata dall’abbandono di rifiuti.

T.A.R. Sardegna, Sez. II, 24 gennaio 2005, n. 104 Il T.A.R. ha respinto il ricorso della società ricorrente, ma sol perché il comune di Olbia aveva ordinato a questa di eliminare quella quantità di pneumatici, depositati presso la propria sede, che risultassero “in eccedenza” rispetto ai limiti di stoccaggio autorizzati dalla Regione, o dalla Provincia, o dai Vigili del fuoco in materia di prevenzione incendi, vista la natura pericolosa dei rifiuti che rendeva urgente tale l’intervento. Quindi nulla quaestio rispetto alla tesi che stiamo esaminando, salvo il fatto che, per questo tipo di pretesa l’amministrazione non avrebbe dovuto utilizzare l’art. 14 del D.Lgs. 22/97.

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 14 gennaio 2005, n. 114 (favorevole): Il T.A.R. ha annullato il provvedimento del Comune di Caivano – con cui, fra le altre cose, si imponeva alla proprietà di una certa area di “. . . rimuovere i rifiuti non pericolosi ed avviarli al recupero e/o allo smaltimento secondo la natura degli stessi…” – sempre per il fatto di non aver dimostrato la colpevolezza del destinatario del provvedimento.

T.A.R. Basilicata, 20 dicembre 2004, n. 831 (favorevole): Il T.A.R. ha respinto il ricorso presentato dall’ANAS avverso l’ordinanza dirigenziale di un comune, con cui, fra le altre cose, si imponeva di provvedere alla rimozione e all’avvio a recupero/smaltimento di tutti i rifiuti incautamente abbandonati sull’area utilizzata da una ditta appaltatrice dell’ANAS, ritenendo quest’ultima solidalmente responsabile. L’A.N.A.S., in qualità di appaltatrice dei lavori, è stata considerata colpevole per culpa in vigilando, e quindi per aver “omesso di vigilare affinché, al termine dell’esecuzione del contratto di appalto, la ditta appaltatrice provvedesse al ripristino dello stato di fatto esistente prima dell’installazione e dell’apertura del cantiere e, conseguentemente, ad eliminare lo stato di degrado igienico-ambientale”.
Il fatto che, nel caso di specie, il provvedimento del comune sia scaturito da un “ordine”, del Sostituto Procuratore della Repubblica del Tribunale territorialmente competente, precipuamente rivolto all’emissione del provvedimento ex art. 14, terzo comma, D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22, ci stimola una digressione, sostanzialmente fondata su di un’attenta analisi condotta da un caposcuola della materia85.

▪ Quando la "richiesta" proviene dall’Autorità giudiziaria
Un provvedimento amministrativo volto ad imporre la rimozione di rifiuti abbandonati non può trovare una sua legittimità, o autonomo titolo giuridico, per il solo fatto di essere stato formalmente “richiesto” dalla Procura della Repubblica. L’autorevole provenienza di una tale richiesta non può giustificare ex se l’iniziativa di adottare un provvedimento amministrativo – appunto ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 22/97 – che non trovi comunque, nella realtà fattuale, i necessari presupposti idonei a renderlo correttamente “motivato”.
Ne consegue che, anche nel caso in cui sia proprio la Magistratura ad interessare un’amministrazione comunale per gli adempimenti amministrativi di competenza, c’è sempre per fortuna chi86, autorevolmente, ci ricorda come – alla luce del sistema costituzionale vigente, fondato sui principi della divisione o separazione dei poteri (legislativo, giurisdizionale e potere esecutivo e della funzione amministrativa; che pure prevedono norme specifiche di coordinamento e/o collaborazione) – qualunque invito/richiesta, di cotal provenienza, debba intendersi come riferita all’eventuale adozione deiprovvedimenti (e non “adempimenti”) amministrativi di rispettiva competenza. Tanto che il comune deve ritenersi interessato non tanto da una richiesta di “adempiere” ad un obbligobensì di esercitare una funzione (alla bisogna, in forma di atti di urgenza) cioè di una «potestà pubblica» (e quindi di un potere/dovere) caratterizzata da discrezionalità sull’an e/o sul quando e/o quomodo87.
Si tratta di un potere che si estrinseca – appunto – nel dare applicazione a quella norma giuridica che l’amministrazione comunale ritenga sia da individuare come la più idonea a soddisfare, in quel caso specifico, l’interesse pubblico (nel caso: ambientale/sanitario), di cui è intestataria quale ente investito di autonomia, ex art. 114 e 117 della Costituzione. In tale assetto costituzionale88 – fondato sull’autonomia del poteri pubblici indicati – non compete certamente alla magistratura (inquirente o giudicante) rivolgere alcuna sollecitazione o suggerimento alla Pubblica amministrazione89 e, ancor meno, fare richieste di “adempimenti amministrativi” (con indicazione di tipologie di provvedimenti da assumere e/o norme da applicare), fermo restando il potere/dovere di collaborare e/o coordinarsi con la stessa, così come di perseguire le eventuali inerzie o le omissione dei pubblici funzionari, ove tali condotte costituiscano reato (appunto nell’esercizio della propria ed autonoma funzione giurisdizionale).
A conclusione della breve parentesi appositamente plasmata, possiamo ribadire che, per quanto possa essere stato l’Organo Giudiziario ad aver richiesto adempimenti amministrativi, il comune è sempre e comunque tenuto a svolgere i previsti e preliminari atti istruttori di indagine (sopralluoghi, ispezioni, valutazioni, ecc. – anche se urgenti –) per acquisire i minimi e indispensabili elementi di fatto (dati tecnici) che gli consentano sia di adottare l’atto più idoneo, tipico o atipico, a fronteggiare – in via ordinaria o d’urgenza – la vicenda, sia di motivare conseguentemente, su tali acquisizioni istruttorie – sul piano della discrezionalità tecnico/amministrativa –, l’autonoma scelta operata (che potrebbe anche non coincidere con quanto indicato nella “comunicazione” ricevuta)90.

T.A.R. Piemonte, Sez. II, 06 marzo 2004, n. 365 (contraria, ma riferita al DPR 915/82 e ad un “presunto” potere di ordinanza contingibile ed urgente): Il T.A.R. ha respinto il ricorso del proprietario dell’area deducendo, dal testo dell’art. 8 (rectius: articolo 9)91 del previgente D.P.R. n. 915/82 (in forza del principio “tempus regit actum”) che:
a) all’epoca dei provvedimenti impugnati, «…leggi ordinarie ponevano infatti limiti agli aspetti che concorrono a formare la sostanza del diritto dominicale; tra tali limiti spiccavano quelli rivolti alla tutela dell’ambiente. Il proprietario, quindi, non poteva concorrere con il godimento del suo bene ad arrecare danno all’ambiente, e quindi nel caso di specie – pur in presenza dell’assoluzione penale – il proprietarionon poteva lasciare il suo bene in condizioni tali da nuocere alla salute pubblica…La responsabilità penale risponde a canoni diversi dalla responsabilità civilistica del proprietario nei confronti della collettività, per cui doveva essere il proprietario stesso a rimuovere i rifiuti in questione, salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti dei responsabili diretti….»;
b) il Comune di Poirino si era avvalso dei poteri riconosciutigli dalla normativa in vigore all’epoca, e quindi dell’art. 9 D.P.R. n. 915/82, il quale, secondo il T.A.R., «… non esplicita il carattere sanzionatorio del rimedio ivi contenuto – a differenza di quanto accade per il sopravvenuto art. 14 D.Lgs. n. 22/97… – portando a ritenere che il legislatore non intendesse (n.d.r.: chissà da cosa lo si è dedotto!!) ancorare l’intervento di ripristino a principi legati all’individuazione dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, nell’ipotesi in cui l’ordine conseguente fosse indirizzato al proprietario… »;
c) «… Non è dunque un provvedimento orientato verso il passato, a colpire i responsabili di un determinato fatto storico, ma verso il futuro, per eliminare una situazione di pericolo in atto. Ne consegue che la detta ordinanza può essere legittimamente indirizzata al proprietario attuale dell’area, vale a dire a colui che si trova con quest’ultima in un rapporto tale da consentirgli di eseguire gli interventi ritenuti necessari al fine di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché essa sia da imputarsi a terzi, quali ignoti o finanche il precedente proprietario, salvo, ovviamente, il diritto di rivalsa nei confronti di questi (Cons. Stato, Sez. V, 2.4.2003, n. 1678 e Sez. V, ord. 6.5. 2003, n. 1740).…»
Tutta la questione, per quanto appena adesso riportato, ci preoccupa relativamente, essendo riferita ad una norma oramai abrogata. Ciò non elimina, tuttavia, l’opportunità di rilevare che:
√ il fatto che la giurisprudenza prevalente, richiamata già nella sentenza T.A.R. Toscana, sez. II, 01 agosto 2001, n. 1318 (cfr., in tal senso, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 7 dicembre 1995, n. 1442, T.A.R. Lombardia, Brescia, 17 ottobre 1994, n. 580 e 21 dicembre 1993, n. 1051, T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 10 luglio 1992, n. 230; T.A.R. Sicilia, Catania, 15 dicembre 1994, n. 2773, T.A.R. Toscana, sez. I, 1 luglio 1994, n. 414 e 16 gennaio 1990, n. 13), aveva da tempo riconosciuto come: «…Già nel vigore dell’art. 9, D.P.R. n. 915/1982, ……. maturato un orientamento in base al quale l’ordine di smaltimento, in tali ipotesi, non poteva essere volto indiscriminatamente nei confronti del proprietario o del soggetto che avesse la disponibilità dell’area interessata, in quanto in capo ai soggetti destinatari deve individuarsi una responsabilità basata su un comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità con l’autore dell’abbandono illecito…»92, rivelando una consolidata controtendenza rispetto a quanto appena sopra indicato alla lettera b); con tanto di postuma, e risolutiva, conferma che ci viene offerta dalla sentenza CdS, Sez V, 08 febbraio 2005, n. 323, di cui si è già ampiamente trattato.
√ Il T.A.R. Piemonte, per confermare le proprie deduzioni, ha richiamato la sentenza del CdS, Sez V, 02 aprile 2003, n. 1678, già vista in precedenza (l’inconsistente affinità con il caso trattato dal CdS nel 2003 ci lascia veramente perplessi, in quanto – come si è già visto – quello del 2003 era un evidente e particolare caso di ordinanza contingibile ed urgente, resasi necessaria anche a seguito di un principio di incendio, con riscontrata sussistenza del presupposto della necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, riconoscendo – in tal caso, ma non in quello affrontato dal T.A.R. Piemonte – la legittimità di provvedimenti extra ordinem).
√ anche l’essersi riferito (il T.A.R.), a scopo convalidante, all’ordinanza CdS, Sez V, 06 maggio 2003, n.174093 non fa che accentuare la nostra perplessità, ma non staremo a ripeterne le ragioni in questa sede.

T.A.R. Veneto, Sez. III, 14 gennaio 2004, n. 51 (favorevole, ma questione certamente particolare): Il T.A.R. dichiara inammissibile il ricorso presentato dal proprietario per nullità della procura ad litem rilasciata al difensore e – riferendosi esplicitamente al provvedimento con cui veniva ordinata la rimozione dei rifiuti esistenti nell’area della ricorrente – stranamente, anche per «… difetto di giurisdizionesiffatta misura ripristinatoria, che trova la sua fonte normativa nell’art. 14 del DLgs n. 22/97, si configura, infatti, come sanzione amministrativa – così è stata qualificata dalla Suprema Corte di legittimità con una pronuncia delle sezioni unite (26.6.2001 n. 8746) che il collegio condivide –, il cui sindacato giurisdizionale è attribuito dall’art. 22 bis della legge n. 689/81 (introdotto dal DLgs n. 507/99) al Tribunale civile….» (n.d.r.: probabilmente ci sta sfuggendo qualcosa!!)

T.A.R. Veneto, Sez. III, 14 gennaio 2004, n. 39(favorevole, ma questione particolare): si tratta di un caso in cui l’amministrazione comunale ha annullato in autotutela i provvedimenti impugnati, rendendo così improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il relativo ricorso proposto in via giurisdizionale dal proprietario dell’area.

Sono molte altre le sentenze che sarebbe stato possibile analizzare e valutare ma dobbiamo limitarci ad elencarle (rimanendo nel biennio 2004-2003): T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 novembre 2004, n. 1555; T.A.R. Campania, Salerno, 17 novembre 2004, n. 2033; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez I, 08 novembre 2004, n. 5681; T.A.R. Campania, sez. Salerno, 28 ottobre 2004; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 ottobre 2004, n. 2287; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez I, 08 ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Veneto, Sez. III, 05 ottobre 2004, n. 3594; T.A.R. Sicilia, Catania, sez I, 29 settembre 2004, n. 2715; T.A.R. Puglia, Bari, sez.III, 23 settembre 2004, n. 4178; T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 settembre 2004, n. 3256; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 05 agosto 2004, n. 2040; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 22 luglio 2004, n. 5368; T.A.R. Sardegna, Sez. II – Sentenza 19 luglio 2004, n.1076; T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II,29 giugno 2004, n. 1531; T.A.R. Emilia, Bologna, Sez II,29 giugno 2004, n. 1529; T.A.R. Puglia, Bari, sez III, 28 giugno 2004, n. 2823; T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 giugno 2004, n. 1016; T.A.R. Sicilia, Catania, 19 giugno 2004, n. 1765; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 19 marzo 2004, n. 3042; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 06 marzo 2004, n. 365; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I - 27 febbraio 2004, n. 2445; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 504; T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II – 6 febbraio 2004, n. 193; T.A.R. Friuli 26 gennaio 2004, n. 12; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 19 gennaio 2004, n. 244; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 15 gennaio 2004, n 34; T.A.R. Veneto, Sez, III, 14 gennaio 2004, n. 51; T.A.R. Veneto, Sez, III, 14 gennaio 2004, n. 39; T.A.R. Friuli, 20 dicembre 2003, n. 888; T.A.R. Trentino, Trento, 6 dicembre 2003, n. 466; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 28 novembre 2003, n. 3552; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 16 ottobre 2003, n. 12822; T.A.R. Basilicata, 18 settembre 2003, n. 878; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 15 settembre 2003, n. 11390; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 11 settembre 2003, n. 3317; T.A.R. Toscana, Sez. II, 1 agosto 2003, n. 3142; T.A.R. Molise, 30 giugno 2003, n. 500; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 12 giugno 2003, n. 7532; T.A.R. Toscana, 12 maggio 2003, n. 1548; T.A.R. Umbria, 17 aprile 2003, n. 290; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 16 aprile 2003, n. 3930; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 26 marzo 2003, n. 462; T.A.R. Veneto, sez III, 14 marzo 2003, n. 1830; T.A.R. Veneto, sez III, 14 marzo 2003, n. 1830; T.A.R. Liguria, Sez I, 11 marzo 2003, n. 297; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 27 febbraio 2003, n. 872; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 febbraio 2003, n. 1830; T.A.R. Valle d'Aosta, 20 febbraio 2003 n. 17; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, Ordinanza 22 gennaio 2003, n. 157: T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 15 gennaio 2003, n. 33; T.A.R. Emilia, Sez. Parma, 10 gennaio 2003 n. 15; ecc.

Concludendo questa sezione possiamo ritenere del tutto evidente come, le poche decisioni contrarie possano in ogni caso considerarsi o dubbie, o motivatamente instabili. Una statistica più accurata verrà riportata nell’apposita sezione 10, amenamente rubricata “i buoni ed i cattivi”.


9 – La Suprema Corte di Cassazione Si rende necessario un brevissimo e certamente incompleto accenno anche a decisioni adottate dalla Suprema Corte di Cassazione che, in qualche modo, si attagliano all’argomento in esame:

Cassazione Penale, Sez. III, 26 settembre 2002, n. 32158Risulta importante che anche il Giudice di Legittimità abbia statuito che, in tema di gestione di rifiuti: «… la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato di cui all’art. 51, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, (abbandono o deposito incontrollato di rifiuti), atteso che la condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell’art. 40 c.p., ovvero [quando] sussista l’obbligo giuridico di impedire l’evento…»

Cassazione Penale, Sez. III, 30 marzo 2001, n. 20930Secondo cui: «…In tema di gestione dei rifiuti, integra la contravvenzione di inottemperanza all’ordinanza del sindaco, legalmente data ai sensi dell’art. 14 comma 3 (e punita dall’art. 50 comma 2) d.l.gs. n. 22 del 1997, la condotta omissiva del concessionario per l’esecuzione di lavori pubblici su un’area di proprietà altrui, il quale non abbia provveduto a sgomberare la medesima dai rifiuti che ivi risultino (anche ad opera di terzi) abbandonati, atteso che il concessionario ha l’obbligo di conservazione, manutenzione e ripristino dei suoli di cui abbia la disponibilità o il godimento (nella specie per il solo periodo temporale della esecuzione di opere pubbliche), anche nell’ipotesi che il degrado sia stato determinato da un terzo. Imp. Morizio –- rv. 219012 –-…»

Cassazione Penale, Sez. III, 27 gennaio 2004, n. 2662Solo per dire che – con riguardo all’argomento da noi trattato – la Suprema Corte di Cassazione, riferendosi al proprietario di un’area interessata dallo scarico abusivo di rifiuti, evidenzia come la giurisprudenza94 non esclude la possibilità di concorso con condotta omissiva, ove (n.d.r.: e, quindi, anche se) sussista per questi uno specifico obbligo di agire95.

Cassazione Penale, Sez. III, 17 settembre 2002, n. 31003In questa occasione la Corte ha precisato che : «…In tema di smaltimento dei rifiuti, la sanzione di cui all’art. 50, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, per violazione dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, va applicata a chiunque non ottemperi a tale ordinanza e che sia stato nella stessa individuato quale responsabiledell’abbandono dei rifiuti o proprietario del terreno, indipendentemente dalla effettività di tale qualifica. Compete in tal caso ai soggetti interessati, al fine di evitare di rendersi responsabili dell’inottemperanza in questione,l’ottenimento dell’annullamento del provvedimento sindacale o la dimostrazione in sede penale dell’assenza della ritenuta condizione soggettiva onde determinare la disapplicazione dell’atto da parte del giudice ordinario. Si veda: Cass. 2000 n. 1783; Cass. 2001n. 930… »
Tutto ciò risulta palesemente conforme a quanto statuito con l’altra sentenza Cass Pen., Sez. III, 14 maggio 2004, n. 22791, concernente un caso in cui i provvedimenti di carattere amministrativo emanati a carico dell’imputato sono stati considerati «legalmente intimati». Quindi, non avendoli impugnati per via amministrativa, il proprietario dell’area (per quanto incolpevole) avrebbe dovuto osservarli, posto che: «… l’addebito riguardava un reato omissivo, punito dall’art. 50 co. 2° D.lgs. 22/97, integrato dall’inosservanza dei provvedimenti di rimozione dei rifiuti, legalmente intimati, ai sensi dell’art. 14 co. 3° parte seconda, dal sindaco all’attuale proprietario o possessore (quale era l’imputato all’epoca delle due ordinanze) dell’immobile interessato dal deposito incontrollato dei rifiuti, indipendentemente dalla risalenza della relativa giacenza, dalle personali ascrivibilità dei depositi e della provenienza dei materiali….»

Cassazione Penale, Sez. III, 09 ottobre 2002, n. 1594La Cassazione del 2002, in questo caso, conferma la sentenza del giudice di prime cure, evidenziando come il giudice di merito non ha affatto espresso la condanna degli imputati a titolo di responsabilità oggettiva, precisando che quand’anche i rifiuti fossero stati abbandonati sul posto da altre persone, incaricate o dipendenti degli imputati, questi ultimi ne avrebbero comunque dovuto rispondere a titolo diculpa in eligendo o in vigilando, in qualità di “titolari d’impresa” dell’agente; il che è sufficiente ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato contravvenzionale, punibile anche a titolo di colpa.

Cassazione Penale, Sez. III, 11 novembre 2004, n. 43955La Corte di Legittimità sottolinea come: «…il fatto che il soggetto proprietario del terreno, su cui altri abbia illegalmente formato il deposito di rifiuti, sia abilitato a rimuovere il deposito stesso, non può costituire una sorta di causa di esenzione da responsabilità per l’autore dell’illecito…»

Cassazione Penale, Sez. III, 18 luglio 2005, n. 26398In quest’ultimo caso la Suprema Corte non nega che uno dei criteri per l’individuazione del responsabile di un abbandono incontrollato dei rifiuti possa essere la titolarità del diritto di proprietà del terreno divenuto oggetto dello scarico abusivo. Dovendo però rilevare che la decisione di confermare la condanna inflitta in primo grado al ricorrente si sia basata anche sulla riscontrata costante presenzadell’imputato sul terreno stesso, determinata dallo svolgimento di una attività imprenditoriale e sul fatto che, comunque, gli organi comunali lo avevano individuato come effettivo responsabiledell’abbandono de quo.

10 – I “buoni” ed i “cattivi”Quale mera elencazione, atta a creare uno stacco dai ragionamenti cui fin qui è stato costretto l’impavido lettore, si ritiene utile ed ameno provvedere ad una separazione fra “buoni” e “cattivi”:

Le decisioni favorevoli alla tesi in esame
 CdS, Sez. V, 16 novembre 2005 n. 640696;
 CdS, Sez. V, 02 aprile 2003, n. 167897;
 CdS, Sez. V, 09 agosto 2005, n. 422498;
 CdS, Sez. V, 21 giugno 2005, Ordinanza n. 295999;
 CdS, Sez. V, 01 luglio 2002, n. 3596100;
 CdS, Sez. V, 08 marzo 2005, n. 935101;
 CdS, Sez. V, 08 febbraio 2005, n. 323102;
 CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136103;
 CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153104;
 CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 154105;
 CdS, Sez. V, 30 dicembre 2004, n. 8295106;
 CdS, Sez. V, 12 agosto 2004, n. 5549107;
 CdS, Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328108;
 CdS, Sez. V, 20 gennaio 2003, n. 168109;
 CdS, Sez. V, 02 aprile 2001 n. 1904110;
 T.A.R. Friuli, 01 settembre 2005, n. 750;

 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 26 luglio 2005, n. 10383;
 T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II - 22 giugno 2005, n. 1041;
 T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263;
 T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582;
 T.A.R. Umbria, 05 maggio 2005, n. 217;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 aprile 2005, n. 5318;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 aprile 2005, n. 6348;
 T.A.R. Lazio, Latina, 12 marzo 2005, n. 304;
 T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 10 marzo 2005, n. 398;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 840;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 07 febbraio 2005, n. 839;
 T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 03 febbraio 2005, n. 120;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 31 gennaio 2005, n. 559;
 T.A.R. Veneto, Sez. III, 26 gennaio 2005, n. 226 e n. 227;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 14 gennaio 2005, n. 114;
 T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 novembre 2004, n. 1555;
 T.A.R. Campania, Salerno, 17 novembre 2004, n. 2033;
 T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 08 novembre 2004, n. 5681;
 T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 ottobre 2004, n. 2287;
 T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 08 ottobre 2004, n. 5473;
 T.A.R. Veneto, Sez. III, 05 ottobre 2004, n. 3594;
 T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 29 settembre 2004, n. 2715;
 T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 23 settembre 2004, n. 4178111;
 T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 settembre 2004, n. 3256;
 T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 05 agosto 2004, n. 2040;
 T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 22 luglio 2004, n. 5368;
 T.A.R. Sardegna, Sez. II, 19 luglio 2004, n.1076;
 T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II, 29 giugno 2004, n. 1529 e n. 1531112;
 T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 28 giugno 2004, n. 2823;
 T.A.R. Sicilia, Catania, 19 giugno 2004, n. 1765;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 19 marzo 2004, n. 3042;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 27 febbraio 2004, n. 2445;
 T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 11 febbraio 2004, n. 504;
 T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II, 06 febbraio 2004, n. 193;
 T.A.R. Friuli, 26 gennaio 2004, n. 12113;
 T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 19 gennaio 2004, n. 244;
 T.A.R. Abruzzo, Pescara, 15 gennaio 2004, n. 34;
 T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento, 6 dicembre 2003 n. 292;
 T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 28 novembre 2003, n. 3552;
 T.A.R. Umbria, 17 aprile 2003, n. 290;
 T.A.R. Umbria, 21 maggio 2002, n. 301;
 T.A.R. Veneto, Sez. III, 09 maggio 2002, n. 2118;
 T.A.R. Toscana, Sez. II, 22 marzo 2002, n. 619114;
 T.A.R. Sardegna, Sez. II, 13 febbraio 2002, n. 667;
 T.A.R. Toscana, Sez. II, 7 giugno 2001, n. 1034;
 T.A.R. Umbria, 10 marzo 2000, n. 253;
 T.A.R. Lombardia, Sez. I, 4 gennaio 1999, n. 25.


Le decisioni contrarie alla tesi in esame
 CdS, Sez IV, 9 dicembre 2003, Ordinanza n. 5432115;
 CdS, Sez V, 06 maggio 2003, Ordinanza, n.1740116 ;

 T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. II, 02 febbraio 2005, n. 435117;
 T.A.R. Sardegna, Sez. II, 19 luglio 2004 ,n.1076118;
 T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 giugno 2004, n. 1016119;
 T.A.R. Piemonte, Sez. II, 06 marzo 2004, n. 365120;
 T.A.R. Piemonte, Sez. I, 26 marzo 2003, n. 462121 ( riformata );
 T.A.R. FRIULI, 29 settembre 2000, n. 692122 ( riformata );
 T.A.R. Marche, 16 aprile 1999, n. 452123 ( riformata );
 T.A.R. Piemonte, Sez. II, 27 settembre 1994, n.407124 ( riformata );
 T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 28 aprile 1994, n. 899125 ( riformata );


11 – Alcuni aspetti particolari Prima di giungere alle conclusioni riteniamo necessario dedicare un po’ di spazio ad alcuni particolari aspetti di cui si è fatto cenno nel corso della trattazione fin qui condotta.

La colpaIn ambito civile la colpa – assieme al dolo – è l’elemento soggettivo che, integrando la fattispecie dell’atto illecito, deriva dalla violazione di doveri di diligenza, perizia o prudenza ovvero dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline nell’esercizio di una attività, si sostanzia nella non volontarietà dell’evento; il quale, appunto, deve risultare cagionato da un comportamento meramente negligente, imprudente o imperito. Il danno derivante da tale comportamento colposo è fonte di responsabilità.
In ambito penale – sulla scorta della previsione ex-art. 43 c.p. – il delitto si definisce colposo (o contro l’intenzione)126 quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero, per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, e quindi viene a porsi in contrasto con determinate regole di condotta.
Con negligenza si intende la mancata adozione di regole cautelari; spesso identificata con la trascuratezza e/o con la mancanza di attenzione e/o di sollecitudine. L’imprudenza, invece, si sostanzia nel porre comunque in essere un comportamento, quando – al contrario – determinate regole cautelari lo avrebbero palesemente sconsigliato; si tratta quindi di avventatezza e/o scarsa considerazione degli interessi altrui. Resta in ultimo l’imperizia, che è una sorta di imprudenza qualificata, definibile anche come inettitudine o incapacità professionale “generica” o “specifica”; la quale, per quanto nota all’agente, non viene da questo tenuta in minima considerazione nel proprio agire.

Ai fini della presente trattazione acquista particolare rilievo la negligenza, chiaramente antitetica alla diligenza. Su tale scorta la colpa – nel nostro caso, del proprietario del terreno – può assumere connotazioni diverse in relazione al grado di diligenza richiesto (o meglio esigibile) in determinate occasioni. Solitamente si usa distinguere fra:
√ colpa grave : che deriva dalla inosservanza di quel minimo di diligenza che tutti dovrebbero avere;
√ colpa lieve : determinata dalla violazione della diligenza media (art. 1176 c.c.)127;
√ colpa lievissima : che si ha quando, per legge o per accordo, si pretenda una diligenza superiore alla media.

▪ Il grado della colpa
Per quanto concerne il grado della colpa (grave, lieve, lievissima), il terzo comma dell’art. 14 in oggetto, non deve essere interpretato come se riproducesse il tipico schema che caratterizza l’articolo 2050128 o l’articolo 2054129 del codice civile. Vale a dire che non può esser letto come se imponesse al proprietario (o soggetto assimilato) la rimozione dei rifiuti «se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno», ovvero « se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno». E’ di tutta evidenza che in tal caso: «… il legislatore avrebbe ben potuto usare esplicitamente una formula analoga a quelle degli artt. 2050 e 2054 cod. civ., se avesse voluto aggravare la responsabilità del proprietario oltre la soglia della colpa ordinaria, imponendogli l’onere della prevenzione attiva, e per di più invertire l’onere della prova. Poiché, invece, la norma è scritta come è scritta, si deve ritenere:
a) che non vi è presunzione di colpa, o inversione dell’onere della prova, e pertanto grava sul Comune l’onere di dimostrare che, in concreto, vi è stato un comportamento colposo; b) che non vi è unaggravamento di responsabilità oltre la soglia della colpa ordinaria né l’imposizione di un dovere di prevenzione attiva: per essere qualificato “colposo” il comportamento del proprietario deve risultarecontrario alla normale diligenza dell’uomo medio, o, se si vuole, del “buon padre di famiglia”
…» (T.A.R. Umbria, 21 maggio 2002, n. 301).
Il proprietario, pertanto, risponde per colpa lieve (oppure, ovviamente, per colpa grave) e non per colpa lievissima, in quanto gli viene richiesto di dover adottare una normale diligenza media e non unadiligenza superiore alla media (CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935). Risulta in tal senso acclarato che la colpa necessaria perché sussista la responsabilità ex-art. 14, comma 3°, D. Lgs. n. 22/97, deve essere valutata secondo i normali canoni di imputabilità, senza alcun aggravamento nel dovere di diligenza incombente sul proprietario dell’area, così come senza alcun obbligo di prevenzione attiva130. Esula quindi, dal novero delle esigibilità, l’obbligo di adottare misure particolari (installazione di recinzioni, utilizzazione di servizio di vigilanza armata 24 ore su 24, apposizione di cartelli di divieto) che, per il loro costo, la loro scarsa efficacia e la difficile praticabilità – soprattutto in ragione dell’estensione che possono assumere le aree interessate dall’abbandono di rifiuti – non risulterebbero affatto congrue rispetto al fine perseguito (ovvero impedire l’abbandono di rifiuti).

▪ L ‘ordinaria diligenza
A proposito di quale sia l’ordinaria diligenza, esigibile dall’uomo medio (o dal “buon padre di famiglia”) e quindi dal proprietario di un’area (interessata dallo scarico di rifiuti), occorre in primo luogo ricordare:
√ che l’abbandono abusivo di rifiuti si verifica in genere casualmente e sicuramente senza alcun preavviso;
√ che, per lo più, vengono prescelti – a tal fine – terreni remoti dall’abitato;
√ che, ad ogni modo, qualsivoglia terreno – anche impervio – è suscettibile di divenire ricettacolo di rifiuti131;
√ che un singolo soggetto può essere proprietario di terreni molto estesi e dispersi e, per ciò solo, più difficilmente sorvegliabili;
√ che è da escludere l’esistenza di un obbligo giuridico del proprietario alla rimozione dei rifiuti deposti sul proprio terreno da altri, derivante esclusivamente dalla qualità di proprietario dello stesso (Cosa diversa deve considerarsi l’esistenza di una norma locale che – pur indirettamente – lo preveda, come visto in occasione della sentenza CdS, Sez V, 30 dicembre 2004, n. 8295).
√ che non esiste per il proprietario di un’area un obbligo giuridico positivo di impedire che altri vi abbandonino dei rifiuti (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 29 aprile 2005, n. 5318; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 7 febbraio 2005, n. 839 e 840; T.A.R. Umbria, 05 maggio 2005, n. 217; Cassazione Penale, Sez. III, 26 settembre 2002, n. 32158).

Quindi – sempre sulle orme della saggezza del Giudice per l’Umbria, 21 maggio 2002, n. 301– deve escludersi che nell’ordinaria diligenza possa esser fatto/a rientrare:
a. il costante e continuativo controllo dei terreni da parte dei rispettivi proprietari affinché, né di giorno né di notte, vi vengano abbandonati rifiuti di vario genere;
b. il dover istituire un servizio di vigilanza che, per essere efficace, dovrebbe essere svolto da apposite guardie (probabilmente armate) presenti sul posto ventiquattrore su ventiquattro, con un onere economico insostenibile;
c. l’installazione di idonee132 recinzioni (visto che, come già detto, l’abuso si può verificare dovunque e che l’installazione di recinzioni, oltre che dispendiosa, non sempre è compatibile con la destinazione del terreno, senza contare eventuali vincoli urbanistici, ambientali, etc.)133;
d. l’apposizione di tabelle con scritte dissuasive (potendo, tutto sommato, considerarla superflua e, nello stesso tempo, inutile, dal momento in cui il divieto è già insito nella legge e perché la comune esperienza insegna che i trasgressori se ne fanno beffe, le divelgono….se non peggio!)
e. l’iniziativa ex-se di “togliere” i rifiuti abbandonati da altri.

Con particolare riguardo a quest’ultimo punto (lettera e.) non può pertanto considerarsi colpa del proprietario il non aver provveduto alla rimozione dei rifiuti scaricati da altri (in un proprio terreno), «…perché sarebbe logicamente aberrante dire che un soggetto non è, di principio, tenuto a fare una certa cosa (nella specie: rimuovere i rifiuti abbandonati da terzi) ma diviene tenuto a farla in quanto ha omesso di farla. In altre parole: dire che il comportamento colposo, che fa sorgere l’obbligo di rimuovere i rifiuti, consiste nel non aver rimosso i rifiuti, equivale a dire che vi è un obbligo incondizionato di rimuoverli - il che peraltro è escluso dalla norma…» (T.A.R. Umbria, 21 maggio 2002, n. 301).
Da ciò si può altresì dedurre un altro importante principio, in base al quale il comportamento eventualmente colposo che da’ luogo ad una possibile responsabilità del proprietario (o soggetto assimilato) e, conseguentemente all’obbligo di rimozione dei rifiuti, non può che essere antecedente o contemporaneo alla violazione, e mai successivo.

In definitiva non si può imputare al proprietario la responsabilità di fatti che non avrebbe potuto/dovuto prevenire, adottando la sola diligenza da lui esigibile: quella ordinaria del “buon padre di famiglia” (CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935; T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582).

Non manca, come abbiamo avuto modo di vedere, qualche posizione contraria e nettamente minoritaria134, in base alla quale sarebbe sufficiente una sorta di “mera colpa lieve” che, di fatto – nonostante sia così testualmente indicata – è da tradursi in una colpa lievissima (viste le pretese che si avanzano nei riguardi del proprietario, in assonanza con la richiamata ordinanza CdS, Sez V, 21 giugno 2005, n. 2959), sulla cui scorta si pretenderebbe dal proprietario una diligenza superiore alla media, quasi si trattasse di un professionista del bisturi nel corso di un difficile intervento chirurgico.
Ciò non è esigibile, mentre invece – tanto per sgombrare il campo da quel pericoloso e ricorrente frainteso in cui, si è visto, non è poi così difficile incorrere – risulta possibile e legittimo che l’autorità possa pretendere che il proprietario provveda alla mera “bonifica135 del sedime. Da non intendersi, però, come rimozione dei rifiuti ivi abbandonati, bensì come «buon governo dell’area»; consistente, quindi, neltaglio e nella rimozione della vegetazione selvatica. Comportamento che può considerarsi usuale e quindi tipicamente doveroso del “buon padre di famiglia”.
Se poi, l’omissione di “questo” comportamento dovuto (ben diverso dall’asportare rifiuti regalati da altri) risultasse addirittura pericolosa per l’igiene, la sicurezza e il decoro pubblico, è del tutto legittimo che l’Autorità locale intimi al proprietario del terreno di provvedervi e, in caso d’inadempienza, vi provveda d’ufficio addebitandogli le spese. Ma questo non ha niente a che vedere con l’articolo in oggetto.

▪ Cosa dice il nuovo schema di Decreto Unico Ambientale
Non si dimentichi, in ultimo, che l’art. 192136 del nuovo schema di TU Ambiente – per quanto non ancora dotato alcuna efficacia – prevede esplicitamente la colpa grave del proprietario, tanto che a questo potrà esser richiesto solo e soltanto quel minimo di diligenza che tutti dovrebbero avere; niente di più, niente di meno.
Appunto per questo non possono esserci dubbi sul fatto che il proprietario incolpevole possa considerarsi solo e soltanto come soggetto passivo dell’illecito altrui e, come tale, un danneggiato e non certo un danneggiante (perché, in ogni caso, se da tale scarico abusivo deriva una contaminazione del suolo ed il responsabile continua a rimanere ignoto, sarà il proprietario dell’area che, per quantoindirettamente, verrà ad essere costretto – se vuol continuare ad utilizzare il terreno – ad accollarsi le spese della eventuale bonifica in forza dell’onere reale e dei privilegi di cui si è già detto).

 Casi particolari di colpa
Nel confermare – da un lato – che l’articolo 14 del D. Lgs. 22/97 non implica, in linea di principio, alcuna responsabilità oggettiva del proprietario, non si può affatto escludere – dall’altro – la colpa di quel proprietario che, nei riguardi dell’operato dell’affittuario di un proprio fondo, si sia disinteressato di qualsiasi vigilanza ed intervento circa la gestione dei rifiuti da quest’ultimo operata; posto che, in tal caso, l’abbandono incontrollato di rifiuti – da parte del conduttore del fondo – è la conseguenza dell’esercizio (secondo modalità illecite) di un’attività economica che risulta – non solo conosciuta, ma anche – consentita dal proprietario, il quale, oltretutto, ne trae vantaggio tramite la riscossione del previsto canone (T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263 e CdS, Sez V, 01 luglio 2002, n. 3596). Quello dei rifiuti abbandonati in loco dall’affittuario di una certa area, è un caso particolare e quindi divergente dalla normalità, in quanto “prodottosi” dall’esercizio (secondo modalità illecite) di un’attività economica consentita dal proprietario; non potendo negare che, in tal caso, vi sia un evidente nesso tra il comportamento illecito posto in essere dall’imprenditore/conduttore e l’utilità che il locatore ritrae (di regola, a titolo di canone di affitto) dalla concessione dei diritti di utilizzazione dell’immobile. D’altronde non si può nascondere che in tal caso, senza la concessione a terzi della disponibilità dell’area, probabilmente, l’illecito non si sarebbe verificato, e che – nella prospettiva di una valutazione a priori – l’insorgenza di problematiche legate allo smaltimento dei rifiuti prodotti sia uno degli effetti, dell’esercizio di un’attività economica137, che il proprietario non avrebbe potuto permettersi il lusso di trascurare, essendo noto e largamente prevedibile. L’averlo fatto non può che essere qualificato come sua negligenza.

Perciò, mentre la responsabilità del proprietario, di fronte all’abbandono di rifiuti sulla sua proprietà da parte di terzi ignoti, non può che essere disciplinata continuando ad utilizzare il parametro della colpalieve, il parametro stesso assume una diversa e specifica configurazione quando l’autore dell’illecito non è un terzo estraneo, bensì il soggetto che ha la disponibilità del fondo in forza di un contrattostipulato con il proprietario stesso. Tanto è vero che – alla luce della rilevanza che l’ordinamento attribuisce alla posizione di colui che ritrae un vantaggio, anche indiretto, dall’esercizio da parte di altri di un’attività (oltretutto inquinante) –, in tal caso, il proprietario dell’immobile viene gravato di un dovere di prevenzione attiva – quindi una diligenza qualificata – che si concretizza sia nell’esercizio di una attenta vigilanza su come il proprio bene viene gestito dal conduttore, sia nella tempestiva segnalazione all’autorità dei comportamenti dannosi o pericolosi del terzo.
Riconoscendo che la colpa del proprietario vada comunque commisurata all’inosservanza di detti doveri – debitamente graduati sotto il profilo quantitativo e temporale, con aderenza alle caratteristiche delle singole situazioni – resta il fatto che, già nella fase negoziale, si ritiene che il locatore (verosimilmente a conoscenza del tipo di attività svolta dall’affittuario) abbia il dovere di inserire nel contratto apposite clausole dirette a garantire la puntuale osservanza degli obblighi in materia di protezione ambientale. D’altronde risulta saldamente consolidato che la colpa del proprietario può consistere anche nel merofavorire l’illegittimo abbandono dei rifiuti (in questo senso T.A.R. Campania – Napoli n. 6348/05; T.A.R. Veneto n. 1830/03; T.A.R. Liguria n. 297/03; T.A.R. Puglia – Bari n. 872/03; T.A.R. Emilia Romagna – Parma n. 872/02).
Ovviamente la stessa cosa vale per il caso (visto trattando del T.A.R. Basilicata, 20 dicembre 2004, n. 831) in cui l’abbandono di rifiuti sia effettuato da una ditta appaltatrice, da ritenersi solidalmente responsabile con il committente: colpevole per culpa in vigilando, e per il caso di “titolari d’impresa” che rispondono per i fatto dei propri dipendenti (Cassazione Penale, Sez. III, 09 ottobre 2002, n. 1594).


Le sanzioniCon riguardo all’abbandono di rifiuti ed all’inosservanza del sopravvenuto (legittimo) ordine di rimozione degli stessi, attualmente sono previste le sanzioni stabilite dall’art. 50138 del D. Lgs. 22/1997 e quindi: sanzione amministrativa pecuniaria da € 103,29 a € 619,75, in caso di abbandono di rifiuti pericolosi e rifiuti ingombranti, e da € 25,82 a € 154,94, per l’abbandono di rifiuti non pericolosi e rifiuti non ingombranti. Sanzioni che risultano pressoché immutate anche nello schema del nuovo Testo Unico, così come risulta da quello che attualmente prevede il proprio art. 255139.
A torto o a ragione, non esiste più il “timore” provocato da quanto conteneva il vecchio testo dell’art. 1, comma 312 del “disegno di legge della Finanziaria 2006” (all’epoca dell’approvazione del giorno 11.11.2005 da parte del Senato), visto che nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (testo definitivo della Finanziaria 2006), non c’è più alcuna traccia del previsto incremento delle sanzioni amministrative, provenienti da illeciti ambientali, di dieci volte nel minimo e di cinquanta volte nel massimo.


La comunicazione di avvio del procedimento amministrativo
Per quanto concerne la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo occorre ribadire che il potere esercitato dall’autorità comunale, in base al precetto contenuto nell’art. 14, terzo comma, del D.L.vo n. 22/97 – nel caso in cui venga violato il divieto di abbandono di rifiuti al suolo di cui al proprio comma 1 –, riveste natura sanzionatoria di un illecito commesso e non presuppone necessariamente l’incombere di situazioni di pericolo o di urgenza (a differenza di quanto si verifica in base alla previsione dell’art. 13 stesso decreto). Quindi, rientrando tra le “normali attribuzioni del comune”, non costituisce ordinanza contingibile ed urgente. Per tale ragione è sempre necessario140 – al pari di quanto è generalmente previsto per ogni provvedimento discrezionale destinato ad incidere negativamente su situazioni giuridiche dei privati – dar seguito al preventivo avvio di procedimento, di cui all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241; onde consentire e garantire che il privato possa apportare il proprio contributo ad un corretto esercizio del potere (T.A.R. Friuli, 01 settembre 2005, n. 750, T.A.R. Toscana, 16 giugno 2005, n. 2859 , T.A.R. Lombardia, Milano, 15 gennaio 2003 n. 33 e 13 maggio 2002 n. 2039; T.A.R. Basilicata, 11 dicembre 2001 n. 873).


La competenza per l’adozione dei provvedimentiRiguardo alla competenza per l’adozione di un provvedimento volto ad imporre la rimozione di rifiuti abbandonati in una certa area, siamo sicuramente di fronte ad un’alternativa imprescindibile: o il provvedimento è un’ordinanza contingibile ed urgente in materia di salute pubblica, adottabile – ex art. 54.2 del D.Lgs. 267/2000 – dal Sindaco in veste di Ufficiale di Governo (se ed in quanto ne sussistono i necessari presupposti!), oppure si tratta di un normale provvedimento ex art. 14 D. Lgs. 22/1997, per il quale, la competenza non è affatto del sindaco, appartenendo il relativo potere al dirigente comunale di settore in forza di quanto stabilito dall’art. 107, quinto comma, dello stesso D. Lgs. 267/2000 (T.A.R. Veneto, Sez. III, 10 settembre 2004, n. 3256 ed anche T.A.R. Emilia, Bologna, Sez. II, 06 febbraio 2004, n. 193).
Decisiva, a tal riguardo, appare la sentenza T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 dicembre 2005, n. 4243 (vista in testa alla sezione 8) in cui, riferendosi ad un provvedimento emanato dal Sindaco per gli effetti ex-art. 17 D.Lgs. 22/97, si evidenzia che: «… il provvedimento fa bensì riferimento, nell’epigrafe, anche all’ art. 14 dello stesso d. lgs. 22/97, nonché all’art. 54, II comma, del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Peraltro, quanto al primo, esso disciplina la diversa materia dell’abbandono e del deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, e non quello della bonifica di aree contaminate, situazione che invece si assume sussistere nella fattispecie; quanto al secondo, poi, nel provvedimento non vengono adeguatamente definiti gli ipotetici “gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini”, i quali potrebbero giustificare il ricorso al potere di ordinanza contingibile ed urgente: e, comunque, l’esercizio di un potere ordinatorio atipico si prospetta per definizione come residuale, sicché, nell’incertezza, il provvedimento emesso dall’Amministrazione deve intendersi come espressione dell’esercizio di un potere tipico e nominato, come appunto quello di cui all’ art. 17 cit.;….. che, ciò posto, trovano qui applicazione le comuni prescrizioni in tema di competenza per gli atti degli Enti territoriali, e, così, l’art. 107 del d. lgs. 267/00, il quale attribuisce ai dirigenti, tra l’altro, l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente (e tali non sono evidentemente gli atti emessi ex art. 17 cit…»
Per questa ragione – al di là dei problemi di promiscuità di cui si tratterà poco appresso – occorre ribadire (anche se abbiamo la vaga impressione di averlo già detto!) che soltanto quando (e se) ricorrono i presupposti per l’adozione di un atto urgente ed atipico la competenza del Responsabile del servizio – ex art. 107 del T.U. D. Lgs. n. 267/2000 – deve cedere il posto a quella del Sindaco, cui, fra l’altro, compete anche l’esercizio della potestà provvedimentale extra ordinem a fronte di emergenze ambientali/sanitarie a carattere esclusivamente locale (ex-art. 50.5 stesso T.U.): “Le ordinanze contingibili ed urgenti sono adottate dal sindaco quale rappresentante della comunità locale”.


La natura composita di certe ordinanzeIn alcuni casi (come quelli connessi con le sentenze: CdS, Sez V, 08 febbraio 2005, n. 323; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 3 febbraio 2005, n. 120; in un certo qual modo anche il T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 dicembre 2005, n. 4243) abbiamo visto come, avvalendosi di un unico provvedimento, l’Ente locale abbia inteso imporre la rimozione di rifiuti e, contemporaneamente, impartire la diffida per la messa in sicurezza e la bonifica dell’area interessata dalla presenza degli stessi. Si tratta di ordinanze a «natura composita»141: un unico atto che realizza due interventi142 normativamente differenziati (e dunque diversamente disciplinati), riferiti e rivolti sempre allo stesso soggetto (il proprietario incolpevole dell’area). Un’unica ordinanza comunale che non si limita a prescrivere una mera operazione di rimozione dei rifiuti posti “fuori terra”, ex-art. 14 (più volte citato), ma giunge anche ad imporre misure di effettiva “messa in sicurezza” e di “caratterizzazione preliminare del sito”, quindi una vera e propria procedura di bonifica (ex-art. 17 dello stesso decreto Ronchi).
Così facendo, tale provvedimento entra – promiscuamente e indebitamente – anche nella sfera di operatività degli artt. 8 e 10 del D.M. 471/99, senza però (di norma) poterne osservare i precetti sostanziali e le precipue regole procedimentali; tanto da restarne “confuso”, avendo la pretesa di risolvere “troppo” senza invece riuscire a rispettare neppure il contenuto più elementare dell’art. 8.2143 del citato regolamento di esecuzione.
Lì per lì, potrebbe anche sembrare una “buona idea”; se non altro, volta ad ottenere un risultato concreto, snello, lineare e scevro da inutili pedanterie. Si può anche essere liberi di pensarlo, ma, di fatto, ciò che si ottiene è semplicemente un’ordinanza affetta da violazione di legge e contraddittorietà di motivazione. D’altronde tale provvedimento non potrebbe conformarsi alle vigenti prescrizioni ex-art. 8.2 citato, che vedono, quale destinatario della diffida, “il responsabile dell’inquinamento” e non certo il proprietario del sito (o il titolare di diritti reali o personali su di esso); al quale, viceversa, l’ordinanza andrebbe notificata144 solo a mero titolo informativo145, o meglio, per poi poter legittimamente costituire sulle aree inquinate un onere reale ed un privilegio speciale, segnatamente previsti a copertura delle spese di ripristino affrontate dall’Amministrazione comunale, qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili. A ciò si aggiunge anche che l’articolo 14, oltre a non coinvolgere mai il proprietario incolpevole, non configura alcuna obbligazione propter rem (gravante sulla cosa)146.


12 – Conclusioni L’intenzione sarebbe stata quella di stilare una trattazione piuttosto light, ma il non aver resistito alla bramosia di dedicarsi a peculiari risvolti della materia affrontata, ci ha portato fino a moltissime righe “di distanza” dal primo capoverso.

La tesi dichiarata e sviscerata sembra aver retto a scossoni ed urti, tanto che saremmo tentati di riassumere, in questa specifica sezione, l’essenza di quanto – bene o male – fin qui illustrato e sostenuto. Vogliamo tuttavia desistere dall’impegnare ulteriormente la sopportazione dell’ardimentoso lettore – faticosamente giunto a questa pagina solo in forza della propria perseveranza – ritenendo facilmente reperibili nel corpo dell’elaborato tutti gli elementi essenziali appositamente enumerati anche nel sommario iniziale.

In alternativa però – facendo, per un attimo, capolino in un contesto più generale – vorremmo richiedere un ultimo sforzo, ricordando che, con l’introduzione – Atto Unico Europeo del 1986 – dell’art. 130/R del Trattato dell’Unione Europea, è stato sancito il noto principio «chi inquina paga». Su tale scorta – senza neppure andare a scomodare l’art. 18 della legge n. 349/1986 o la Direttiva 35/2004/CE – qualsiasi responsabilità per danno ambientale consegue al compimento di fatti dolosi o colposi e non alla mera qualità di proprietario di una certa area. Questo significa una cosa sola: è tenuto “a rimediare” quel soggetto che ha provocato l’inquinamento.

Dalla realtà italiana, invece, potrebbe anche risultare l’esatto contrario, visto che147 si rischia di far pagare lo scotto a chi non ha inquinato; dando così vita all’altro principio – tanto assurdo quanto astrattamente inesistente – che, nella realtà dei fatti, può tranquillamente essere ricapitolato con un buffissimo, ma tragico, adagio: «chi non inquina paghi!».

Per non dare sfogo e fondamento a questo “aberrante” ed “insensato” principio148, il proprietario incolpevole non può e non deve rispondere per i rifiuti abbandonati nel suo terreno da altri vandali; non può enon deve esser chiamato a “pagare al posto di altri”!


_____________________________
(*) Avvocato, Consulente Legale Ambientale in Vinci (FI) silvanodiros@email.it

1 Che, notoriamente, è cosa ben diversa dal mero abbandono di rifiuti su di un terreno.
2 Sempre che il comune si ricordi di ricorrervi e predisporla.
3 Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10, comma 1 lettera b), della citata legge 7 agosto 1990, n. 241
4 Perché, se risultasse in qualche modo o maniera colpevole, la questione cambierebbe radicalmente!
5 A parte le situazioni più gravi e di maggior consistenza.
6 Che, magari, era stata utilizzata, per decenni, a mo’ di copertura di immobili e che – ovviamente anche prima di essere smantellata– se ne stava ugualmente ben esposta alle intemperie ed all’azione degli agenti atmosferici.
7 Riconducibile ad altre eventuali e deprecabili (ma purtroppo non escludibili) reiterazioni di analoghe condotte da parte dei soliti ignoti.
8 Molto spesso solo in teoria e non in pratica.
9 Fedelmente ripresa dall’art. 14, terzo comma, del D.Lgs. 22/1997.
10 “incolpevole” o, quantomeno, non sottoposto ad adeguati accertamenti che ne possano stabilire l’eventuale ed effettiva colpevolezza.
11 Che nella nostra madre lingua significa: in ogni modo, in ogni caso, in qualunque modo, in qualsiasi modo
12 Art. 2 (Classificazione rifiuti):
Per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono.
Ai sensi del presente decreto i rifiuti sono classificati in: urbani, speciali, tossici e nocivi.
Sono rifiuti urbani:
1) i residui non ingombranti provenienti dai fabbricati o da altri insediamenti civili in genere (2/a);
2) i rifiuti ingombranti, quali beni di consumo durevoli, di arredamento, di impiego domestico, di uso comune, provenienti da fabbricati o da altri insediamenti civili in genere;
3) i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private, comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime, lacuali e sulle rive dei fiumi……
13 Art. 9 (Divieto di abbandono dei rifiuti):
È vietato l’abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico.
In caso di inadempienza il sindaco, allorché sussistano motivi sanitari, igienici od ambientali, dispone con ordinanza, previa fissazione di un termine per provvedere, lo sgombro di dette aree in danno dei soggetti obbligati.
Ferme restando le disposizioni contenute nella legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, è fatto divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private.
14 V. PAONE, Il divieto di abbandono dei rifiuti, Ambiente, IPSOA, 1998, n. 2, pag. 137; S. D’ANGIULLI, La responsabilità del proprietario di un’area inquinata tra il D.P.R. n. 915/82 e D.Lgs. n. 22/97, Ambiente,IPSOA, 1999, n. 3, pag. 270; S. RUFFILLI, Siti inquinati: Quali responsabilità per l’acquirente? , Ambiente,IPSOA, 1999, n. 7, pag. 628; P. GIAMPIETRO, Rimozione dei veicoli abbandonati da parte degli enti competenti, Ambiente, IPSOA, 2000, n. 10, pag. 1040; L. PRATI, Danno ambientale, inquinamento da rifiuti e responsabilità ripristinatorie, Ambiente, 1999, n. 5, pag. 443; F. GIAMPIETRO, Bonifica dei siti contaminati: prime note sul regolamento n. 471/99, Ambiente,IPSOA, 2000, n. 2, pag. 270; M. SANTOLOCI, La responsabilità soggettiva nella procedura per la bonifica dei siti contaminati, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore Pirola, 2000, n. 11, pag. 25; L. MASIA, La corretta applicazione degli articoli 14 e 17 del D.Lgs. n. 22/97, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore Pirola, 2000, n. 13, pag. 83; T. MAROCCO, Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati: la giurisprudenza delimita i criteri di imputazione della responsabilità, Riv. Giur. Amb., 2001, pag. 490; C. PARODI, Gestione dei rifiuti e responsabilità dei proprietari, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore Pirola, 2001, n. 12, pag. 87; R. MANGANO, Abbandono dei rifiuti nelle aree protette, Ambiente, IPSOA, 2002, n. 4, pag. 344; L. BUTTI F. PERES, Abbandono illecito di rifiuti sul terreno: quali conseguenze per il proprietario?, Ambiente&Sicurezza, Il Sole24Ore Pirola, 2005, n. 13, pag. 25.
15 Che conferma la sentenza T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 21 dicembre 1993, n. 1051
16 Disposti ad accontentarci anche di una stragrande maggioranza.
17 Ma solo e soltanto per errori procedurali, in cui è incorso il giudice di prime cure.
18 E su questo aspetto torneremo nel prosieguo, alla sezione 11.
19 A mero titolo di completezza, con la successiva sentenza del settembre 2005 lo stesso tribunale ha individuato e riconosciuto la colpevolezza dei proprietari.
20 Così come per l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee
21 In presenza della quale il soggetto, qualora l’evento abbia a verificarsi, può esserne ritenuto responsabile (dell’evento) anche a titolo di concorso con l’autore materiale
22 Art. 14 (Divieto di abbandono).
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. E’ altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito di cui al comma 1 sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica, ai sensi e per gli effetti del comma 3 sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che subentrano nei diritti della persona stessa.
23 Concernente la rimozione di rifiuti abbandonati o incontrollatamente depositati sul suolo.
24 Concernente la bonifica ed il ripristino di siti inquinati.
25 Dell’immobile che, in questo caso, è da “bonificare” e non solo da “rimettere in pristino”.
26 Al comma 10 di tale articolo.
27 Al successivo comma 11
28 Dato che il rimedio ad un danno cagionato da soggetti non identificabili dovrebbe far capo alla collettività e non al singolo soggetto che, forse, più di altri viene ad essere pregiudicato dalla contaminazione riscontrata.
29 Concisamente deducibile dalla sentenza T.A.R. UMBRIA, 11 maggio 2005, n. 263.
30 Prof. Avv. Paolo Dell’Anno
31 Sempre nel caso di proprietario incolpevole ed autore ignoto
32 Limitatamente al valore dell’immobile
33 Reperibile sul sito del proprio Studio Legale Ambientale www.giampietroambiente.it
34 Che costituisce conferma della sentenza T.A.R. Toscana, sez II, 22 marzo 2002, n. 619.
35 Trattatasi di stabilimento presidiato giorno e notte e dotato anche di telecamere per la vigilanza all’esterno.
36 «Danno cagionato da cosa in custodia»: ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
37 Con sanzioni amministrative, in quanto viola una norma di tutela ambientale in danno della collettività che ripone la responsabilità del proprietario o del conduttore di un’area per il danno causato all’ambiente dall’abbandono incontrollato di rifiuti.
38 Oltre ad aver negato che l’art. 14 prima richiamato, interpretato alla stregua dei principi comunitari, possa determinare, quanto al dovere di vigilanza, un’inversione dell’onere della prova che si andrebbe a collocare in capo al proprietario del terreno.
39 E su questo torneremo a trattare nel commentare la sentenza che di seguito viene riportata.
40 Che ha statuito la riforma dell’ordinanza T.A.R. Basilicata, 09 febbraio 2005, n. 53
41 Motivando con il fatto che il comune non avesse provato uno specifico comportamento colposo da parte della Provincia e non ritenendo sufficiente la generica “culpa in vigilando”.
42 E questa è la connotazione che attribuisce carattere di specialità a questo caso rispetto al precedente
43 Con cui è stata riformata la sentenza T.A.R. Lombardia, sez. I, 23 giugno 1997, n. 1026.
44 Che, senza alcuna ombra di dubbio, non erano i produttori dei rifiuti.
45 Valevole già per il D.P.R. 915/82 e riconfermato dall’art. 14 del decreto legislativo 5.2.1997 n.22 (che risulta successivo alla vicenda in esame).
46 Che in questo caso avrebbe avuto una funzione concreta e specifica e non astrattamente preventiva come si intende nell’asserto riportato alla lettera “c.” della parte dedicata all’ordinaria diligenza, in sezione 11.
47 Con potenziale conseguente riduzione delle spese da porre a carico dei proprietari
48 Si pensi che anche un rifiuto speciale pericoloso, abbandonato da ignoti di fianco ad un cassonetto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, deve essere considerato, ai fini della raccolta, come rifiuto urbano, da smaltirsi, successivamente, in tutta conformità alle precipue e specifiche caratteristiche di pericolosità.
49 V. PAONE, Il divieto di abbandono dei rifiuti, Ambiente, IPSOA, 1998, n. 2, pag. 138
50 TA.R. Abruzzo, 1° dicembre 1994, n. 816
51 Ci riferiamo allo schema unico di decreto legislativo per il riordino della legislazione in materia di gestione dei rifiuti, bonifiche, VIA/VAS/IPPC e danno ambientale in fase di approvazione.
52 Che riforma la sentenza T.A.R. Marche, 16 aprile 1999, n. 452
53 Riguardo al famoso TESTO UNICO AMBIENTALE (ovvero lo schema di decreto legislativo recante norme in materia ambientale) si ricorda come tutto abbia preso il via con l’approvazione della legge 15 dicembre 2004 n. 308, sulla cui scorta – attraverso una serie di passaggi che volutamente si omettono in questa sede – si è giunti alla stesura di un unico schema di decreto legislativo, di 318 articoli e 45 allegati. Schema licenziato dall’apposita Commissione ed approvato, in via preliminare, dal Consiglio dei Ministri lo scorso 18 novembre 2005. Nella scaletta delle previsioni, sarà poi la volta della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, delle Commissioni ambiente di Camera e Senato, per poi tornare nuovamente al Governo che, entro 45 giorni dal parere delle Commissioni, dovrà apportarvi le modifiche ed ottenere, entro ulteriori 20 giorni, il parere definitivo delle stesse, al fine di poter provvedere all’approvazione finale per consentirne l’emanazione.
Tutti i riferimento a tale T.U. si basano sulla bozza reperita in concomitanza del comunicato stampa, diramato il 18 novembre 2005 dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, in cui lo stesso viene definito come la “Magna Charta” dell’ Ambiente.
54 Situato nella Parte IV, «norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati», al Titolo I «Gestione dei rifiuti», Capo I «disposizioni generali». – ARTICOLO 192 - DIVIETO DI ABBANDONO
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa grave, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad…….
55 Che riforma la sentenza T.A.R. FRIULI, 29 settembre 2000, n. 692
56 Mostrando l’Ente locale, di non aver ricercato i responsabili degli abusi nonostante l’azienda avesse in passato provveduto alla denunzia alle autorità competenti di detti episodi e avesse debitamente recintato i fondi
57 Che riforma quella del T.A.R. Piemonte, sez I, 26 marzo 2003, n. 462.
58 Senza che però sia da considerare legittima l’imposizione alla stessa della rimozione dell’intera discarica formatasi, gravando, l’obbligo di ripristino della restante area, anche sui proprietari delle aree adiacenti
59 Che conferma la sentenza T.A.R. Lombardia, sez I, n. 25 del 4.1.1999
60 Confermando la sentenza T.A.R. Puglia, sez. III, 23 settembre 2004, n. 4178, con cui, a propria volta, in primo grado, era stato respinto il ricorso
61 Sarebbe stato preferibile che ci si fosse riferiti all’eliminazione di un pericolo, costituito dai rifiuti, dalle fibre di amianto e dalle strutture pericolanti
62 Che conferma il T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 13 agosto 1997, n. 869
63 Cfr. Cons. Stato, V, 7 settembre 1991, n. 1137, che riprende la Sez. V, 16 luglio 1960, n. 520; v. anche Cons. Stato, I, parere 7 aprile 1993, n. 2032/90
64 Che conferma la sentenza T.A.R. Lombardia, sez I, 28 aprile 1994, n. 899
65 T.A.R. Umbria, 17 aprile 2003, n. 290
66 A parte gli obblighi di ordinaria e straordinaria manutenzione (questi sì, sicuramente gravanti sul proprietario del fondo)
67 Conferma della sentenza n.761/1997 del T.A.R. Veneto sezione prima
68 Che conferma la sentenza T.A.R. VENETO, Sez. III - 09 maggio 2002, n. 2118
69 Di contingibilità ed urgenza
70 Che riforma la sentenza T.A.R. Piemonte, sez II, 27 settembre 1994, n.407
71 T.A.R. Liguria, Genova, Sez I, n. 731/2002
72 Site sulle carreggiate stradali del sovrappasso della linea ferroviaria Mantova
73 Carcasse di elettrodomestici, lavandini, calcinacci, ferraglie, carcasse e resti di veicoli, materiali di risulta, cumuli di immondizia, siringhe usate
74 T.A.R. Lazio, Latina - 12 marzo 2005, n. 304 e T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 10 marzo 2005, n. 398
75 Risultando esclusa la legittima sussumibilità dei rifiuti stessi nel compendio fallimentare (rispetto alla quale potrebbero venire in considerazione eventuali profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore)
76 Cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 01 agosto 2001, n. 1318.
77 Con cui era stato imposta, al soggetto risultante avere la qualità di proprietario di una certa area, la pulizia del fondo mediante la rimozione dei rifiuti abbandonati, nonché l’esecuzione di tutti gli interventi necessari per il ripristino dell’igienicità e salubrità dello stesso
78 Anche attraverso un complesso di aree di servizio, stazioni di comando, pozzetti di accesso, vasche di regolamentazione del flusso d’acqua, etc.
79 Avendo rilevato che il loro utilizzo era consentito ad un limitato novero di soggetti (in primo luogo, gli addetti del Consorzio ed in secondo luogo i proprietari dei fondi interclusi)
80 Come accennato in precedenza nell’apposita parte dedicatavi nella sezione 7
81 Definiti dal T.A.R. un complesso di poteri e di diritti in tutto assimilabili a quelli del titolare di diritti di consistenza reale ovvero assimilabili a quelli personali di godimento
82 “Consorzio speciale per la bonifica di Arneo – Strada di servizio – Divieto di accesso”
83 N.d.r.: e noi siamo tanto d’accordo da averlo ben motivato nella parte «Un accenno alla natura dei rifiuti in base al luogo di abbandono» situata nella precedente sezione 7
84 “mediante la rimozione dei rifiuti ivi abbandonati previa caratterizzazione degli stessi”, nonché “all’esecuzione di tutti gli interventi necessari per il ripristino dell’igienicità e della salubrità degli stessi”
85 Prof. Avv. Pasquale Giampietro
86 E continuiamo a riferirci alla risposta fornita, dal Prof. Pasquale Giampietro, al quesito : «E’ consentito adottare una ordinanza d’urgenza per disporre la "messa in sicurezza" di un sito, senza aver prima accertato l’avvenuto sfondamento (o pericolo di sfondamento) dei valori limite di accettabilità consentiti dal D.M. 471/1999? Come si assolve l’obbligo di motivazione di siffatta ordinanza?», reperibile sul sito del proprio Studio Legale Ambientale www.giampietroambiente.it
87 Continuano ad essere considerazioni mutuate dal pregevole lavoro di cui alla nota precedente
88 Continua a dirci il precitato Giurista e Maestro
89 Atti dei quali essa non potrebbe rispondere e contro cui non vi sarebbero rimedi a tutela del destinatario
90 Questo è quanto si ricava dalle rigorose ed encomiabili conclusioni del Prof. Pasquale Giampietro
91 Si deduce dal testo della sentenza che si sia trattato di un lapsus calami
92 Solo un orientamento nettamente minoritario aveva invece sostenuto – nella vigenza del DPR 915/1982– la sufficienza del rapporto tra il soggetto ed il bene (cfr., ad es., T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 22 maggio 1995, n. 241 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 9 giugno 1983, n. 237)
93 Di cui si è riferito al punto « Sono queste le uniche sentenze veramente contrarie ?» della precedente sezione 7.
94 E si riferisce alla Cass. sez. 3^ 26 settembre 2002 n. 32158. Ponzio rv. 222420
95 Cfr. Cass. sez. 3a 9 gennaio 2003 n. 2054 in Ambiente 2003, 882, e Cass. sez. 1a 15 dicembre 1995 n. 12431, Insinua rv. 203332 cui adde Cass. sez. 3 a 3 ottobre 1997 n. 8984, Gangemi rv. 208624 fra tante
96 Che conferma T.A.R. Puglia, Bari, sez.III, 23 settembre 2004, n. 4178, concernente un caso particolare di ordinanza contingibile ed urgente a seguito di incendio.
97 Che conferma T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 13 agosto 1997, n. 869, concernente un caso particolare di ordinanza contingibile ed urgente a seguito di un principio di incendio.
98 Che conferma T.A.R. Veneto, sez. I, n.761/1997, concernente la presenza di sterpaglie e ratti in un’area
99 Che riforma l’ordinanza T.A.R. Basilicata, 09 febbraio 2005, n. 53, apparentemente contraria ma spiegabile;
100 Che riforma T.A.R. Lombardia, sez I, 23 giugno 1997, n. 1026. apparentemente contraria ma spiegabile;
101 Che riforma T.A.R. Toscana, sez II, 22 marzo 2002, n. 619;
102 Che riforma T.A.R. Marche, 16 aprile 1999, n. 452:
103 Che riforma T.A.R. FRIULI, 29 settembre 2000, n. 692;
104 Che annulla T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 dicembre 2003, n. 888;
105 Che annulla T.A.R. Friuli Venezia Giulia 26 gennaio 2004, n. 12;
106 Che riforma T.A.R. Piemonte, sez I, 26 marzo 2003, n. 462;
107 Che conferma T.A.R. Lombardia, sez I, 4 gennaio 1999, n. 25;
108 Che conferma T.A.R. Veneto, Sez. III, 09 maggio 2002, n. 2118;
109 Che riforma T.A.R. Piemonte, sez II, 27 settembre 1994, n.407;
110 Che riforma T.A.R. Lombardia, sez I, 28 aprile 1994, n. 899;
111 Concernente provvedimento contingibile ed urgente e confermata da CdS;
112 Concernente provvedimento contingibile ed urgente e confermata da CdS;
113 Sostanzialmente favorevole, cfr. con quanto detto in occasione del commento a CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 153.
114 Confermata da CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935.
115 Il Comune di Brioso non si è costituito nel giudizio di appello.
116 Concernente l’ordine di presentazione di un progetto di bonifica, senza che l’appellato proprietario dell’area si sia costituito in giudizio.
117 Di cui si è ampiamente trattato nella sezione 8;
118 Che richiama però le stesse motivazioni della sentenza T.A.R. Friuli, 29 settembre 2000, n. 692 (che, ricordiamo, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136)
119 Concernente provvedimenti considerati, a torto o a ragione, contingibili ed urgenti per tutela della salute ed incolumità delle persone.
120 Che si rifà a sentenze del CdS riferibili a casi ben diversi, di cui si è ampiamente trattato.
121 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V, 30 dicembre 2004, n. 8295
122 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136.
123 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V, 08 febbraio 2005, n. 323.
124 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V, 20 gennaio 2003, n. 168.
125 Che, difatti, è stata riformata dalla sentenza CdS, Sez V, 02 aprile 2001 n. 1904.
126 Per la sussistenza del reato colposo occorre: • che la condotta sia attribuibile alla coscienza e volontà del soggetto (art. 42, comma 1); • che manchi la volontà dell’evento, in quanto tale volontà caratterizza il dolo; • che il fatto sia dovuto ad imprudenza, negligenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
127 Art. 1176: Diligenza nell’adempimento. — Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
128 Art. 2050: Responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. — Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
129 Art. 2054: Circolazione di veicoli. — Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
130 CdS, Sez V, 08 marzo 2005, n. 935; T.A.R. Umbria, 11 maggio 2005, n. 263; T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582; T.A.R. Toscana n. 2147/02; T.A.R. Sicilia – Palermo n. 1314/02; T.A.R. Piemonte n. 27/02), di talchè non rientra (T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582
131 Come può testimoniare chiunque ama an¬da¬re per campi e boschi
132 T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 maggio 2005, n. 3582
133 A tale proposito, è sufficiente ricordare che la chiusura di un fondo costituisce una facoltà e non un obbligo del proprietario (art. 841 c.c.)
134 T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 2 febbraio 2005, n. 435, di cui si è ampiamente trattato
135 Adeguandosi all’improprio uso del termine da considerare in senso atecnico rispetto alla previsione ex-art. 17 D.Lgs. 22/97.
136 Il cui testo è riportato nella nota 54.
137 Per difficoltà tecnico-gestionali, se non per la tentazione di ampliare i margini di profitto riducendo i costi legati alla protezione ambientale
138 ART. 50 (Abbandono di rifiuti)
1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 51, comma 2, chiunque, in violazione dei divieti di cui agli articoli 14, commi 1 e 2, 43, comma 2, 44, comma 1, e 46, commi 1 e 2 abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 103,29 a € 619,75. Se l’abbandono di rifiuti sul suolo riguarda rifiuti non pericolosi e non ingombranti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da € 25,82 a € 154,94.
1 bis. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale della casa costruttrice, che viola le disposizioni di cui all’articolo 46, comma 5, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 258,23 a € 1549,37.
2. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 14, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui agli articoli 9, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Con la sentenza di condanna per tali contravvenzioni, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato all’esecuzione di quanto stabilito nell’ordinanza o nell’obbligo non eseguiti.
139 ARTICOLO 255 ABBANDONO DI RIFIUTI
1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2 e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da centocinque euro a seicentoventi euro. Se l’abbandono di rifiuti sul suolo riguarda rifiuti non pericolosi e non ingombranti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da venticinque euro a centocinquantacinque euro.
2. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale della casa costruttrice che viola le disposizioni di cui all’articolo 231, comma 5 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duecentosessanta a euro millecinquecentocinquanta.
3. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3.
140 Come ben ci ricorda il Prof. Avv. Pasquale Giampietro
141 Così le qualifica, in maniera ineccepibile, il Prof. Avv. Pasquale Giampietro nel lavoro richiamato alla nota 86.
142 • rimozione ed avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti – ai sensi dell’art. 14 più volte rammentato –; • imposizione di operazioni di messa in sicurezza, caratterizzazione dei luoghi e bonifica del sito ai sensi del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (art. 8).
143 “diffida alla adozione dei necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale”
144 Come si è visto trattando della sentenza CdS, Sez VI, 05 settembre 2005, n. 4525.
145 Gravando su di lui l’onere reale e l’esposizione al privilegio speciale immobiliare e generale mobiliare che garantisce il credito del comune – ex-art. 17, comma 9, del decreto Ronchi – per le spese di bonifica affrontate in sostituzione dei “responsabili della contaminazione” ove questi non provvedano o non siano individuabili
146 T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 26 gennaio 2000, n. 292; T.A.R. Basilicata, 23 settembre 1999, n. 385; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 5 febbraio 1999, n. 286 e 3 dicembre 1998, n. 3640; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez.I, 19 febbraio 1998, n. 64 e sez. II, 4 ottobre 1999, n. 490; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 27 luglio 2001, n. 488.
147 Rifacendosi all’interessantissimo intervento del Prof. Avv. Paolo Dell’Anno, presentato al convegno dell’Associazione GIURISTI AMBIENTALI «Bonifica dei siti contaminati e responsabilità per danno all’ambiente – alla luce della Direttiva 35/2004/CE e del Decreto Unico Ambientale» tenutosi in Roma, Melià Roma Aurelia Antica, lo scorso 15 dicembre 2005.
148 Il quale, a dire il vero, più che di un principio assume le sembianze di una « fine»….. per la logica e per il buon senso.
 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 11/1/2006

Nessun commento:

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...