venerdì 4 marzo 2016

Facciamo valere i nostri diritti in uno Stato di Diritto ! Il privato cittadino può dichiarare in arresto un giudice e qualunque altro

Da Il Mattino del 03/03/2016


Barricato per 9 ore in Tribunale. «Ho arrestato un giudice. Ho fatto un arresto da privato cittadino. Ma le forze dell’ordine l’hanno lasciata scappare. E’ evasa. E intanto, fino a quando non mi date il verbale d’arresto, io di qui non me ne vado». E con queste parole l’ingegnere Giuseppe Testa, 89enne di Avellino, ha tenuto impegnati carabinieri, polizia (sul posto anche il vicequestore Iannuzzi) e vigili urbani fino alle 20:30. Nessuno è riuscito a farlo ragionare. Nessuno lo ha convinto a recarsi in caserma a sporgere una regolare querela contro il giudice in questione: «L’arresto l’ho fatto qui e il verbale deve essere redatto qui, al terzo piano del tribunale di Avellino. E mano a mano che si avvicinava l’orario di chiusura degli uffici giudiziari, le 18, si facevano strada le ipotesi più azzardate, fino al prelievo forzato dell’ingegnere o al suo ricovero in tso da parte del 118. Fino a che la situazione non è stata risolta dagli agenti della polizia municipale di Avellino, che con un computer portatile ha finalmente raccolto le dichiarazioni spontanee dell’ingegnere: «Questo è un processo verbale – ha precisato l’ingegnere Testa-; voglio che venga ufficializzato il mio arresto del giudice, anche se in questo momento non si trova più qui». 
Tutto è iniziato ieri mattina alle 11:30, mentre al terzo piano del palazzo di giustizia di Avellino, aula del giudice per le esecuzioni immobiliari, si tiene l’udienza per la vendita all’incanto dei beni di proprietà delle società rappresentate dall’ingegnere. 
Beni posti in vendita su istanza dell’allora Banca Popolare dell’Irpinia (alla quale è poi subentrata la Mutina Srl, società per cartolarizzazione dei crediti dell’ex Bpi): «E’ una procedura di espropriazione coattiva – ci spiega l’avvocato civilista dell’ingegnere, Tiziana Teodosio – che va avanti dal 1990. 
Già nel passato l’ingegnere ha sporto denunce penali e promosso azioni civili contro quel provvedimento ingiusto, ma senza mai ricevere nessun riscontro. Evidentemente questa mattina l’esasperazione ha avuto la meglio». 
«Sono vittima di un accanimento che va avanti da 26 anni – dice l’ingegnere -. Era arrivata l’ora di dire basta. Sto lottando per la vita della mia famiglia. Vogliono farmi passare per pazzo, ma non rinuncio ai miei diritti e alla mia battaglia di legalità. Vogliono vendere all’asta dei beni che mi appartengono e vogliono farlo senza averne neanche i titoli». 
L’esasperazione dell’ingegnere è esplosa alla fine dell’udienza di ieri mattina (che è stata tra l’altro rinviata a settembre per mancanza di offerte): Testa si è avvicinato al giudice e davanti a tutti, ad alta voce, l’ha ufficialmente dichiarata in arresto: “per i reati di tentata estorsione, riduzione in schiavitù, usura, omissione d’atti di ufficio e malversazione”. E’ lo stesso ingegnere, in un momento di pausa dell’intenso pomeriggio, a raccontarci quei concitati momenti: «All’inizio il giudice ha pensato che stessi scherzando, ma poi ha capito che facevo sul serio. Hanno allora chiamato uno dei carabinieri che presta servizio in tribunale e lo abbiamo aspettato insieme per qualche minuto. Poi il giudice si è stancato di aspettare nell’aula e ha detto che se ne andava in cancelleria. Mi ha detto “non si preoccupi ingegnere, non me ne scappo”. Poi è arrivato il carabiniere, ha raccolto la mia versione dei fatti ed è entrato nella cancelleria dal giudice. Insieme se ne sono usciti e se ne stavano per andare: li ho fermati chiedendo il verbale dell’arresto che avevo fatto da privato cittadino e il carabiniere mi ha risposto “dopo, dopo”. 
E invece ho poi saputo che è stato il giudice a presentare una denuncia contro di me. A questo punto ho deciso di non andarmene, che sarei rimasto qui in tribunale fino a che non mi avessero portato quel verbale del mio arresto. Sto difendendo un patrimonio che mi sono sudato una vita» 
(Gianluca Rocca Il Mattino).

Facoltà di arresto da parte dei privati

(nota[1])
I nostri peggiori nemici,
 e quelli con cui dobbiamo combattere più di tutti,
sono dentro
Miguel de Cervantes y Saavedra

L'arresto in flagranza[2] di reato, avviene normalmente ad opera di ufficiali e agenti della Polizia Giudiziaria. Secondo la legge (art.382 Codice di Procedura Penale), è in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere il reato (cosiddetta flagranza propria), o chi, subito dopo averlo commesso, è inseguito dalla polizia, dalla persona offesa o da altre persone, ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (cosiddetta flagranza impropria o quasi flagranza)[3].
Nelle ipotesi di flagranza di reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio da parte della PG (qualche esempio dall'art.380 CPP: delitti contro la personalità dello Stato, delitto di devastazione e saccheggio, delitti contro l'incolumità pubblica, delitto di riduzione in schiavitù previsto, delitto di prostituzione minorile, delitto di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, delitto di furto di armi, delitto di rapina e di estorsione, delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope, ecc.), e limitatamente ai casi in cui il delitto sia perseguibile d'ufficio[4], l'art.383 del Codice di Procedura Penale stabilisce che "ogni persona è autorizzata a procedere all'arresto in flagranza[5]", con l'obbligo consequenziale di "senza ritardo consegnare l'arrestato e gli oggetti costituenti il corpo del reato[6] alla polizia giudiziaria, la quale redige il verbale[7] della consegna e ne rilascia copia".
L'istituto costituisce, quindi, una forma di autotutela che il nostro ordinamento penale ha riservato al privato, in considerazione della necessità pratica che impone un'immediata e tempestiva reazione di fronte al perpetrarsi di un grave delitto, oltre che essere l'espressione di una politica legislativa finalizzata a permettere la repressione di fatti illeciti anche attraverso la volontaria collaborazione dei cittadini con le istituzioni.
La facoltà di effettuare l'arresto per il cittadino privato non rappresenta certo una "novità" dell'attuale sistema processualpenalistico (risalente agli anni 1988/89), ed è stato in passato sospettato di essere in contrasto con il 2° comma dell'art.13 della Costituzione il quale, autorizzando la sola "autorità di pubblica sicurezza" ad adottare misure restrittive della libertà personale, parrebbe volersi riferire soltanto agli organi costituiti che impersonano la Pubblica Amministrazione. 
La Corte Costituzionale ha, tuttavia, precisato[8] che il privato, quando agisce in presenza dei presupposti previsti dalla norma che gli consente l'arresto in flagranza, acquisisce la veste di organo di polizia, sia pure in via straordinaria e temporanea, e di conseguenza viene a godere, nell'esercizio delle funzioni pubbliche assunte, della stessa speciale posizione giuridica conferita ai soggetti che esercitano poteri di polizia giudiziaria. Semprechè, sottolinea la Corte, rimanga nei limiti che la norma stessa impone (egli è anche autorizzato a prendere in custodia le cose costituenti il corpo del reato, assumendo così eventualmente anche la qualità di custode di cose sequestrate).
E a questo proposito, opportunamente viene chiarito dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione che, determinante ai fini della legittimità dell'arresto, è la circostanza che la persona arrestata non venga trattenuta, dal privato intervenuto nell'operazione, oltre il tempo strettamente necessario per la consegna agli organi di polizia, in modo da evitare che una misura eccezionale si trasformi in un "sequestro di persona"[9] dell'arrestato.
Inoltre, per concludere e precisare ancora meglio, i privati cittadini possono difendere i beni di loro proprietà e possono inseguire i ladri anche se questi ultimi si sono già "disfatti" degli oggetti rubati e anche se il reato commesso prevede l'arresto facoltativo da parte della polizia giudiziaria. 
Questo in sostanza il senso della sentenza n. 37960 della Corte di Cassazione (Sez. II penale), del 24-09-2004. La Corte ha dichiarato "inammissibile" il ricorso di un borseggiatore che aveva rubato ad una giovane bolognese il portafogli, di cui però si era liberato subito poiché si era accorto che un passante lo aveva visto. Nonostante, quindi, la possibilità di recuperare agevolmente il portafogli, il passante aveva inseguito e trattenuto il ladro, successivamente identificato e arrestato. L'intervento del passante era stato "illegittimo", secondo il borseggiatore, perché "per il furto aggravato non è concessa al comune cittadino la facoltà di arresto".
La Corte ha affermato invece che "il privato, anche in assenza delle condizioni previste dal combinato disposto degli articoli 383 e 380 cpp, e quindi anche se non ha la facoltà di procedere all'arresto in flagranza dell'autore dei reati per i quali è solo previsto l'arresto facoltativo, ha tuttavia il diritto di difendere la sua proprietà e quella dei terzi dagli attacchi dei malfattori; e quindi di inseguire un ladro al fine di recuperare la refurtiva e di consentirne l'identificazione e l'eventuale arresto da parte della polizia giudiziaria".
La sentenza ha perciò reso definitiva la condanna a tre anni e un mese di reclusione, oltre a 600 euro di multa, nei confronti del borseggiatore confermando la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna nel 2003. Non ha avuto successo, è stata la conclusione dei magistrati, "la tesi difensiva che vorrebbe addirittura criminalizzare l'encomiabile operato di un soggetto intervenuto in difesa di un diritto altrui". Pertanto l'intervento del passante va considerato "assolutamente legittimo".

Quando non si fa nulla, ci si crede responsabili di tutto.
Jean Paul Sartre


[1] Nell'immagine "controllo di polizia", dal sito della Polizia di Stato, www.poliziadistato.it.

[2] Arresto in flagranza: consiste in una privazione temporanea di libertà di competenza esclusiva della p.g. L'arresto in flagranza rappresenta la prima forma di custodia cautelare; si distingue in obbligatorio e facoltativo, a seconda che la sua attuazione costituisca un atto dovuto o discrezionale. L'articolo 380 del Codice di Procedura Penale stabilisce, in via generale, che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria debbano procedere all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni e nel massimo a venti anni. L'articolo 381 dello stesso Codice prevede, invece, soltanto la facoltà di arrestare chi viene colto in flagranza di un reato non colposo per il quale è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero non inferiore nel massimo a cinque anni. Entrambi gli articoli prevedono, però, una lunga serie di reati, tassativamente indicati, per i quali è stabilito rispettivamente l'arresto obbligatorio o facoltativo, indipendentemente dalla previsione generale delle pene su indicate.

[3] Cfr. Antonio Marini "L'arresto in flagranza di reato anche da parte dei privati" in www.specchioeconomico.com. giugno 2007.

[4] Si ha reato perseguibile d'ufficio quando non occorre, per l'inizio del processo, una manifestazione di volontà proveniente dalla persona offesa (querela art. 336 CPP, istanza art.341 CPP), oppure dalla pubblica autorità (richiesta art.342 CPP, autorizzazione a procedere art.343 CPP).

[5] Diversamente che per gli organi di polizia si tratta, dunque, di una mera facoltà, cfr.: Siracusano, Galati, Tranchina, Zappalà, Diritto Processuale Penale, vol.II, 2° edizione
[6] Corpo del reato: sono le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché quelle cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. Esso è assoggettabile a confisca, misura di sicurezza a carattere patrimoniale, consistente nell'espropriazione, a favore dello Stato (cum fiscum), di cose collegate al reato, secondo uno dei criteri di relazione indicati dall'art. 240 CP (strumentalità, destinazione, produzione ecc). La legge distingue fra confisca obbligatoria (quando la pericolosità è intrinseca alla cosa: si pensi ad una pistola) e confisca facoltativa (quando il giudizio di pericolosità è formulato in relazione al caso concreto, mancando una valutazione di pericolosità presunta fatta dal legislatore). Mentre la confisca facoltativa può applicarsi solo in presenza di una condanna, quella obbligatoria va disposta anche in caso di assoluzione.

[7] Verbale (o processo verbale): indica un atto redatto da un pubblico ufficiale con funzione di documentazione e prova di fatti o atti ai quali il pubblico ufficiale assiste o che compie in prima persona. Il verbale contiene, naturalmente, la descrizione delle operazioni o dei fatti ai quali si riferisce. Quando ha per oggetto l'accertamento di un atto non scritto, il verbale rimane comunque da quest'ultimo distinto e può essere redatto anche in un momento successivo. È quindi la forma di documentazione, per riassunto o in forma integrale, delle attività compiute nell'ambito dell'intero procedimento penale. Nel primo caso, viene letteralmente trascritta tutta l'attività processuale che si svolge; nel secondo caso se ne fa un mero riassunto, integrato della registrazione fonografica ed audiovisiva

[8] Corte Costituzionale, Sentenza n.89 del 1970.

[9] Corte Suprema di Cassazione 14/06/1993.

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