mercoledì 10 giugno 2015

L’applauso del Pd all'indagato De Luca è un marchio indelebile nella reputazione del partito

Più che uno scroscio di mani sembrava il rumore di una frana dolomitica o il fracasso frantumato di un crollo. Più che un applauso, un pugno allo stomaco. Quell'applauso di domenica sera nella sede del Nazareno, indirizzato all'indagato Vincenzo De Luca da parte del direttivo del Pd sa di bruciato, di catastrofico: marchio indelebile della deriva di un partito che fu di sinistra e che è diventato sinistro.

Gramsci, Togliatti e Berlinguer si saranno rivoltati nelle loro tombe in contorsioni di insofferente ripulsa. Non trattasi soltanto di dignità. Ma financo di quel minimo di prudenza precauzionale che dovrebbe accompagnare coloro che sono al vertice di un partito alla guida di un Paese membro dell'Europa, e/o del G7, e/o del Patto Atlantico. Ma tant'è! 
De Luca in Campania e la Paita in Liguria sono ormai la certificazione della spudoratezza, della presunzione boriosa e della tracotanza che caratterizzano il partito di Renzi, elemento estraneo all'autentica tradizione storica, ideale e ideologica del Pd che a furia di dictat ne ha cambiato la natura sì da farne una specie di ibrido organismo geneticamente modificato.
Evidentemente il potere lo rende cieco da non vedere l'erosione continua del suo partito che, tenendo conto della percentuale degli astenuti, rappresenta appena il 15 per cento della popolazione; e sordo da non sentire i mugugni di una minoranza, sì, frastagliata, ma in continua ebollizione. Su Repubblica del 30 marzo scorso Thomas Piketty si chiedeva come mai le masse abbiano voltano le spalle ai partiti di centrosinistra che sostengono di difenderle. La risposta che si dava era semplicemente perché i partiti di centrosinistra non le difendono più ormai da tempo. Oggi, noi ci si trova di fronte ad una "ex-sinistra" che si è sostituita alla destra, che ne fa le veci e ne realizza le "riforme".
Raniero la Valle, in un suo recente articolo, segna le tappe disgraziate di questo degrado e, chiamiamola così, dell'eutanasia della democrazia:
"Fin dal 1971 le riforme monetarie ed economiche di Nixon, di Reagan, della Thatcher, i minuziosi trattati europei sulla sovranità della concorrenza e dei mercati, la separazione tra Banca d'Italia e autorità di governo, la rinunzia degli Stati a battere moneta, senza che i nuovi produttori di moneta dipendano da nessuno, e meno ancora rispondano a istanze democratiche, hanno tolto alle Repubbliche, cioè al potere politico e alla sovranità popolare ogni possibilità di governare l'economia e di perseguire i fini di promozione e di felicità umana che essi stessi si erano assegnati".
Il fine della politica, ormai da tempo, non è più la promozione e il benessere del popolo, bensì l'apertura al mercato. Ma questa è anche la sua fine!

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