sabato 14 febbraio 2015

Lo scandalo del PD di Roma

L'inchiesta che travolge gli anni della giunta Alemanno colpisce in pieno anche la sinistra del Campidoglio, delle cooperative sociali e del mezzobosco affaristico. Hanno diviso il potere con la destra, ora dividono le accuse. 

Il ritratto di Roma che esce dalle prime carte dell’inchiesta “Mondo di mezzo” è contemporaneamente il più pazzesco e anche il più verosimile. Qualcosa che stupisce – per alcuni dei nomi coinvolti, per certe assurde resurrezioni criminali a cominciare da quella di Massimo Carminati – ma che in realtà conferma quanto si sapeva, o si intuiva, o si sospettava a proposito degli intrecci tra amministrazione e raggruppamenti mafiosi di varie dimensioni.
La personalità più duramente investita è senz’altro quella di Gianni Alemanno, e del resto i suoi cinque anni da sindaco erano già stati travolti dalle inchieste, dal discredito e infine da una pesantissima stroncatura elettorale. Vedremo di quale entità sarà il suo coinvolgimento attuale ma una cosa è certa: il tentativo di riciclarsi come capopopolo della rivolta anti-immigrati va a sbattere contro una vicenda che, oltre tutto, racconta dei campi nomadi sfruttati come business. Nemesi implacabile per Alemanno e per tutti i neofascisti che provano a cavalcare i drammi della convivenza nelle periferie.
Tra il 2008 e il 2013 il Campidoglio è stato spolpato da una banda di vecchi camerati radunati in risposta al richiamo della foresta. E si sapeva. È perfino ricomparso un cognome terribile: c’è un Alibrandi fra gli indagati. Ma prendiamo per buona la frase di Carminati carpita dai carabinieri: sono affari, la politica non conta.
E allora guardiamo bene dentro la trasversalità del sistema di appalti e di potere. Affrontiamo la realtà di cooperative cresciute negli anni al fianco delle amministrazioni di sinistra, diventate holding di servizi e di collocamento, implacabili nell’accaparrarsi lavori in campi che l’amministrazione non sa o non può gestire da sé, tutti socialmente cruciali: il verde, la sanità, l’accoglienza di nomadi e immigrati, lo smaltimento dei rifiuti.
È il lato oscuro della sussidiarietà, che si fa forte della debolezza e della transitorietà della politica per imporre l’eternità dei propri affari piccoli, grandi o grandissimi, e che per essere più sicura si associa con vera e propria criminalità.  
Non possiamo fermarci alla strana amicizia tra l’ex Nar Carminati e il capo storico della coop 29 giugno, Salvatore Buzzi. Perché non è con i fascisti al potere che quest’ultimo ha costruito la propria presenza ovunque ci fosse da tappare una falla dei servizi pubblici. Inutile girare la testa dall’altra parte: sono storie che non possono essere confinate a destra, come del resto conferma il coinvolgimento nell’inchiesta dei pm di Pignatone di diversi e importanti dirigenti del Pd romano.
Per questo diciamo: rammarico, attesa di verificare accuse e prove, presunzione di innocenza per tutti, ma nessuna sorpresa se i sospetti si rivelassero fondati.
Infatti, al di là delle eventuali implicazioni penali, la colpa grave della sinistra romana è stata esattamente questa: quando Alemanno, Polverini, e Storace prima di loro, l’hanno estromessa dal potere, essa si è in gran parte acconciata ai tempi “nuovi”, e a contrattare con i nuovi padroni della città. Fino a quando con Zingaretti e Marino è tornato il suo momento. E, insieme al momento, sono tornati in posizioni preminenti molti degli eterni abitanti del sottobosco capitolino, politici o funzionari pubblici.
È in questo ambiente che può consumarsi una vicenda – questa sì, incredibile – come quella di Marco Di Stefano, il deputato Pd che proprio ieri per combinazione  veniva interrogato a palazzo di giustizia: un’altra creatura del trasformismo e della vischiosità della politica romana, un altro esemplare di quella fauna che può accasarsi a sinistra se a contare sono solo le tessere più o meno false, le preferenze più o meno comprate e le poltrone quasi mai meritate.
Il capo della procura Pignatone è intervenuto giorni fa in un’assemblea che avrebbe voluto segnare una sorta di “rifondazione” del Pd.
Che glielo abbiano chiesto, e che lui l’abbia voluto fare pur sapendo che cosa avevano per le mani i suoi colleghi, sono due segnali importanti e incoraggianti. Come la distinzione che lui stesso, in modo irrituale, ha voluto proporre tra la gestione di Alemanno e la gestione di Ignazio Marino.
Su questo sindaco – goffo, sfortunato, «involontario» come l’ha definito Europa – s’è detto di tutto. Eppure oggi ce lo ritroviamo, nonostante giunta e consiglio comunale stiano perdendo pezzi, come un punto di riferimento sicuramente pulito in un mare di opacità.
Il Pd nazionale ha almeno qualcosa su cui appoggiarsi, in una ricostruzione che non sarà breve né indolore, come Matteo Renzi e Lorenzo Guerini hanno capito benissimo. Lo scandalo potrà perfino aiutarli. Il Pd romano, che molto ha attaccato il marziano Marino fin dal primo momento pretendendo più spazio e più potere, adesso farà bene a leccarsi le ferite, a cercare di guarire finalmente dal suo morbo oscuro, e a fidarsi.
P.S.
La "SPUDORATEZZA CRIMINALE" del centro di "FINANZIAMENTO" del PD..............raccontata da un socio storico !!!

ROMA – Lo scandalo del marcio che corrode Roma, Capitale d’Italia, ha fatto emergere una serie di aspetti imbarazzanti per il Pd e l’alleato Sel a Roma. Ha anche fatto emergere il conflitto di interessi che lega Pd e Coop talmente grande e imbarazzante da rendere opportuno aggirarlo e non parlarne.
Lo fa Franco Bechis su Libero, il quale parte dallo scandalo del Marcio Capitale per arrivare a una inquadratura nazionale del problema del conflitto di interessi. L’articolo di Franco Bechis parte dalle donazioni della Cooperativa 29 giugno guidata daSalvatore Buzzi a vari esponenti politici romani, a cominciare da Ignazio Marino, sindaco di Roma:
 “Trentamila euro al sindaco di Roma, Ignazio Marino. Ventimila euro al suo Assessore alla Casa, Daniele Ozzimo. Circa ventimila euro ai candidati del Pd alla presidenza dei municipi di Roma alle ultime elezioni amministrative. Diecimila euro al Pd comitato cittadino di Roma. Diecimila euro a Domenico De Vincenzi, candidato sindaco del Pd a Guidonia, comune della cintura romana.
E soldi anche al vicesindaco della giunta Marino, Luigi Nieri, che milita nel partito di Nichi Vendola (Sel).
Solo nell’ultimo anno le due coop sociali di Salvatore Buzzi (la 29 giugno e il consorzio Eriches 29), il capo del business di Mafia Capitale secondo le indagini della procura di Roma, hanno versato al partito di Matteo Renzi e ai suoi principali esponenti nella capitale più di 100 mila euro.
Nell’anno e mezzo le due cooperative hanno ricevuto assai più di quella somma dalla giunta capitolina grazie alla proroga di vecchi appalti in corso (la gestione delle aree verdi, la raccolta dei rifiuti, la gestione dei campi rom e dei centri di accoglienza per rifugiati), all’assegnazione di nuovi appalti o alla concessione di uno sconto di quasi 60 mila euro sul prezzo di affitto della sede sociale.
Non stupisce: è chiaro che quando si finanzia qualcuno, c’è almeno la speranza di avere qualcosa in cambio. Se le commesse ricevute erano regolari e dovute, non c’è alcun reato. Solo malcostume: dal sindaco Marino in giù avrebbero dovuto evitare di deliberare appalti e commesse in favore dei loro finanziatori, perché il conflitto di interesse era lampante. Se quegli appalti erano regolari, il problema però sta proprio in quei finanziamenti.
Quelli erano soldi che arrivavano da cooperative sociali, che non sono imprese come tutte le altre. Sono composte da soci speciali (in questo caso ex detenuti in cerca di un modo di tornare in società e lavorare), perfino da soci volontari che non vengono pagati per la loro attività. Hanno vantaggi fiscali e legislativi notevoli, come tutte le Cooperative italiane e quelle di carattere sociale ne hanno più di altre.
In cambio hanno degli obblighi, ad iniziare dalle regole per la distribuzione degli utili.
Non c’è spazio per un finanziamento a un partito politico o a un singolo candidato alle elezioni. Quei 30 mila euro non potevano finire a Marino, e gli altri soldi non potevano andare nelle casse del Pd o a finanziare la campagna elettorale dei suoi candidati.
Al di là delle regole, i percettori avrebbero dovuto rifiutare quei soldi: ogni euro intascato da Marino & c veniva infatti sottratto ai poveri ex detenuti.
C’è anche una aggravante: al momento di quei finanziamenti la Cooperativa che elargiva queste somme ai vari capataz del Pd sosteneva di stare in bruttissime acque. Il sindaco di Roma lo sapeva benissimo. Tanto è che il 29 aprile del 2013 disse: «La cooperativa 29 giugno, che si occupa di dare una mano alle persone più deboli, ha denunciato con severità i tagli subiti dalla giunta Alemanno. Si trova in grande difficoltà e, mettendosi d’accordo con le banche, emetterà delle obbligazioni per potere finanziare la propria attività» (…)

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