
"La diffamazione a mezzo stampa come reato è incostituzionale perché compromette la libertà di espressione. I problemi connessi alla materia andrebbero risolti da un Giudice d'intervento immediato (che non c'è) in chiave conciliativa soprattutto per quanto riguarda il web.http://www.antiarte.it/eugius/libera_espressione.htm"
Gennaro Francione
LEGGE BAVAGLIO ANCHE DI INTERNET PASSATA IN SORDINA: MOVIMENTO 5 STALLE E SEGA NORD COINVOLTI IN SENATO: votano tutti sì.
Non hanno alcuna scusa! Nessuno di loro! Hanno votato una legge VIGLIACCA e DITTATORIALE!
DEFINITA DA RODOTA' UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA POCHI GIORNI FA (notizia censurata pure dal 90% del palco mediatico):
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Fonte alternativa:
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Dati di voto:
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Tabelle di voto:
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Giornalismo, Stefano Rodotà: "La nuova legge sulla diffamazione è un pericolo per la democrazia"
No diffamazione.
La nuova legge sulla diffamazione è sbagliata.

Firma l’appello
#Meglioilcarcere
La nuova legge sulla diffamazione è sbagliata.
Doveva essere una riforma della legge sulla stampa che eliminando la pena del carcere per i giornalisti, liberava l’informazione dal rischio di sanzioni sproporzionate, a tutela dei diritti fondamentali di cronaca e di critica: il testo licenziato al Senato rischia di ottenere l’effetto opposto, rivelandosi come un maldestro tentativo di limitare la libertà di espressione anche sul web.
La legge sulla diffamazione che potrebbe presto essere approvata, prevede in particolare:
1) sanzioni pecuniarie fino a 50 mila euro che appaiono da un lato inefficaci per i grandi gruppi editoriali e dall’altro potenzialmente devastanti per l’informazione indipendente, in particolare per le piccole testate online. Inoltre viene pericolosamente ampliata la responsabilità del direttore per omesso controllo, ormai improponibile in via di principio e sicuramente devastante per le testate digitali caratterizzate da un continuo aggiornamento;
2) un diritto di rettifica immediata e integrale al testo ritenuto lesivo della dignità dall’interessato, senza possibilità di replica o commento né del giornalista né del direttore responsabile, e che invece di una “rettifica”, si configura come un diritto assoluto di replica, assistito da sanzioni pecuniarie in caso di inottemperanza, che prescinde, nei presupposti della richiesta, dalla falsità della notizia o dal carattere diffamatorio dell’informazione;
3) l’introduzione di una sorta di generico diritto all’oblio che consentirebbe indiscriminate richieste di rimozione di informazioni e notizie dal web se ritenute diffamatorie o contenenti dati personali ipoteticamente trattati in violazione di disposizioni di legge. Previsione questa che non appare limitata alle sole testate giornalistiche registrate ma applicabile a qualsiasi fonte informativa, sia essa un sito generico, un blog, un aggregatore di notizie o un motore di ricerca, e che fa riferimento al trattamento illecito dei dati che è concetto dai confini incerti in particolare nell’ambito del diritto di cronaca e critica e che non ha alcuna attinenza col tema della diffamazione.
Più specificamente, la previsione di un assoluto diritto all’oblio, esercitato senza contraddittorio, è destinato a produrre un infinito contenzioso tutte le volte che, di fronte a richieste ingiustificate, il direttore legittimamente decida di non accoglierle. Ma la nuova norma può anche indurre ad accettare la richiesta solo per sottrarsi proprio ad un contenzioso costoso o ingestibile e, soprattutto, può portare alla decisione di non rendere pubbliche notizie per le quali è probabile la richiesta di cancellazione, con un gravissimo effetto di “spontanea” censura preventiva. I rischi non solo per la libertà d’informazione, ma per la stessa democrazia, sono evidenti
Una legge che modifica la normativa sulla stampa al tempo del web deve avere come primo obiettivo la tutela della libertà di espressione e di informazione su ogni medium: e questo non si ottiene prevedendo nuove responsabilità e strumenti di controllo e rimozione, ma estendendo ai nuovi media le garanzie fondamentali previste dalla Costituzione per la stampa tipografica.
La legge sulla diffamazione proposta ha invece il sapore di un inaccettabile “mettetevi in riga”, sotto la minaccia di facili sanzioni, rettifiche e rimozioni, per quei giornalisti coraggiosi, blogger e freelance che difendono il diritto dei cittadini ad essere informati per fare scelte libere e consapevoli.
La mancanza di norme che sanzionino richieste e azioni giudiziarie temerarie o infondate non fa che aggravare un quadro di potenziale pressione sull’informazione che la sola eliminazione del carcere come sanzione non è sufficiente a scongiurare e che anzi con la nuova legge si aggrava.
La nuova legge sulla diffamazione è pericolosa per le molte violazioni in essa previste del diritto costituzionale d’informare e di essere informati.
Per questo invitiamo tutti i cittadini ad aderire a questo appello, e chiediamo ai parlamentari di non approvare la legge.
Ne va della libertà di tutti.
http://nodiffamazione.it #nodiffamazione #meglioilcarcere #ddldiffamazione

Senza le modifiche necessarie, sarà meglio mandare nel binario morto anche questo testo. Il Governo non può stare a guardare
Ossigeno per l’Informazione chiede al Parlamento di approvare un’autentica, coraggiosa e democratica riforma dei reati di ingiuria e diffamazione, compresa quella a mezzo stampa, muovendosi sui binari tracciati da gran tempo dagli organismi europei e internazionali: dal Consiglio d’Europa all’ONU, dall’Osce alla Cedu. Se ciò non è possibile, è meglio mandare nel binario morto anche questo ennesimo tentativo. La Camera deve inserire al testo del Senato le profonde modifiche necessarie. Il Governo non può stare a guardare.
Il Parlamento non può limitarsi a cancellare la pena della reclusione attualmente prevista sia per la diffmazione a mezzo stampa sia per l’ingiuria. Deve depenalizzare entrambi i reati (cioè trasferirne la regolazione nel codice civile). Se le sanzioni che sostituiscono il carcere sono le multe, esse devono essere proporzionate al reddito e al patrimonio di chi deve pagarle, non possono essere tali da rendere impossibile la prosecuzione dell’attività informativa.
Inoltre il Parlamento deve eliminare i mille “paletti” che fanno somigliare il lavoro dei cronisti a una missione impossibile e impediscono ai cittadini di conoscere molte informazioni importanti.
Camera e Senato, nella prima lettura del disegno di legge, hanno escluso la depenalizzazione ed ora è impossibile introdurla nel testo. Si farà dopo. Ma i “paletti” si possono ancora togliere, le querele intimidatorie si possono scoraggiare e punire, la pretesa della rettifica senza commento si può mitigare e correggere, le pseudo norme sull’oblio che distruggono gli archivi dei giornali si possono mandare al macero, e così via.
L’ammodernamento di queste norme è necessario ed è atteso ormai da 66 anni, certamente non per mettere nuovi divieti e bavagli. L’Italia deve fare un grande passo per avvicinarsi ai paesi in cui la stampa è veramente libera. Il Parlamento può agire in questo senso e il governo deve fare la sua parte.
Quando si pone mano ai codici (a quello penale e civile e a quelli di rito), quando si apre o si chiude il rubinetto della libertà di stampa, l’esecutivo non può essere spettatore passivo e silenzioso come un convitato di pietra, come è stato finora durante l’iter parlamentare.
Non può dire: questo riguarda solo il Parlamento.
Il governo esca dal guscio del mutismo sulla diffamazione a mezzo stampa.
Si prenda la responsabilità di indicare la via del diritto europeo, dei Trattati internazionali e anche dell’interesse economico: perché l’Italia attirerà pochi investimenti finché la stampa sarà libera “parzialmente”, come è autorevolmente certificato da molti anni.
L’Italia attirerà ancora meno investimenti se la legge in discussione introdurrà nuovi laccioli e nuovi bavagli alla libera informazione, come si rischia di fare. Ne attirerà sempre di meno se si continuerà a lasciar correre a centinaia le querele infondate e i risarcimenti pretestuosi e gli abusi che consentono pressioni, intimidazioni non punibili, censure improprie: Ossigeno ne ha contate duemilacento in otto anni.
Se invece di aprire il rubinetto dell’informazione, la nuova legge cercherà di chiuderlo, come propone per certi versi il testo del Senato attualmente all’esame della Commissione Giustizia di Montecitorio, sarà meglio gettare nel cestino anche questo ennesimo aborto di riforma e bisognerà rassegnarsi allo status quo di paese parzialmente libero nel quale le intimidazioni contro giornalisti, blogger, fotoreporter, video cronisti, vanno a segno facilmente anche con finte accuse di diffamazione. Questo rischio c’è. Ma la partita è ancora aperta.
Le proposte di Ossigeno per l’Informazione sono note alla Commissione Giustizia della Camera. La nostra sensazione è che ampi settori della Commissione e del Governo le apprezzino e, rendendosi conto dei gravi limiti del testo attuale, siano orientati a migliorarlo per quanto possibile, rinviando ulteriori modifiche a tempi migliori, quando verranno.
È ancora possible riconsiderare snodi decisivi del ddl, come sollecitano in coro organizzazioni di giornalisti ed editori. In particolare, Ossigeno ritiene possibile: correggere l’eccesso delle pene alternative al carcere; rivedere il regime della rettifica senza replica (precisando che il divieto si applica soltanto al commento contestuale alla replica); abolire lo pseudo diritto all’oblio, ora strutturato in una forma che rischia di mascherare atti di censura; cancellare la semplicistica equiparazione delle norme al web rinviando questa regolazione a un opportuno approfondimento e bilanciamento all’altezza della complessità delle questioni; introdurre sanzioni severe, certe e applicabili contro coloro che ricorrono strumentalmente a querele o ad azioni civili, o a entrambe, per paralizzare giornalisti e giornali e la loro funzione democratica di informare i cittadini su fatti di interesse pubblico.
Queste correzioni non difendono interessi corporativi, ma la libertà di informazione, che spetta a tutti i cittadini. Queste correzioni sono ragionevoli. Sono possibili. Possono raccogliere un consenso ampio anche in Parlamento.
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I limiti a cui dovrebbero attenersi gli amministratori comunali in quanto rappresentati dell’intera comunità
Chi critica l’operato di un sindaco con toni forti, superando la “continenza espressiva”, lede l’immagine di un Comune?
Io credo di no, per una serie di ragioni che esporrò prendendo spunto dalla vicenda di Monte Argentario, che aiuta a riflettere sul quesito.
La questione è nota. La Giunta del Comune toscano ha incaricato un legale di querelare i cittadini che sui social network hanno criticato l’operato del Sindaco e la sua amministrazione.
A detta della giunta comunale tali commenti rappresenterebbero una lesione dell’immagine del Comune. La vicenda è dunque emblematica ed è analoga alla lite che oppone il Comune di Marsala al giornalista Giacomo Di Girolamo.
(Ed è analoga alla querela per diffamazione contro la giornalista Rosanna
Carpentieri, inventatasi dal sindaco di San Giorgio del Sannio a fronte di
una denuncia ambientale per DANNEGGIAMENTO su piante vive e sane,
SCEMPIO AMBIENTALE E SPERPERO DI DANARO PUBBLICO, n.d.r.)
Carpentieri, inventatasi dal sindaco di San Giorgio del Sannio a fronte di
una denuncia ambientale per DANNEGGIAMENTO su piante vive e sane,
SCEMPIO AMBIENTALE E SPERPERO DI DANARO PUBBLICO, n.d.r.)
Anche il Comune di Marsala accusa il giornalista di aver leso l’immagine dell’ente locale con alcuni suoi articoli critici sull’amministrazione comunale. Voglio solo ricordarlo senza aggiungere nulla, poiché assisto in giudizio il giornalista citato per danni.
Ma torniamo al quesito. Un Comune rappresenta l’insieme delle persone che compongono la comunità. Non rappresenta soltanto chi è stato eletto per amministrarlo, come il sindaco o la giunta.
Se un cittadino (o un giornalista) critica l’operato della giunta: l’immagine lesa è, eventualmente, quella del sindaco.
Può dirsi lesa anche l’immagine del Comune? No, e per evidenti ragioni giuridiche (vi è un vero e proprio difetto di legittimazione attivo da parte del Comune nel proporre una azione civile) e di buon senso: come potrebbe sentirsi leso, poniamo il caso, un consigliere all’opposizione che a sua volta critica il sindaco?
O un cittadino che non condivide la politica del sindaco criticato?
A mio avviso e secondo la più accreditata dottrina, un Comune può dirsi leso e può stare in giudizio nei casi in cui viene lesa l’immagine dell’intera comunità e non l’immagine degli amministratori.
Chi amministra una comunità di certo la rappresenta, ma le critiche mosse al suo operato non si tramutano in critiche alla comunità tutta, anche in via di diritto.
Se è vero che un Comune “sta in giudizio” (cioè è rappresentato processualmente) dal sindaco, non può essere vero il contrario: cioè che il Comune “sta in giudizio” per difendere “la reputazione” del sindaco e i diritti della persona fisica del sindaco.
Su questo aspetto, che attiene proprio alcuni principi cardine del diritto, quali la rappresentanza organica delle persone giuridiche (e degli enti) e la legittimazione al giudizio, tanto la dottrina che la giurisprudenza sono abbastanza concordi.
Tali principi giuridici dovrebbero essere tenuti in somma considerazione da tutti quegli amministratori che ritengono di “impersonare” e non già “rappresentare” la propria comunità.
Per queste ragioni ritengo che anche la vicenda del Comune di Monte Argentario non possa avere un prosieguo né in sede civile né in sede penale. Ed anzi, in via generale, ritengo che, addirittura, si possa porre una questione, finanche, di danno erariale, laddove il Comune intenti cause che mirino in realtà alla difesa di un amministratore e non già alla difesa della comunità tutta.
Avvocato Valerio Vartolo
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