domenica 6 luglio 2014

Ormai è la fine del cd. Movimento pentastellato !

La forza di Grillo era Grillo stesso. Grillo non ha un pensiero politico, ha solo rabbia e capacità di esprimerla in modo convincente a chi non capisce né la politica né l'economia. Questa, però, è anche la sua debolezza: non appena viene condizionato qua e là da interessi politici che i suoi stringono nelle istituzioni, Grillo smette di essere Grillo. Viene mitigato, contaminato, manipolato, e prima o poi qualcuno si renderà conto che è proprio un ottimo megafono ma che non necessariamente debba essere lui a pensare quel che dice.
Insomma, finiranno per usarlo come frontman.
Era lo stesso rischio che avrebbe corso Berlusconi se non si fosse lanciato in politica in prima persona. Si può manipolare dietro le quinte fino ad un certo punto, ma un movimento è pieno di gente ambiziosa che sfrutterà il potere per affiancare e poi mandare via il leader. E' nell'ordine naturale delle cose, perché mai Grillo dovrebbe esserne esente?

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È del 15 giugno la notizia che Beppe Grillo avrebbe bussato alla porta del Partito Democratico, autoinvitandosi all’orgia di polemiche e idee geniali che stanno segnando la discussione sulle riforme istituzionali. Grillo, da bravo egocentrico, ha tentato di giustificare la svolta come una gentile concessione che il Movimento 5 Stelle fa al PD per onorare quella sorta di legittimazione popolare che Matteo Renzi avrebbe ottenuto alle ultime elezioni europee. Sí, proprio lo stesso Movimento che aveva parlato di brogli e congiure dietro i risultati delle europee ora ne accetta il risultato, e anzi è disposto a cambiar politica sulla base di ciò. Sul suo blog, Grillo scrive: «Renzi è stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti della direzione del PD. Quindi qualcosa, anzi molto, è cambiato». Poi fa un passo indietro, resta sulle sue, come un ospite timido e un po’ presuntuoso che pretende d’essere cercato dal padrone di casa anziché andare a porgergli per primo i propri omaggi: «Renzi batta un colpo. Il M5S risponderà». Insomma, Grillo ha un po’ pasticciato: ha teso la mano, poi l’ha ritirata, e infine è rimasto in attesa, perché il M5S non rincorre i politici per ottenere favori, bensí viene rincorso in virtú del numero di voti che rappresenta. Secondo Grillo.
La verità è un’altra, però. Come ogni partito nato dal populismo, il M5S ha attraversato tre fasi ben precise, ed è giunto, con questa svolta, alla sua fase terminale: quella di partito identico a tutti gli altri. E non è colpa dei suoi esponenti, di Grillo, degl’italiani che non l’hanno votato, o di Casaleggio. Semplicemente, Grillo ignorava una regola: masse di persone sottoposte ai medesimi stimoli tenderanno ad avere anche i medesimi comportamenti in risposta. I singoli, magari, agiranno in modo diverso l’uno dall’altro; ma l’intera massa andrà in una direzione ben precisa. È su questa regola ch’è stato possibile costruire il mantra «La storia si ripete»: essa non è che lo studio delle reazioni che determinati gruppi umani ebbero a determinati stimoli; stimoli simili produssero reazioni simili, e di qui la sensazione che la storia sia una ciclica ripetizione d’eventi. Il M5S, dunque, non ha fatto altro che inserirsi in un meccanismo che avrebbe inevitabilmente portato alla ripetizione della storia di qualunque altro movimento o partito che abbia fatto le stesse scelte.
La prima fase del M5S è stata la fase «fuori dal sistema». Il partito nasceva raccogliendo rabbia e disagio sociale con la guida d’un leader che ostentava sentimenti e stati d’animo analoghi a quelli degli elettori che intendeva conquistare, esattamente come hanno fatto decine o centinaia d’altri partiti nella storia dell’umanità. Il M5S non era nulla di nuovo, ma — in questa prima fase — poteva ancora diventare un «mutatore»: un fattore capace di determinare un cambiamento in un processo ciclico. La storia è ricca di mutatori — tantoché possono essere considerati essi stessi una regola, se il periodo di riferimento è molto ampio. In un breve periodo, invece, i mutatori appaiono come eccezioni; e chi credeva nel M5S aveva tutte le ragioni per sperare ch’esso potesse cambiar le cose.
La particolarità di questa prima fase era la possibilità del M5S d’agire come contropotere di Stato e partiti. Ciò era possibile perché il M5S non era tenuto a rispettare regolamenti parlamentari, dinamiche politiche o registri linguistici propri di quel sistema ch’esso criticava. Il M5S poteva costruire esso stesso le nuove regole del gioco, facendo leva sul grande consenso popolare che stava conquistando e che era visibile a tutti nelle piazze. Non erano necessarie le elezioni politiche, per capire che il M5S aveva raggiunto le dimensioni dei partiti che allora rappresentavano i due poli.
Il declino dell’utilità del M5S s’è avuto a partire dalla seconda fase: quella di transizione. È stata la fase segnata dalle elezioni politiche del 2013, ed è stata la fase di svolta. Con la decisione di candidarsi e di giocare in politica con le regole stabilite dai veterani, Grillo ha lentamente condotto il M5S al macello. Tuttavia, questa fase apparve ai sostenitori come la fase d’oro del partito — quella in cui esso aveva ottenuto il maggior numero di consensi. In realtà, esso ebbe soltanto un riscontro numerico di tutti i sostenitori che aveva già conquistato nella prima fase, e gli parve un risultato memorabile, oltreché un successo vero e proprio.
E questo ci porta alla terza fase, quella attuale. La fase «interna al sistema», segnata proprio dall’apertura di Grillo al PD. Grillo s’è reso conto che il M5S non può ottenere alcun risultato se gioca con le stesse regole di tutti gli altri, perché il sistema è costruito appositamente per non permettere il conseguimento degli obiettivi del singolo partito. E se n’è reso conto quando tutto ciò che poteva sbandierare era qualche foto di parlamentari addormentati, qualch’emendamento da nulla, qualche dimissione, e null’altro. Ma il M5S non doveva cambiar le cose? Non doveva mandarli tutti a casa, svellere il crimine dalle istituzioni, epurare il Parlamento, dar voce alla gente? Avrebbe potuto farlo operando fuori dal sistema, ma — una volta entrato — esso è stato trasformato: agendo all’interno cosí come aveva agito fuori, non otteneva altro che d’essere in minoranza alle Camere. Di conseguenza, tutto ciò ch’esso s’era prefissato restava un mero orizzonte verso cui tendere, non obiettivi concreti da raggiungere.
Grillo ne ha avuto la prova definitiva quando PD e PdL hanno organizzato il festino per banchettare con la Costituzione e non hanno invitato il M5S, perché in netta minoranza. PD e PdL possono avere una maggioranza qualificata nel Parlamento, cioè dei 2/3, e approvare qualunque legge costituzionale anche senza l’appoggio del M5S. Che cosa fa, dunque, il M5S? S’omologa al comportamento degli altri partiti. Grillo va in televisione come tutti gli altri, modera il linguaggio come tutti gli altri, parla come una vittima, sostiene — come Berlusconi — che, se avesse la maggioranza assoluta, potrebbe fare tutto quanto è necessario al Paese (ma dài?) e, infine, s’abbassa a trattare con coloro che ha piú volte definito criminali. È stata una mossa necessaria, purtroppo, poiché il M5S deve dare prova d’esserci (ancora) e di poter influenzare gli eventi piú grandi della politica. Sono i colpi di coda d’un Movimento che ormai ha perso il suo carattere di protesta. In sostanza, è la resa del Movimento 5 Stelle. Il suo fallimento.
Morale della favola: il M5S continuerà a definirsi «partito del cambiamento», ma le elezioni europee gli hanno dato già un primo segnale di pericolo. Gli elettori si sono accorti d’avere preso un abbaglio, e sono tornati alla base, cioè dai partiti che finora hanno almeno permesso loro d’ottenere favori da esponenti locali. Il M5S non avrà nulla di diverso da tutti gli altri partiti, continuerà a far emendamenti che nessuno approverà, di tanto in tanto ne proporrà di passabili e sbandiererà l’evento come una vittoria epocale, ma in fin dei conti non risolverà nulla, esattamente come tutti gli altri.

Si può già prevedere una quarta fase. Quando Grillo perderà il suo ascendente — perché Grillo perderà il suo ascendente —, il M5S si smembrerà e darà vita a piú movimenti interni, trasformandosi in una sorta di federazione di movimenti minori. Dopodiché, quando ogni movimento interno pretenderà di rappresentare l’ortodossia, essi entreranno in aperta lotta tra loro e finiranno per scindersi totalmente, segnando la fine del M5S.

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