domenica 27 aprile 2014

Benevento è città di camorra, secondo la DDA di Napoli. O cambierà o è finita

Da Il Vaglio del 25.03.2014
Tribunale

Bisognerebbe leggere, in tutte le scuole superiori e le facoltà universitarie sannite, l’ordinanza del Gip Pietro Carola con la quale ha deciso i 26 arresti nell’ambito dell’operazione “Tabula Rasa”, condotta per anni dai carabinieri del Comando provinciale di Benevento sotto la guida della Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Napoli. Perché i giovani devono sapere dove vivono e perché in loro può riporsi la speranza di un ritorno alla legalità perduta.
E’ impressionante l’atto giudiziario. Oltre quattrocento pagine raccontano cosa succede in questa terra, diventata – da tanti anni ormai – quasi uguale alla vicina provincia casertana. 
Le differenze? 1) La relativa povertà e la marginalità produttiva dell’area beneventana rispetto alla più ricca Terra di lavoro, che non consentono in partenza gli stessi guadagni ingenti ai sodalizi criminali; 2) La più agevole sottomissione della maggioranza dei suoi abitanti al pizzo e alle tangenti e l’ancor più diffusa omertà del territorio che hanno evitato, per mancanza di reazioni, gli aspetti più dirompenti e drammatici nell’imposizione del controllo camorrista del territorio.
Perché l’inchiesta della DDA “Tabula rasa” dice che Benevento e gran parte della provincia sannita, ormai, sono terre di camorra. Nell’ordinanza si legge: “L’organizzazione si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti contro la persona e il patrimonio (in particolare estorsioni contro imprenditori e commercianti nonché usura ai danni di diverse persone), delitti di detenzione e spaccio di hascisc e cocaina, nonché per acquisire il controllo di attività economiche e per conseguire profitti e vantaggi ingiusti. Con l’aggravante della disponibilità di armi ed esplosivi e dell’assunzione o del controllo di attività economiche finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto dei delitti. In Benevento e nei paesi limitrofi. Accertato in data 3 settembre 2012 e con condotta perdurante”.
A una settimana dagli arresti del 19 marzo, ulteriore prova del clima instaurato viene dall’assenza di reazioni da parte di esponenti politici e delle istituzioni beneventane e della cosiddetta società civile. Dai più potenti e in vista a scendere, dai pochi solitamente interventisti, ai molti sempre noncuranti: i beneventani fanno come se non avessero visto e sentito e non parlano…
La divisione del territorio: Benevento assoggettataL’ordinanza sull’inchiesta della DDA di Napoli è risalita nel tempo, nel rifare la storia del clan Sparandeo, al 1998, ed è discesa fino ai giorni nostri, affermando che detto clan controlla in maniera egemone la città e le zone vicine, mentre la Valle Caudina è sotto il tacco del clan Iadanza-Panella, quella Telesina del clan Esposito. Su tutti i gruppi, per gli affari (appalti) più sostanziosi, entra nella divisione degli incassi, nel Sannio, il potente clan Pagnozzi di San Martino Valle Caudina: questo il quadro territoriale criminale descritto.
L’ordinanza del Gip Carola fa tanti nomi e cognomi, recupera – e in tal modo dà nuovo valore – dichiarazioni di collaboratori di giustizia, anche lontane nel tempo, e soprattutto trascrive, a iosa, più recenti colloqui frutto di intercettazioni telefoniche e ambientali, e dà conto di appostamenti, pedinamenti e arresti in flagranza, questi ultimi, fatti per intercettare notevoli quantitativi di droga, compiere arresti di esponenti di spicco, ma anche per evitare rapine prossime a esser effettuate, come quella a un noto imprenditore nel ramo dei supermercati del luglio scorso.
Il clan Sparandeo, sostengono gli inquirenti, si alimenta soprattutto con lo spaccio della droga e con le estorsioni agli imprenditori e agli esercenti, ma c’è spazio per l’usura, e anche un ramo laterale dedicato alle rapine.
Il clan nelle elezioni comunali del 2011Il clan non ha mancato di prender parte alle ultime competizioni elettorali per il Comune di Benevento, quelle del 2011, appoggiando candidati di diversi schieramenti e avendo come ambizioso progetto quello di “conquistare” l’assessorato ai Lavori Pubblici, quello dei ghiotti appalti.
L’ordinanza del magistrato segnala, dunque, la cruda realtà beneventana, dai più avveduti osservatori anche ipotizzata. Ma è ben altra cosa l’immaginare dal leggere e dal sapere come e perché Benevento è diventata terra di camorra.
Riscontrando le stesse modalità che abbiamo visto e letto in passato per il napoletano e il casertano: le tangenti incassate a Pasqua, Natale e Ferragosto, la fitta rete di spacciatori, di corrieri per la droga, con tanto di vedette sul territorio per controllare l’arrivo delle forze dell’ordine. Abbiamo poi anche saputo, poche ore dopo i 26 arresti, che uno dei principali esponenti (il clan è su base familiare, con cinque fratelli al vertice e tre nipoti nelle posizioni immediatamente successive), nell’edificio dell’Iacp in cui abita, ha fatto suoi anche scantinati e pertinenze (che sarebbero dovute appartenere a tutti i condomini), per costruirsi un ben arredato alloggio abusivo comunicante con la propria abitazione, una sorta di bunker ben arredato, nel quale potersi nascondere o dal quale poter scappare. Tutto come in tante storie simili viste alla tv o lette sui giornali, accadute nei vicini o confinanti contesti regionali.
Da associazione a delinquere a clan camorristicoMa il quadro emerso è drammatico non soltanto per la vasta struttura e operatività del clan che, trafficando e spacciando droga, distrugge le menti dei nostri giovani e la pace e le finanze delle loro famiglie, che praticando l’usura e le estorsioni prosciuga e umilia imprenditori e commercianti, che organizzandosi nel ramo delle rapine mostra una volontà di alzare ulteriormente il tiro, che, infine, ambiziosamente sponsorizzando candidati, mira all’assessorato degli appalti pubblici visto come lucroso guadagno da non farsi sfuggire e, più in generale, a scalare pezzi delle istituzioni.
La vecchia associazione a delinquere, il clan di una volta, ha ottenuto ora dai magistrati la definizione di clan camorrista – per la prima volta nel Sannio – siamo cioè al top della criminalità organizzata, per la facilità con quale ormai il territorio consente che questi gravi reati possano essere commessi. Scrive il Gip Carola nelle conclusioni dell’ordinanza: “Tra la popolazione il gruppo Sparandeo è temuto proprio per i tipici atteggiamenti camorristici posti in essere dai suoi componenti, instaurando inevitabilmente un clima di omertà che è divenuto tangibile nella escussione delle parti offese o delle persone informate sui fatti: essi si sono ben guardati dal denunciare formalmente gli autori del reato in loro danno, riferendo tutti di temere per la propria incolumità e per quella dei familiari… Si manifestano con chiarezza i tratti dell’utilizzazione del cosiddetto metodo mafioso nelle condotte illecite commesse dal gruppo”.
Una situazione che è andata negli anni talmente avanti che, secondo i magistrati, il clan spesso non aveva più nemmeno l’esigenza di minacciare o punire per essere assecondato: bastava dire solo chi si fosse per incassare.
Nessun aiuto dai beneventani a carabinieri e magistratiIl clan Sparandeo è potuto arrivare ad agire da padrone perché non ha trovato alcuna resistenza nel tessuto istituzionale e sociale di Benevento. E’ stato contrastato esclusivamente dalle forze dell’ordine e della magistratura.
Antonio Carideo e Sigismondo Fragassi, rispettivamente comandante provinciale dei carabinieri e del Nucleo Operativo, l’hanno detto e sottolineato, scandito, in conferenza stampa: nessuna collaborazione c’è stata da parte delle vittime di estorsioni e dell’usura all’inchiesta che ha in totale autonomia duramente colpito il clan coi suoi 26 arresti.
I carabinieri recuperando biglietti, intercettando, pedinando sono venuti a sapere delle vessazioni in atto sul territorio beneventano che intanto pativa rimanendo zitto, muto e rassegnato. I militari ogni volta, decine di volte, trovato l’indizio sono andati a chiedere conferma alle vittime, ai taglieggiati, ma tutti hanno negato, alcuni apparendo chiaramente impauriti agli inquirenti.
E, stando ai nomi contenuti all’ordinanza, l’estorsione riguarda tutti: grandi e piccoli imprenditori, grossi commercianti, titolari di negozi in vista ed esercenti meno famosi, finanche qualche noto ambulante.
Ebbene, tutti hanno detto a chi è andato a interrogarli che non avevano mai pagato il pizzo. O hanno negato del tutto la circostanza o hanno affermato che, sì, qualcosa avevano dato, ma come gesto di generosità, di cortesia, perché volevano fare un regalo…
L’ordinanza lascia senza fiato perché, pagina dopo pagina, dapprima, riporta il contenuto di quanto intercettato o venuto a sapere dai carabinieri come possibile reato e poi, solo pochi righi sotto, trascrive i racconti delle presunte vittime che negano di essere state minacciate o di aver pagato. Nelle 400 pagine questi mancati riscontri degli investigatori sono riportati in continuazione…
I politici di oggi e quelli di ieriVengono poi fuori anche nomi di politici e di amministratori comunali. Su uno di loro in particolare si sono incentrate le anticipazioni di qualche quotidiano locale: stando alle intercettazioni di colloqui tra esponenti del clan, pagava 150mila euro annui in tre rate, a Natale, a Pasqua e a Ferragosto. L’ex politico in questione ha negato ai magistrati inquirenti la circostanza e l’ha fatto giorni fa anche pubblicamente e con forza sul Mattino.
Ma ci sono altri nomi di politici importanti che ricorrono nell’ordinanza, in contatto con il clan, anche andando molto indietro nel tempo, fino agli anni ’90, come da dichiarazioni di allora collaboratori di giustizia, riportate però, come detto, nuovamente dal Gip. Anche questi politici, si legge nell’ordinanza, hanno però negato minacce ai loro danni, pressioni, richieste e circostanze asserite.
Le carte dicono anche che il clan s’è dato molto da fare in questa ultima campagna elettorale per Palazzo Mosti, nel 2011, senza però concentrarsi su un solo candidato o schieramento. La cosa, in una delle intercettazioni, è stata anche oggetto di una riflessione da parte di due componenti del clan che valutavano di non disperdersi più, in futuro, su vari candidati, per dare più opportunità al prescelto.
Nessuno tra gli amministratori comunali, politici e, presunte vittime citati risulta indagato in questa inchiesta: sono stati ascoltati dagli inquirenti e le loro dichiarazioni sono state riportate nell’ordinanza, ma solo in qualità di persone informate sui fatti o testimoni.
Le indagini, comunque, come hanno anche specificato Carideo e Fragassi in conferenza stampa il 19 marzo, continuano e non sono esaurite nelle richieste di arresti fatte dalla DDA. Non è escluso che si abbiano sviluppi.
“Beneventani, non abbiate più paura!”, ma la città taceI due ufficiali dell’Arma nella stessa conferenza hanno scandito più volte: “Beneventani non abbiate più paura. Come avete visto alla fine non l’hanno fatta franca e non la faranno franca, per ciò cominciate a collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura. Perché lo Stato c’è sul territorio, è presente, attivo ed efficace nel combattere il crimine”. I carabinieri hanno anche detto che il clan con questa inchiesta è stato azzerato, da qui il nome “Tabula rasa” data all’operazione.
Abbiamo detto in precedenza che finora – a una settimana dagli arresti e dagli ulteriori interventi dei militari (la scoperta dell’alloggio-bunker abusivamente realizzato, alcune auto e moto riconducibili al clan sequestrate) – a Benevento partiti, associazioni, amministratori, politici hanno accolto la cosa nel pressoché totale silenzio.
Gli unici a intervenire sono stati, con una nota, il Movimento 5 Stelle, preoccupato per il quadro emerso, e il sindaco di Benevento Fausto Pepe che ha ringraziato l’Arma e la DDA per l’operazione condotta a termine.
Ha fatto bene il sindaco a ringraziare i carabinieri. Dobbiamo tanto a loro e alle altre forze di Polizia, oltre che ai magistrati inquirenti. Allo stato essi rappresentano l’unico baluardo sul territorio. I carabinieri (negli ultimi tempi seguiti anche dalla Guardia di Finanza) in particolare - evidentemente resisi conto di come la città e il Sannio siano quasi del tutto privi di propri anticorpi contro l’illegalità – sono da anni incessantemente impegnati anche in una capillare campagna per la legalità nelle scuole della città e nei paesi della provincia. Si stanno facendo carico, quindi, anche della campagna di prevenzione.
Ebbene, di una battaglia per la legalità questa nostra povera terra ha urgente bisogno non meno che di una rapida crescita economica, per rinascere, andare avanti e vivere dignitosamente. Anche perché senza la legalità la ripresa economica o non sarà o sarà malata.
Le parole del sindaco Pepe e i comportamenti conseguenti
Le giuste parole di plauso pronunciate dal sindaco Pepe, però, rischiano di apparire stonate. Benevento, diventata città di associazione camorrista, ex articolo 416bis, infatti, se non deve stare più zitta, mostrarsi soggiogata, farsi colpevolmente i fatti propri, deve anche parlare con parole e agire con opere credibili.
Il sindaco è un pluri-indagato per reati gravi ed è in attesa di processo per essere stato già due volte rinviato a giudizio. Noi speriamo per lui (non augurandoci per scelta etica mai il male di alcuno) che ne uscirà assolto; pur tuttavia, nell’attesa di processi, che in genere durano anni, abbiamo chiesto, da un anno e più, le dimissioni di Pepe perché la carica che ricopre non può e non deve avere ombre. E ribadiamo l’invito a lasciare la carica, oggi ancor più, dopo l’emersione di questo quadro sconfortante per la città, in un’inchiesta che personalmente non lo riguarda.
Quanto credibile può essere l’Ente Comune che si felicita coi carabinieri, che si battono per la legalità e svolgono incessanti indagini – se il suo primo inquilino che quelle felicitazioni fa è anche un inquisito, un indagato in tanti procedimenti? Quanto può esserlo per i cittadini che dovrebbero aver il coraggio di reagire all’illegalità e di ribellarsi se vessati?
Eravamo in tanti giornalisti a sentire Carideo e Fragassi in quella conferenza stampa del 19 marzo al Comando Provinciale dell’Arma e abbiamo riportato il loro accorato appello ai beneventani a non aver più paura. Abbiamo con articoli e servizi informato e dato atto del duro, faticoso, rischioso e pluriennale lavoro dei carabinieri.
Anche perché le persone che quelle parole dicevano sono entrambe al di sopra di ogni sospetto: ma se, invece, per mera ipotesi, i due ufficiali fossero stati a loro volta degli indagati, le loro parole inevitabilmente avrebbero avuto un suono diverso. Non solo per i giornalisti chiamati a riportarle, ma innanzitutto per i beneventani cui erano destinate!
Cittadini attivi e non spettatori nella battaglia tra guardie e ladriNoi cittadini tutti del Sannio dobbiamo fare di più per combattere l’illegalità e il crimine che ha pervaso questa città e questa terra. Più in generale, nella battaglia contro le illegalità non possono ancora essere lasciate da sole la DDA, la locale Procura della Repubblica e le varie forze dell’ordine: molto di più devono fare i rappresentanti istituzionali, i silenti partiti, sindacati, organizzazioni di categoria, associazioni, scuole, parrocchie e chiesa, e pure noi giornalisti. Se Benevento è diventata terra di clan camorristici nessuno dei suoi abitanti può sentirsi senza responsabilità.
Lo dico dunque anche a me e ai giornalisti che con me operano, che pure non abbiamo fatto mancare, in tanti anni, le denunce contro le malversazioni, gli abusi e le sconcezze del potere e che sul malaffare e la criminalità abbiamo costantemente fatto informazione.
Servono, insomma, generalizzati comportamenti corretti, un po’ di coraggio e tanto buon esempio. Quella in atto, non è una battaglia tra guardie e ladri cui assistere. Benevento non era terra di camorra, c’è diventata, ma può e deve cominciare a smettere di esserlo.
Non ci si salva singolarmente, come persone o come famiglia. Continuare a farsi ognuno i fatti propri, non immischiarsi, calare il capo di fronte al prepotente o limitarsi a bofonchiare in privato (o più modernamente su facebook), ignorare i propri diritti e lo spirito civico coi doveri che esso comporta rende solo più poveri e sempre più indifesi. Insomma, volando basso, l’affermazione della legalità su un territorio conviene, oltre a fare il popolo che lo abita civile e degno, anche di una bimillenaria storia, come quella di Benevento, che non può finire racchiusa in un numero: 416bis.
Carlo Panella

Retata contro il clan Sparandeo all’alba: ventisei arresti tra Benevento e Napoli

Di seguito, i nomi degli arrestati: Corrado Sparandeo, 57 anni; Saverio Sparandeo, 52 anni; Corrado Sparandeo, 28 anni; Stanislao Sparandeo, 35 anni; Arturo Sparandeo, 61 anni; Silvio Sparandeo, 49 anni; Luigi Sparandeo, 48 anni; Arturo Sparandeo, 31 anni; Salvatore Baccicalupi, 40 anni; Giancarlo Baiano, 28 anni, di Marano di Napoli; Quirino Bosco, di Benevento, 47 anni, residente a San Nicola Manfredi; Umberto Chiumiento, 38 anni, di Benevento; Giuseppe Marino, 65 anni, di Giugliano in Campania; Vincenzo Marino, 43 anni, di Giugliano in Campania, figlio di Giuseppe; Mario Milo, 33 anni, di Napoli; Francesco Norice, 24 anni, di Benevento; Mario Russo, di Benevento, 28 anni; Mario Sanges, di Napoli, 52 anni; Salvatore Sirico, 36 anni, di Napoli; Marzio Veneruso, 51 anni, di Napoli; Angelo Viola, di Benevento, 48 anni; Mirco Botticelli, 21 anni, di Benevento; Luigi Imperatrice, di Napoli, 37 anni; Salvatore Iovine, 49 anni, di San Cipriano d’Aversa, residente a Roma e affiliato al clan dei casalesi; Luigi Romano, di Benevento, 55 anni; Carmine Russo, 35 anni, nato a San Giorgio a Cremano nel 1979 e residente a Barra.
I dettagli dell’operazione, denominata “Tabula Rasa”, sono stati illustrati dai carabinieri, stamattina, nel corso di una conferenza stampa. “Le indagini – ha detto Antonio Carideo, comandante provinciale – sono durate due anni e mezzo. Si tratta di un’operazione storica, con 42 indagati e 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere. Il clan Saprandeo può ora definirsi organizzazione camorristica ai sensi dell’art. 416 bis con l’aggravante dell’articolo 7, cioè l’utilizzo del metodo mafioso. E’ la prima volta nel Sannio. E’ il frutto di un’attività investigativa organica, concentrica e complessa. Al vertice del clan c’erano cinque fratelli e tre figli, più vari affiliati beneventani e napoletani. Il clan aveva la completa gestione della criminalità a Benevento: usura, estorsioni, droga, rapine e danneggiamenti. Molti i pregiudicati, con gravi reati e anni di carcere alle spalle. E anche molto astuti: usavano schede telefoniche intestate a persone inesistenti o morte. Tutti i cantieri aperti a Benevento dovevano pagare il pizzo e le rapine venivano commesse con obiettivi diversificati, per disorientare gli investigatori. L’operazione si chiama Tabula Rasa perché ha azzerato il clan, molto violento. Bastava che dicessero Sparandeo per terrorizzare le vittime. Ora Benevento può voltare pagina. Il Sannio è una terra dove le forze dell’ordine e la magistratura funzionano. I bvenevantani non abbiano più paura degli Sparandeo: non l’hanno fatta franca e non la faranno perché le indagini continuano”.
“Quest’indagine è una pietra miliare – ha aggiunto Sigismondo Fragassi, comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale -. Non abbiamo avuto alcun aiuto dalla popolazione: né dalle vittime, né da collaboratori di giustizia. L’operazione è il frutto della sola attività investigativa. Intercettazioni, appostamenti e pedinamenti, frutto di tanta fatica per lunghi due anni e mezzo, per monitorare prima e seguire poi tutte le attività del clan. Non agiva da solo, avendo contatti con i clan caudini Pagnozzi e Iadanza – Panella. Ma anche addentellati con napoletani e pure con Salvatore Iovine, imparentato con Sandokan del can dei Casalesi. Questo monitoraggio delle attività criminali ha consentito ai carabinieri di sventare, il 2 luglio scorso, la rapina al supermarket Barletta in Via Santa Colomba, per il quale gli Sparandeo avevano fatto venire criminali esperti anche di congegni comandati a distanza, nonché a un portavalori, con l’intervento del Gis (Gruppo Investigativo Speciale) dei carabinieri per prevenire spargimento di sangue. Ora ci aspettiamo che imprenditori e commercianti beneventani comincino a collaborare. Dalle registrazioni sentivamo gli Sparandeo che dicevano che tutti i cantieri dovevano pagare. Ci recavamo sul posto, però, e tutti gli imprenditori dicevano di non aver ricevuto richieste estorsive. I sanniti non abbiano più paura”.
Nelle prime ore della mattinata odierna è stata data esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa – su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli – dal GIP del Tribunale di Napoli, nei confronti di 26 persone, ritenute affiliate al sodalizio “Sparandeo” (operante nel comune di Benevento e comuni limitrofi) e indagate, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione, usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, rapina, danneggiamento seguito da incendio.
Per il procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Napoli Francesco Greco, “l’attività investigativa – coordinata dalla Direzione Distrettuale di Napoli e condotta dal Comando Provinciale dei Carabinieri del Reparto Operativo di Benevento, sviluppatasi attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, riprese video, servizi di osservazione e pedinamenti, nonché riscontri di natura documentale e approfonditi accertamenti patrimoniali – ha consentito di raccogliere concreti elementi circa la sussistenza di un sodalizio di natura camorristica che, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, appare finalizzato a commettere delitti contro la persona e contro il patrimonio (in particolare estorsioni contro imprenditori e commercianti, nonché usura), di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish e cocaina.
La violenza è una costante di tale organizzazione criminale: strutturata in maniera verticistica essa ha come capi indiscussi i fratelli Sparandeo, che si servono per il perseguimento degli scopi illeciti dell’organizzazione di numerose persone, molti delle quali legati agli Sparandeo da vincoli familiari.
Tra la popolazione, infatti, il clan Sparandeo è temuto proprio per i tipici atteggiamenti camorristici posti in essere dai suoi componenti, che hanno instaurato un clima di omertà, evidente nel corso dell’escussione delle parti offese o dei testimoni, che non hanno avuto il coraggio, per timore di eventuali ritorsioni, di denunciare gli autori delle richieste estorsive.
L’attività di indagine ha consentito, inoltre, di operare sequestri di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti (complessivamente 27 chili di hashish e 23,5 grammi di cocaina) con arresti in flagranza dei responsabili: tutte operazioni rese possibili proprio dall’ascolto delle conversazioni telefoniche e ambientali, nonché dalle attività di riscontro poste in essere dalla Polizia Giudiziaria.
Sono stati anche accertati i contatti e i rapporti tra il clan ‘Sparandeo’ e altri sodalizi criminali operanti sul territorio della provincia di Benevento (clan ‘Pagnozzi’ e clan ‘Iadanza-Panella’), soprattutto in relazione all’attività di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
In tale ambito investigativo è emerso altresì che alcuni componenti del clan, in particolare Saverio Sparandeo e il figlio Corrado (classe 1986), allacciavano rapporti con una serie di pregiudicati di Napoli e provincia dediti a reati contro il patrimonio, dando vita a una vera e propria associazione criminosa finalizzata alla realizzazione di rapine a furgoni portavalori, istituti di credito, uffici postali, nonché rapine in danno di attività commerciali”.

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