sabato 13 luglio 2013

Il Cavallo di Troia dei media e della cultura

La parola gentrificazione è quasi sconosciuta, ma racconta il conflitto di classe di quest'epoca. E la battaglia impari tra una multinazionale e i cittadini. 
di Antonio Cipriani
La cultura come Cavallo di Troia. Questo il punto di partenza di questo pezzo che intende raccontare, o cominciare a raccontare, un fenomeno, quello della gentrificazione nel quartiere Isola a Milano. Un qualcosa che un tempo sarebbe passato come le mani sulla città e che oggi è scintillante modernità, di acciaio, cemento e specchi, con simpatie radical chic. La storia della battaglia dei cittadini e degli artisti la racconta Fight Specific Isola, un libro collettivo di Isola Art Center che testimonia la resistenza civile del quartiere. I tentativi di difendere i beni comuni dall'assalto del profitto privato di una multinazionale americana, la Hines, e della politica rappresentata dalle giunte di destra milanesi. E da altri aspetti spiacevoli della storia. 
Legati a un sottobosco ammaliatore, di grandi firme e celebrati artisti, di archistar e altre piacevolezze da salotti buoni, per garantire che l'operazione fluisse comoda. Che la gentrificazione non avesse ostacoli. Di questo parliamo.
Gentrificazione. Prendo la definizione da Camilla Pin: processo di investimento e acquisizione a scopo speculativo, da parte di soggetti pubblici e privati, di aree immediatamente circostanti a zone altamente redditizie, con lo scopo di smantellare l'esistente per ricostruire, seguendo standard edilizi che alterano inevitabilmente il contesto urbano. La trasformazione di un quartiere non solo a livello sociale, ma identitario e culturale.
L'Isola. Esattamente quello che è successo all'Isola di Milano. Dove c'era la Stecca degli artigiani, dove c'erano i giardini pubblici, dove c'era il bosco, hanno tirato su dei mostri che incombono sulla città. Una trasformazione che non ha precedenti, con inserimento di abitazioni per ricchi, con bosco verticale e altri accessori di lusso. Grazie a un accordo che ha permesso la perdita di beni comuni a favore di profitti privati. Con parole flautate, con promesse e zuccherini, ma il senso è in questa frase di Bert Theis: la gentrificazione è un conflitto di classe in cui i ricchi si prendono i luoghi dei poveri. Puro e semplice.
Immaginario colonizzato. Siccome l'epoca è questa, per i cittadini bombardati dai media, da potenti e ricche campagne di marketing, è difficile discernere il vero dal falso. E mai come in questi decenni, dalle guerre a tutto il resto, per far passare le peggiori scelleratezze sono state usate parole-chiave affabili e devianti. Capaci di anestetizzare coscienze e creare un consenso superficiale di marketing. 
O per lo meno un abbassamento del livello di coscienza civile. 
Pensate solo al concetto di guerra umanitaria o alla trovata degli interventi chirurgici per definire le tecnologie di bombardamento. Nel caso specifico dell'Isola, la filosofa e saggista Tiziana Villani parla di colonizzazione dell'immaginario come tecnologia del consenso. Per espropriare conoscenze, svuotare luoghi pubblici, di incontro, quindi di politica partecipata; a favore di luoghi freddi, senza alcun vincolo col il quartiere. Così ruspe e distruzione sono diventati elementi dell'Isola dinamica, di quartiere in trasformazione, della faccia moderna di una città che viaggia verso la realtà aumentata dell'Expo 2015. Attraverso il belletto sociale a coprire l'ingiustizia. Là dove c'era un prato per tutti i bambini del quartiere, dove c'erano gli alberi e dove sorgeva la naturale piazza verde dell'Isola, ora ci sono i simboli del bosco verticale, inno a un'architettura ideologica e mimetica. Capace di offrire allo sprovveduto una visione ecologica a mascherare le reali intenzioni: i beni comuni dati in pasto ai privati e ai loro profitti in cambio di briciole e disagi per i cittadini.
La questione è semplice. C'era un bosco vero, c'erano giardini veri, c'era un luogo di socialità e di incontro di tutti i cittadini. Ed erano beni comuni. Per favorire il profitto di pochi la politica ha inventato una necessità urbanistica, la multinazionale Hines ha fatto il lavoro che fa strategicamente e concretamente in tutto il mondo, i media si sono allineati per motivi ovvi. Gli intellettuali pure. Come dire: negli ultimi decenni nella scelta tra una parte ricca e potente e una parte meno danarosa e senza potere, pochi sono stati i dubbi da parte dell'intreccio di potere mediatico-politico con vista privilegiata sulla cultura. Non tutti, ma molti, gli inseriti nei salotti buoni, i capaci di mostrare una faccia democratica e vicina ai diritti delle persone e nel contempo operando per la gentrificazione come scelta ideologica. Più percorro questa storia, emblematica per il Paese senza più cultura, più continuo ad avere stima per artisti e intellettuali che si battono con i cittadini, per evitare che sia tolto loro tutto, a cominciare dal diritto a partecipare alla politica e alle scelte, per giungere alla scuola e alla sanità. Nel silenzio dei media che raramente concedono una lucina, se questa lucina mette in evidenza la contraddizione di questa imprecisa democrazia, innervata da un sistema oligarchico dell'informazione, degli affari e della politica.
Disparità di possibilità. Che poi il problema è legato al potere del denaro, capace di smuovere montagne e di rendere bello e necessario anche il disastro e la cementificazione. E degli strumenti mediatici militarizzati. Per esempio ieri è andata in onda una trasmissione televisiva, pagata con i soldi della collettività: Virus. A condurla Nicola Porro, vicedirettore del Giornale. Nel salottino dei pochi Oscar Giannino e Luca Telese, poi due esponenti poltiche telegeniche, Alessandra Moretti e Maria Stella Gelmini (una compagnia di giro, si dirà...). E con loro Manfredi Catella, l'uomo della multinazionale americana Hines, la punta di diamante di un progetto ideologico di gentrificazione a Milano. Un esempio per tutti: stravolgere le città per favorire i ricchi ed allontanare dai quartieri centrali artigiani, studenti, stranieri. Il conflitto di classe dell'epoca: da una parte gli ultra-danarosi che hanno in mano tutto, media e intellettuali compresi, dall'altra i cittadini che lottano (e troppi telespettatori del circo mediatico). Catella ha potuto spiegare senza contraddittorio, senza una sola domanda posta dai giornalisti, la sua versione dei fatti sulla tv pubblica, sulla Rai che pagano i cittadini. Un monologo in cui ha potuto definire Nimby i cittadini che si sono opposti (che retrogradi 'sti poveracci) alla distruzione del quartiere.
Per concludere con la cultura e Hines. "E' possibile innescare una forma di contagio del bene?" Parte così la premessa di una collana editoriale che vuole pubblicare strumenti "...a sostegno di tutti coloro che nel nostro Paese continuano, ostinatamente, a impegnarsi e a partecipare per dare concretezza all'aspirazione di un mondo più giusto per tutti". Una collaborazione tra Vita, magazine no profit e Feltrinelli editore. Interessante. Poi uno guarda da dove viene il contagio e chi propongono per rendere il mondo più giusto per tutti. Titolo: Milano si alza. Porta nuova, un progetto per l'Italia. Autore proprio l'attivissimo Manfredi Catella (con Luca Doninelli), prefazione del sociologo della Cattolica Mario Magatti, fotografie di Gabriele Basilico. Poche pagine in cui Catella, amministratore delegato di Hines Italia, spiega il valore del suo progetto immobiliare. Supportato da Luca Doninelli, scrittore che immaginiamo abbia raccolto la testimonianza in prima persona dell'uomo della multinazionale. Introdotto con enfasi dal sociologo e con le illustrazioni di un grande fotografo scomparso da poco, Basilico. La risposta dei padroni - con i caratteri sorridenti di Feltrinelli e di Vita e con tanto di aura culturale - alla battaglia dei cittadini del quartiere. Due libri per narrare una storia sola, quella della gentrificazione dell'isola. Nella prossima puntata affronteremo i contenuti di Milano si alza, per vedere questo contagio del bene che a colpi di affari , cemento e specchi, dà concretezza (parola magica) "all'aspirazione di un mondo più giusto per tutti". Ben sapendo che la campagna mediatica (anche a spese della collettività) è partita a reti unificate. Guerra preventiva, vien da pensare: contro i cittadini che non si arrendono, contro possibili Gezi Park italiani, contro libri documentati che non avranno salotti buoni mediatici dove essere presentati. Vedremo i prossimi passaggi.

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