giovedì 16 maggio 2013

Si può fare : lavoratori-proprietari in MESSICO, oltre lo schiavismo del lavoro dipendente

Non c'è peggiore sventura di quella di lavorare sotto padrone.
Eppure, in Italia chi pensa al lavoro non sa immaginarsi altro che il lavoro dipendente o subordinato, non va oltre questa forma di schiavismo strettamente connessa con la difesa del capitalismo.
In realtà, altro, molto altro sarebbe possibile.
Un esempio di riappropriazione comunitaria della vita economica di una comunità dall'America Latina.
Rosanna Carpentieri

In Messico una cooperativa operaia di dimensioni gigantesche, Tradoc (1.050 co-proprietari), produce pneumatici dal 2005, grazie a una decisa campagna di 1.141 giorni, cominciata dopo che la vecchia proprietà (la multinazionale Continental) aveva deciso di chiudere. Oggi ipaga i migliori salari di qualsiasi fabbrica messicana di pneumatici, non ha capisquadra, ha ridotto la quantità complessiva delle ore di lavoro e non ha nemmeno un reparto pulizie; i lavoratori puliscono le proprie aree. La Tradoc promuove un’assemblea generale due volte l’anno: l’assemblea ha diritto di veto su decisioni importanti, come la dismissione d’impianti, gli investimenti e l’acquisto di macchinari. Quelli della Tradoc sono ora in contatto con i lavoratori degli pneumatici Goodyear in Francia che vogliono rilevare il loro impi anto in forma di cooperativa. In Messico sono ansiosi di condividere le loro idee. L’eredità più importante di questa lotta? Per gli operai di Tradoc è aver dimostrato come i lavoratori possano battere una multinazionale.

di Jane Slaughter
“Se i padroni non la vogliono, gestiamola noi”. Quando una fabbrica chiude a volte nasce, e solitamente muore, l’idea di trasformarla in una cooperativa di proprietà dei dipendenti.
Gli ostacoli all’acquisto di un impianto, anche di un impianto in fallimento, sono enormi e, una volta in affari, i nuovi lavoratori-proprietari devono affrontare tutte le pressioni che, tanto per cominciare, hanno contribuito a far finire la società in bancarotta. La maggior parte delle cooperative di proprietà dei lavoratori sono piccole, come un collettivo di tassisti a Madison o un panificio a San Francisco.
Ma in Messico una cooperativa operaia di dimensioni gigantes che produce pneumatici dal 2005. La fabbrica compete sul mercato mondiale, impiega 1.050 co-proprietari e paga i migliori salari e pensioni di qualsiasi fabbrica messicana di pneumatici. Consapevoli che questa insolita vittoria è virtualmente ignota negli Stati uniti, amici di Guadalajara mi hanno sollecitato a scendere a vedere come funziona la cooperativa Tradoc. Il suo presidente – che era un presidente del sindacato quando la fabbrica era di proprietà della Continental Tire – ha parlato in un seminario alla conferenza di Labor Notes del 2010. Jesus «Chuy» Torres è uno dei sindacalisti più notevole che io abbia mai conosciuto, anche se non è più ufficialmente un sindacalista. Tuttavia «la nostra classe è la classe lav oratrice», mi ha detto.
Lungi dall’indulgere nella mentalità dell’«abbiamo avuto il nostro», i lavoratori della Tradoc sono decisi a mantenere la solidarietà con i lavoratori ancora soggetti alla sventura di un padrone. E’ difficile stabilire cosa sia più rimarchevole: come i dipendenti della Continental abbiano trasformato una fabbrica che stava chiudendo in una di proprietà dei lavoratori mediante una decisa campagna di 1.141 giorni o come siano riusciti a sopravvivere e a prosperare da allora.
In ogni caso vittorie simili vanno celebrate. Racconterò la storia in due parti.
 
PRIMA PARTE
Apertura dei cancelli chiusi della fabbrica
Impossessarsi della loro fabbrica non fu un’idea dei lavoratori. La Continental Tire propose di venderla loro dopo che il sindacato aveva messo così strettamente all’angolo la direzione che i proprietari non volevano aver più nulla a che fare con essa. Ma per arrivare a quel punto i lavoratori avevano dovuto attuare uno sciopero di tre anni e quella che negli Usa chiamiamo una “campagna globale”. I lavoratori dicono che non fu una sola tattica a far vincere la partita, bensì una combinazione di pressioni incessanti.
La Continental Tire, con sede in Germania, è, per dimensioni, il quarto maggior produttore di pneumatici del mondo. Acquistò una fabbrica a El Salto, fuori Guadalajara nel Messico occidentale, nel 1998 con l’idea di produrre per il solo mercato statunitense. Quando era stata creata inizialmente dalla società messicana Euzkadi nel 1970 era l’impianto di produzione di pneumatici più avanzato dell’America Latina. Era ancora il più moderno del Messico agli inizi del 2000.
Ma gli impianti messicani di produzione di pneumatici morivano come mosche all’epoca: Goodyear, Uniroyal. Il Nafta aveva fatto triplicare le importazioni dall’estero tra il 1996 e il 2000. Alla Firestone il sindacato dominato dalla società aveva accettato una riduzione della paga del 25%, la pluralità contemporanea di mansioni e una settimana lavorativa di sette giorni per cercare di evitare la chiusura.
La maggior parte dei sindacati in Messico è costituita da sindacati soltanto di nome, uffici del lavoro affiliati al governo le cui funzioni consistono nell’incassare le quote e controllare i lavoratori.  Ma l’impianto della Continental aveva una storia diversa. I lavoratori avevano un sindacato “rosso” indipendente dal 1935, il Snrte (Sindacato Nazionale Rivoluzionario dei Lavoratori dell’Euzkadi). Una storia del sindacato narra con orgoglio l’episodio in cui Fidel Velasquez, dirigente di vertice del corrotto sindacato governativo Ctm, si era presentato alla sua assemblea nel 1959 e aveva chiesto che il negoziato per il contratto fosse affidato a lui. Velasquez fu cacciato dalla riunione “perché indegno di essere presente a un’assemblea dei lavoratori”.
I lavoratori elessero Chuy Torres e la Lista Rossa, che promuoveva una piattaforma di resistenza alle pretese della Continental, nel 2001. La direzione aveva cominciato a tagliare aggressivamente i costi quando aveva acquistato la società, chiudendo una fabbrica consorella in un altro stato. Aveva portato un direttore con esperienza nel contrasto ai sindacati, José Neto Carvalho, che aveva ottenuto enormi concessioni in Portogallo. Ora, Carvalho inviò una lettera a casa a tutti i lavoratori, pretendendo una produzione su sette giorni e una giornata lavorativa di dodici ore, ritmi accelerati, tagli ai posti, niente più valore dell’anzianità per gli avanzamenti e fine dei furgoni pagati dalla società che trasportavano i lavoratori in fabbrica. Salvador (Chava) Hernandez, ora in pensione, ha ricordato: “Noi vedevamo una cosa e la società diceva il contrario. Producevamo 14.000 pneumatici al giorno. La società diceva che non si vendevano, che stava andando in bancarotta. I capi ci hanno minacciato per mesi.”
Ma gli iscritti si rifiutarono di modificare il loro contratto. Non credevano alle affermazioni della direzione che l’impianto era improduttivo ed erano ben consapevoli della differenza tra i loro salari e quelli dei lavoratori della Continental in Germania e negli Stati Uniti: un operaio della Continental messicana prendeva circa 25 dollari al giorno.
Il trauma della chiusura
La sera del 16 dicembre 2001, gli operai del locale caldaie arrivarono in fabbrica e trovarono un avviso sul cancello principale: Chiuso. Chiamarono immediatamente il sindacato. Furono organizzati turni di guardia per impedire che la direzione trasferisse i macchinari. Due giorni dopo fu convocata un’assemblea cui furono presenti quasi tutti i 940 lavoratori.
La direzione sollecitò i lavoratori a incassare la liquidazione loro dovuta legalmente e ad andare a casa. In realtà gli amministratori avevano reclutato un gruppo di lavoratori per cercare di convincere gli altri; avevano promesso un premio di 10.000 pesos (1.100 dollari) per ogni lavoratore che avessero convinto. A tale gruppo fu promesso che sarebbero stati riassunti per primi quanto l’impianto fosse stato riaperto. Quando questo piano divenne noto, fu confermato il sospetto dei dirigenti sindacali che il vero piano della Continental fosse di farla finita con il sindacato, non con la fabbrica. Era il solo sindacato indipendente dell’industria. I lavoratori votarono a favore della lotta contro la chiusura, che consideravano illegale perché la direzione aveva agito all’improvviso, senza seguire le procedure legali di preavviso e senza dimostrare che la fabbrica non era redditizia. Torres in seguito disse che non vide davvero alcun modo per poter far cambiare idea ai dirigenti della Continental, ma che era deciso a “far loro sperimentare una lotta che non avrebbero mai immaginato”.
Il sindacato iniziò ufficialmente lo sciopero – contro una fabbrica chiusa – un mese dopo. Quattromila lavoratori, famiglie e sostenitori percorsero i quasi dieci chilometri dal municipio di El Salto per andare ad appendere striscioni rossi e neri alle porte della fabbrica. Secondo la legge messicana tali striscioni sono il simbolo di uno sciopero e non è consentito portar fuori nulla da una fabbrica durante uno sciopero. (Questa è una delle molte aree in cui la legge messicana sul lavoro è superiore a quella degli Stati uniti).
Un giorno prima la Continental aveva portato un centinaio di rimorchi nella proprietà, con l’intenzione di trasferire i 70.000 pneumatici all’interno. Aveva appostato guardie armate sul tetto che filmavano. Nel giro di mezz’ora duecento lavoratori e membri delle loro famiglie erano arrivati nella fabbrica per bloccare il passaggio. Lo slogan che dipinsero su uno striscione all’esterno diceva “Non se ne va nemmeno una sola vite”. La richiesta dei lavoratori era semplice: che la Continental onorasse il suo contratto e mantenesse in funzione l’impianto.
Verso la capitale
Una settimana dopo i lavoratori iniziarono una marcia verso la capitale nazionale, Città del Messico, seguendo un percorso semicircolare che li condusse per quasi 800 chilometri (usarono furgoni e corriere per la maggior parte del tragitto) attraverso sette stati a località dove altri lavoratori erano in lotta. Tennero grandi raduni pubblici con lavoratori di GM, Nissan, General Tire e Volkswagen, ma il più emozionante ebbe luogo con i campesinos di San Salvador Atenco, che si stavano battendo (con successo) contro il tentativo del governo di costruire un aeroporto nella loro terra ancestrale. Il leader campesino regalò a Torres un machete come simbolo di amicizia.
Lungo il cammino il sindacato si assicurò un incontro con il presidente Vicente Fox, un uomo d’affari la cui elezione nel 2000 aveva incoraggiato le imprese a operare un giro di vite sui propri dipendenti. I lavoratori chiesero che il governo nazionalizzasse la fabbrica di pneumatici, come aveva fatto di recente con uno zuccherificio. Fox si offrì di aiutare i lavoratori a ottenere una buona soluzione finanziaria dalla chiusura, ma Torres replicò che quello che volevano erano il loro lavoro. Quando i lavoratori arrivarono a Città del Messico avevano dietro di sé 10.000 sostenitori nella storica Zòcalo, la piazza principale.
Solidarietà internazionale
Contemporaneamente i dirigenti sindacali cercarono aiuto all’estero. La sezione della Continental dei Siderurgici di Charlotte, Carolina del Nord, non offrì aiuto; la direzione aveva minacciato i dirigenti locali che se lo avessero fatto, la loro fabbrica sarebbe stata chiusa. Fu chiusa comunque.
Torres ha detto che il solo aiuto che il Snrte ottenne dal sindacato statunitense fu uno slogan: che il sindacato sarebbe durato “un giorno di più” della Continental. Negli Stati Uniti questo slogan è stato per lo più un sostituto della strategia, ma in Messico trovò eco tra i lavoratori che venivano alla società da così tante origini. Lo stesso accadde con il sindacato tedesco dei lavoratori della chimica che rappresentava i lavoratori della Continental. Il capo del comitato di fabbrica della Continental dichiarò apertamente che l’espressione “solidarietà internazionale” non significava nulla per lui.
Ma il Snrte aveva altri collegamenti. Torres apparteneva a un gruppo socialista con legami in Europa. Tali collegamenti aiutarono il Snrte a incontrare dirigenti sindacali in fabbriche di pneumatici in altre società in Spagna. Il Parlamento europeo approvò una risoluzione che deprecava le violazioni dei diritti umani in Messico da parte delle multinazionali europee, citando la Continental. La piccola delegazione del sindacato si assicurò un incontro di cinque minuti con il direttore generale della Continental, Manfred Wennemer, nel corso del quale Wennemer incolpò Torres della chiusura della fabbrica.
L’iniziativa più emozionante fu la visita dei lavoratori all’assemblea degli azionisti della Continental. Grazie ai loro collegamenti a sinistra incontrarono un gruppo chiamato “Azionisti critici” che promuoveva la contestazione delle violazioni dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente di varie società. Quel gruppo consegnò alla delegazione messicana i propri biglietti d’ingresso all’assemblea. “Mi tremavano le gambe quando mi è toccato parlare di fronte a più di mille azionisti”, dice Torres. Ma poi Wennemer affermò che avrebbe detto ai suoi subordinati in Messico di negoziare con il sindacato. “Deve avvenire in Messico, tuttavia”, disse Wennemer, secondo Torres”. Non c’è motivo per cui voi gente veniate qui.”
Quei negoziati furono tuttavia infruttuosi e l’anno successivo i messicani furono di nuovo in Germania. Questa volta Wennemer si sentì obbligato a giustificare agli azionisti la chiusura di El Salto definendo improduttivi i lavoratori, con un 25% di assenteismo. Torres controbatté con cifre che dimostravano che l’impianto era la fabbrica più produttiva del paese. Il ministro tedesco dell’economia convocò una riunione tra le due parti, compreso l’ambasciatore messicano. Un eminente avvocato messicano spiegò perché la chiusura non era stata conforme alla legge. L’incontro accrebbe il profilo internazionale del conflitto e dimostrò che le autorità messicane non stavano trovando una soluzione.
Nel terzo viaggio in Europa dei lavoratori, nel 2004, un parlamentare e uno specialista universitario di diritto del lavoro messicani li accompagnarono. Il parlamentare chiese agli azionisti una soluzione negoziata e che la Continental rispettasse la legge messicana sul lavoro. La sua presenza dimostrò agli azionisti che i circoli politici messicani stavano prestando attenzione. Accadde poi che il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e Fox si incontrassero presto in una riunione del vertice biennale Europa-America Latina, a Guadalajara, nel cortile di casa dei lavoratori.
I messicani e i loro alleati presso i gruppi europei per i diritti umani (ancora nessun sostegno dai sindacati) stavano anche protestando per la sponsorizzazione dell’imminente Coppa del Mondo da parte della Continental. Nel centro di Hannover, sede del quartier generale della Continental, la società aveva costruito un grande monumento con il simbolo della Coppa del Mondo. La campagna chiedeva un “gioco corretto” a El Salto, promettendo di protestare nella stessa Coppa del Mondo se il conflitto non fosse risolto. Alcuni membri della delegazione 2004 del Snrte distribuirono volantini mentre altri calciavano un pallone attorno al monumento.
La democrazia si allarga
Contemporaneamente erano irrequieti anche i lavoratori dell’altra fabbrica messicana della Continental. Tale impianto chiamato General Tire si trovava a San Luis Potosi, a 200 miglia da El Salto. C’era un sindacato aziendale che era ben felice di collaborare con il piano della direzione di liberarsi del contratto sindacale. In una riunione drammatica dell’aprile 2003 gli iscritti votarono la cacciata dei propri dirigenti ed elessero un leader che era stato licenziato per essersi opposto all’accordo segreto.
A luglio, mentre Wennemer era in visita in Messico, i lavoratori di San Luis Potosi entrarono in sciopero. Wennemer se la prese con il governo locale perché non aveva usato la polizia contro di loro. Ma licenziò il suo direttore generale in Messico. E nel gennaio del 2004, a due anni dall’inizio dello sciopero di El Salto, il governo dichiarò finalmente legale lo sciopero, rendendo la Continental responsabile di due anni di paghe arretrate (un altro aspetto della legge messicana), un importo che sarebbe solo aumentato quanto più lo sciopero fosse durato. “Avevamo stimato che l’impianto valesse 80 milioni di dollari”, dice Torres. “E gli arretrati ammontavano a 40 milioni di dollari”. A ciò andava aggiunta la liquidazione dovuta, che 587 lavoratori si erano ancora rifiutati di accettare. L a marea stava volgendo a favore dei lavoratori.
Famiglie
I lavoratori che restarono saldi nello sciopero sopportarono molte difficoltà. Alcuni si recarono a lavorare negli Stati uniti. Altre famiglie si affidarono alle basse paghe delle mogli. I proprietari locali di fabbriche tennero una lista nera: anche i membri delle famiglie in sciopero non potevano ottenere lavoro. Un gruppo di mogli fu fondamentale nella lotta e dedicò molto tempo a individuare diversi enti e organizzazioni che donavano cibo.
Conchita Velez de Hernandez fu la guida del gruppo di donne. La sua famiglia era la spina dorsale di quelli a guardia del cancello della fabbrica. Quando la polizia minacciava i loro mariti, dice, le mogli andavano a protestare dall’assessore alla pubblica sicurezza. E invadevano le riunioni dei proprietari di fabbrica per chiedere la fine della lista nera.
Uno dei momenti drammatici dello sciopero ebbe luogo nell’aprile del 2002, durante la Settimana Santa, quando la direzione fece uno dei due tentativi di provocare violenze portando fuori dall’impianto macchine e pneumatici. I campesinos di Atenco, impegnati a proteggere i loro stessi confini, consigliarono i sacchetti di sabbia. I campesinos si recarono a El Salto ad aiutare i lavoratori, le famiglie e i sostenitori a riempire di terra i sacchi e ad ammucchiarli di fronte all’impianto. Per tutta la durata del conflitto, non fu portata via nemmeno una singola vite.
Vittoria
La Germania è il secondo maggior investitore in Messico, dopo gli Stati uniti. Torres ritiene che, anche se il governo messicano non è mai stato un alleato della sua lotta, politici di alto livello di entrambi i paesi fossero arrivati a ritenere meglio farla finita con essa. Nell’agosto del 2004, meno di tre mesi dopo che il presidente Fox e il cancelliere Schroeder si erano incontrati a Guadalajara, Wennemer fece un’offerta seria. La società avrebbe venduto ai lavoratori una partecipazione al 50% nell’impianto in cambio della paga arretrata che essa doveva loro.
I lavoratori avrebbero continuato a ricevere la liquidazione, che era in totale di 230 milioni di pesos per 587 lavoratori, circa 34.000 dollari a testa. L’impianto sarebbe stato riaperto in collaborazione con una società messicana distributrice di pneumatici che avrebbe acquistato l’altra metà dalla Continental. Tutti i lavoratori che avevano resistito avrebbero riavuto il loro posto.
Torres sembra stupito come chiunque altro dalla loro vittoria. “L’eredità più importante di questa lotta è di aver dimostrato ai lavoratori come un piccolo sindacato possa battere una multinazionale della potenza della Continental”, ha detto.  Il 18 febbraio 2005 l’impianto, a quel punto ribattezzato Corporaciòn de Occidente, o Western Corp., fu consegnato formalmente ai suoi nuovi proprietari.
“Scommettevano che avremmo fatto fallimento”, ha detto Torres. Ma i lavoratori non fallirono.
 
SECONDA PARTE
Si può fare: lavoratori-proprietari in Messico
Uno pneumatico non è semplicemente un pezzo di gomma con un buco in mezzo. L’ho imparato quando ho visitato la cooperativa operaia che produce gli pneumatici Cooper a El Salto, Messico. Uno pneumatico è un prodotto sofisticato che si realizza attraverso una catena di processi chimici, parecchi interventi di macchine e ancora con l’intervento di mani umane. Un appassionato addetto ai controlli segnala che ogni singolo pneumatico viene verificato in condizioni che simulano quelle stradali: “Diversamente, potrebbe uccidere delle persone”, osserva. E aggiunge, con senso pratico: “Garantire la sicurezza degli pneumatici salva il nostro lavoro”.
Questi operai sono rimasti senza lavoro per tre anni nel corso dello sciopero che alla fine li ha portati a fondare la propria cooperativa. Fabbricano pneumatici come lavoratori-proprietari dal 2005, vendendoli negli Stati uniti e in Messico e ora retribuendosi con i salari più alti dell’industria degli pneumatici.
Come funziona una cooperativa operaia con 1.050 membri? E’ abbastanza difficile che la proprietà dei lavoratori abbia successo in qualsiasi dimensione, perché ogni società che compete sul mercato è soggetta alla stessa corsa sfrenata al taglio dei costi di un’impresa capitalista. I lavoratori sono spinti ad accanirsi nel tagliare gli stessi propri salari per non essere messi fuori mercato. E la maggior parte dei lavoratori ha solo un’istruzione a livello di scuola media. Tuttavia la cooperativa Tradoc – traduzione: Lavoratori Democratici dell’Ovest – sta prosperando. Lavoratori-proprietari entusiasti hanno modernizzato i loro impianti, accrescendo la produttività e la qualità grazie al loro lavoro specializzato. Questi fattori, assieme ai loro prezzi effettivamente bassi, hanno res o loro possibile competere sul mercato mondiale.
Proprietari riluttanti
Gli scioperanti della Continental Tire, 2002-2005, erano proprietari riluttanti. Quando si batterono contro la chiusura del loro impianto da parte della multinazionale tedesca, si limitarono per tutto il tempo a chiedere ai proprietari di riaprirlo. Alla fine la Continental si arrese e offrì di vendere metà dell’impresa ai lavoratori e metà al suo ex distributore, la LLanti Systems. “Dicemmo alla Llanti Systems: comprate voi l’impianto. Semplicemente assumeteci e pagateci gli arretrati”, ricorda Jesus Torres, che era allora presidente del sindacato in sciopero. “Per noi sarebbe stato quello il trionfo più grande: riaprire l’impianto e mantenere il nostro lavoro”. “Ma loro dissero: ‘No, no, non siamo pazzi. Sappiamo di cosa siete capaci. Siamo interessati ad avervi come propriet ari, non come dipendenti’”. “Così noi dicemmo: ‘Non c’è altra via d’uscita? Beh, dovremo provarci”.
Dei 940 lavoratori a libro paga quando la Continental aveva chiuso l’impianto nel dicembre 2001, rimanevano 587. Gli altri, spinti dalle difficoltà, avevano accettato la liquidazione. Il primo a entrare nell’impianto da proprietario, nel febbraio 2005, fu Salvador “Chava” Hernandez che era stato un sostenitore convinto del mantenimento dei guardiani del sindacato al cancello chiuso della fabbrica. Aveva la pelle d’oca. “Era la nostra fabbrica”, mi dice. “Eravamo stati tre anni senza niente”.
Non c’erano luci all’interno, così i lavoratori ripulirono le ragnatele al buio, inciampando nelle macchine ed evitando serpenti e gufi. “Era un cadavere quello in cui entravamo”, dice Torres. Nel giro di cinque mesi fecero ripartire le macchine e fabbricarono il loro primo pneumatico. “Corremmo tutti a farci fotografare con quel primo pneumatico”, dice Hernandez. “Era uno pneumatico da camion. E molte, molte persone avevano lavorato a quello pneumatico, ciascuno operando un piccolo perfezionamento”.
Un problema che incontrò all’inizio la nuova cooperativa fu che c’erano troppi lavoratori a libro paga, ma non avevano intenzione di licenziare nessuno. Avevano anche un nuovo marchio, Pneustone, che il pubblico non conosceva.
E l’aiuto che la Continental aveva promesso non arrivò mai. La società aveva detto che avrebbe venduto alla cooperativa la materia prima, acquistato la produzione dell’impianto e offerto consulenza tecnica per un anno. Nessuna di queste promesse fu mantenuta. La Continental disse che era in grado di ottenere gli pneumatici a miglior prezzo altrove.
“Quando la società firmò i documenti”, dice Rosendo Castillo che ora è nel consiglio della cooperativa, “ha detto: ‘Eccovi il cadavere’”. Per i primi quattro anni la nuova società fu in rosso. I primi pneumatici furono venduti a un prezzo molto basso, in perdita, alla Walmart.
I dirigenti della cooperativa sapevano che la chiave per la sopravvivenza consisteva nell’ottenere materia prima a buon prezzo, cosa che poteva garantire solo una grande impresa e che sarebbe stato molto meglio se tale impresa avesse distribuito gli pneumatici negli Stati uniti. Così cercarono un nuovo partner internazionale.
Nel 2008 la Cooper Tire, con sede a Findlay, Ohio, iniettò nuovo capitale; ora possiede il 58% della Corporaciòn de Occidente (Coocsa) o Western Corp, con la cooperativa Tradoc che possiede il 42%. La Cooper ha quattro membri nel Consiglio d’Amministrazione e la Tradoc tre; le decisioni possono essere prese solo con l’accordo del 75%, o del 100% per decisioni importanti, come investimenti o vendite di parti del patrimonio. In altre parole, tutte le decisioni dell’amministrazione sono prese in accordo tra le due entità.
La Western Corp. acquista materie prime dalla Cooper e la Cooper acquista il 95% della produzione della fabbrica, la maggior parte per la vendita negli Stati uniti. Ironicamente – visto che avevano combattuto così duramente contro la chiusura della loro fabbrica – i lavoratori della Ttradoc furono i beneficiari di una chiusura della Cooper in Georgia, quando acquistarono i macchinari di quell’impianto.
Produrre uno pneumatico
Fabbricare uno pneumatico e come fare una torta, dice Torres. Ci sono ricette, è realmente un processo chimico. Diversi tipi di gomma arrivano da Malesia, Guatemala e Singapore, usati per diverse parti dello pneumatico: le pareti, il fondo. Uno dei tre miscelatori della Tradoc, dove viene aggiunto petrolio per fondere la gomma, è il più grande del mondo, alto due piani. Acciaio – come negli “pneumatici cinturati in acciaio” – e nylon sono aggiunti in una fase successiva. A ogni lavorazione la consistenza della mescola della gomma è verificata da tecnici e alla fine una serie di controlli di qualità determina una percentuale di scarti tra l’1,8 e il 2,5 per cento.
Il numerico di macchine diverse a controllo numerico che impastano o modellano la gomma è impressionante: l’impianto di El Salto è lungo non molto meno di un chilometro. E verso la fine, operai e macchine lavorano in tandem per assemblare le parti. Ho osservato un assemblatore di pneumatici della massima anzianità di nome Carlos, che per la sua produttività ha uno dei salari più elevati dell’impianto, muoversi con una rapidità da confondere la vista a posizionare e tendere le strisce di gomma, uno pneumatico alla volta. L’operazione si ripete 15.000 volte al giorno, 4,2 milioni di volte nel 2012.
“Il fatto che uno pneumatico è così difficile da costruire rende ancor più impressionante che noi lo stiamo facendo”, dice Torres senza falsa modestia. In tutto il mondo la fabbricazione di pneumatici si sta continuamente modernizzando e richiede costanti investimenti. Nuovi membri più giovani, le “cinture nere”, cercano il modo di migliorare il processo. Ad esempio vorrebbero tagliare l’uso di solventi ed evitare così problemi alla pelle. Ideeranno un nuovo prodotto e calcoleranno quanto costerebbe per l’intero impianto e organizzeranno una presentazione.
Struttura della cooperativa
Una delle conquiste più semplici nel nuovo sistema è stata di fare a meno dei capisquadra. “E’ stato facile”, dice Torres. “Ciascun lavoratore conosce la sua mansione, conosce la sua quota. Non occorre controllarli”. Le quote sono fissate a un livello sufficientemente basso da consentire a molti lavoratori di finire un paio d’ore in anticipo e di rilassarsi fino all’ora d’uscita. Non c’è nemmeno un reparto pulizie; i lavoratori puliscono le proprie aree.
La Tradoc tiene un’assemblea generale solo due volte l’anno, ma tale assemblea ha diritto di veto su decisioni importanti, come la dismissione d’impianti, gli investimenti e l’acquisto di macchinari. La collaborazione con la Cooper, ad esempio, è stata approvata dall’assemblea dopo un intenso dibattito, ma con una maggioranza schiacciante. Nelle riunioni c’è grande dibattito, con proposte apprezzate che arrivano dalla base, non solo dalla dirigenza.
Per quanto riguarda la gestione quotidiana della fabbrica, a prendere le decisioni è il Comitato Amministrativo. Un direttore di fabbrica che non fa parte della cooperativa sovrintende a tutte le attività, ma ovviamente non può prendere decisioni unilaterali. “E sino questa struttura ha funzionato quasi perfettamente,” dice Torres.
Il Tradoc ha il suo Comitato di Sorveglianza per verificare le finanze della cooperativa; i suoi membri possono anche partecipare alle decisioni dell’impresa che potrebbero influire sulla cooperativa.
La Tradoc ha la responsabilità di assumere, in realtà di reclutare nuovi soci della cooperativa. Un socio può essere licenziato sono con l’accordo della Tradoc, cosa che è accaduta solo in casi estremi.
L’associazione in partecipazione non ha esitato a riassumere tecnici, ingegneri e specialisti che hanno lavorato per anni sotto la vecchia direzione.
Uno è Gonzalo, un chimico che dirige il laboratorio; era stato licenziato sommariamente quando l’impianto era stato chiuso.
E’ tornato per addestrare alle sue competenze gli addetti alla produzione. All’inizio ha lavorato senza paga. I membri della Tradoc promossi dalle mansioni non specializzate ad assumere compiti tecnici hanno imparato alla svelta, dice, e questo lavoro gli piace di più adesso, perché può collaborare con persone che hanno gli occhi rivolti al futuro. “Prima dovevi fare rapporti, impartire punizioni”, mi ha detto. “Ora che hanno loro la responsabilità, sanno come lavorare”.
E fuori discussione che la cooperativa è tutta concentrata sul “lavorare in modo più intelligente”. Per una persona che aveva predicato i mali del “concetto di squadra” e dei programmi di collaborazione direzione-dipendenti lungo tutti gli anni ’80 e ’90, è stato stridente veder risorgere certi slogan familiari in una diversa struttura proprietaria.
La caratteristica del concetto di squadra è che i lavoratori si controllino e competano reciprocamente per arrivare a suggerimenti che risparmino manodopera. Ora un lavoratore ha detto: “Adesso ci mettiamo reciprocamente sotto pressione per farlo bene fin dall’inizio”. Ho dovuto ricordarmi dove mi trovavo. Ma non è proprio questo che i membri di una squadra dovrebbero fare quando sono tutti dalla stessa parte? Il nocciolo della questione non è il numero delle parti: una o due?
Il concetto di squadra afferma di produrre dignità e gratificazione per i lavoratori sollecitando le loro idee per accrescere i profitti di qualcun altro. Quando i profitti sono tuoi e dei tuoi compagni di lavoro, la dignità e la gratificazione possono essere reali. Un avviso in bacheca si congratulava con il socio Joel Gutierrez per la sua idea che aveva risparmiato da 12 a 25 pneumatici al giorno dal finire tra gli scarti. E’ il tipo di avviso che si potrebbe trovare in qualsiasi fabbrica, ma qui con implicazioni differenti.
“Anche se alcuni slogan possono essere simili”, dice Torres, “nella Tradoc prevalgono gli interessi collettivi”. E il collettivo può scegliere come equilibrare i suoi diversi obiettivi, ad esempio gli alti salari e l’orario anticipato d’uscita. Rosendo Castillo del consiglio della cooperativa dice che i soci vogliono investire in macchinari che risparmino loro il lavoro pesante, anche se ciò presumibilmente si tradurrà nel breve termine in minori posti di lavoro.
Anche se è rischioso concludere troppo da un’unica visita all’impianto, ho riscontrato un’atmosfera in cui nessuno sembra stressato, una sensazione di tranquilla competenza (anche se Carlos si muoveva a tutta birra). Ho chiesto a un tecnico di laboratorio se avvertisse pressioni dai suoi compagni di lavoro per ignorare i cattivi risultati degli esami al fine di mantenere attiva la produzione. “Mai ignorarli”  ha detto solennemente. “La responsabilità è uno stile di vita”.
Salari, indennità, condizioni
La cooperativa aveva cominciato con salari uguali per tutti. Ciò aveva causato problemi, spiega Torres. “Alcuni dicevano: ‘Perché dovrei lavorare più duramente se alla fine prendo gli stessi soldi del resto di voi?’. ”Quando i dirigenti hanno proposto una scala di salari, l’assemblea è stata quasi unanimemente a favore.
Oggi ci sono sette livelli di salario, da 2 a 8, con la maggior parte dei lavoratori ai livelli da 5 a 7 e pochissimi ai livelli 2 o 3, che sono prevalentemente per i nuovi assunti. In base alla regola “uguale lavoro, uguale remunerazione”, il salario mensile è stabilito dallo sforzo fisico e dalla responsabilità. L’anzianità decide chi può trasferirsi in un posto vacante.
Nel distretto industriale dove è situato l’impianto, la paga comune nelle fabbriche è 192-384 dollari al mese. Alla Tradoc  i lavoratori di livello 5-7 guadagnano da 240 a 375 dollari a settimana. I membri del comitato amministrativo ricevono lo stesso compenso dei lavoratori pagati di più.
L’impianto opera secondo gli stessi orari di prima dello sciopero: tre turni di otto ore al giorno (pranzo compreso), sei giorni alla settimana. I lavoratori ruotano nei turni mattutini, serali e notturni ogni tre settimane e ruotano anche i loro giorni liberi, un giorno diverso ogni settimana. Ciò significa che hanno due giorni liberi di seguito solo un terzo del tempo (la domenica è sempre libera). Ci sono degli straordinari, ma l’obiettivo è di ridurli.
Negli Stati uniti i turni a rotazione sono considerati brutali, dannosi al corpo e alla vita famigliare. Negli impianti sindacali, quelli con l’anzianità maggiore hanno il privilegio di scegliere i propri turni e quelli meno anziani sopportano le notti fino a quando non hanno maturato una certa anzianità. Ma Torre fa notare che i soci sono abituati al sistema di rotazione e aggiunge: “Siamo governati dal criterio della parità di sforzi”.
In Messico la pensione governativa (l’equivalente della previdenza sociale) è basata su quanto il datore di lavoro versa al sistema negli ultimi cinque anni di lavoro di un dipendente. Perciò la Tradoc riconosce una paga molto alta in quei cinque anni, sufficiente a garantire a ogni lavoratore 1.500 dollari il mese, quasi quanto guadagnava in attività. E’ una pensione muy digna, molto dignitosa, la più elevata dello stato.
Nell’impianto si nota l’assenza di caschi e di cuffie. Castillo dice: “I dirigenti hanno cercato di farli portare, ma i lavoratori dicono: ‘Sono in grado di aver cura di me stesso. Sono il padrone’”.
Non sorprendentemente tutti a El Salto vorrebbero lavorare alla fabbrica di pneumatici. I lavoratori hanno riservato i posti disponibili ai membri della propria famiglia, tra cui 25 figlie, le prime donne a lavorare alla produzione. Ho parlato con una giovane madre di due bambini, il cui padre l’ha fatta entrare nella fabbrica. Ha in programma di restare, ha detto.
Il futuro
Quando i lavoratori hanno rilevato la fabbrica, dice Torres “sapevamo come fare pneumatici, ma non sapevamo come venderli”. E’ per questo che hanno avuto bisogno di un partner capitalista e ne hanno bisogno ancora. Ma sanno che il loro accordo con la Cooper può non durare per sempre. La Cooper è una società contraria ai lavoratori, dopotutto. Nel 2012 ha licenziato fatto una serrata contro la propria manodopera statunitense perseguendo, con successo, grosse concessioni. Quando la Tradoc ha trasmesso una lettera di solidarietà al sindacato (che non ha mai avuto risposta) la direzione si era infuriata.
“Abbiamo una storia che non intendiamo negare”, ha detto Torres agli amministratori della Cooper. “La nostra classe è la classe lavoratrice. Siamo una cooperativa. Noi abbiamo l’impianto. Voi vendete gli pneumatici.”
Ma guardando al futuro la Tradoc vuole essere pronta a farsi carico delle vendite, che è il settore da cui si ricavano i profitti maggiori. Alla prossima assemblea generale sarà presentato un piano per aprire un magazzino di vendita di pneumatici nella vicina grande città di Guadalajara. La società non ha ancora pagato dividendi agli azionisti-lavoratori ma ciò può essere possibile quest’anno per la prima volta. Se ci saranno profitti, tuttavia, i dirigenti consigliano che parte sia trattenuta per investimenti.
Nelle elezioni del consiglio della cooperativa, che si tengono ogni tre anni, ci sono sempre una lista di destra e una di sinistra. La destra sostiene che i soci dovrebbero interessarsi solo del proprio impianto e ignorare le lotte dei lavoratori altrove. Vogliono anche salari più alti per le posizioni di “direzione” che perseguono. Sinora la sinistra ha vinto con facilità.
Perciò la cooperativa ha un fondo di solidarietà, un paio di dollari la settimana dalla paga di ciascun lavoratore. Pubblica un bimensile di notizie del lavoro, la Workers’ Gazette, e aiuta lavoratori dell’elettricità e minatori sottoposti a serrate, lavoratori licenziati della Honda, campesinos incarcerati per aver difeso la propria terra. “Non è nulla di nuovo,” spiega Torres. “Il nostro sindacato è sempre stato molto solidaristico. Abbiamo inviato fondi alla guerra civile spagnola negli anni ’30”.
Cosa possiamo imparare da questa vicenda? Fa una grossa differenza che i leader di questa lotta fossero socialisti, non inclini a svendere o ad arrendersi, e consapevoli della necessità di ricercare alleati internazionali. Senza tale dirigenza la chiusura di questa fabbrica sarebbe finita come così tante altre.
Ma una volta che la cooperativa è stata avviata fa piacere riferire che i lavoratori gestiscono effettivamente la fabbrica meglio dei padroni. Non solo controllano la linea di produzione, senza necessità di capisquadra, ma vengono fuori con idee per migliorare la produzione in entrambi i sensi: più pneumatici e migliori, meno scarti, ma anche meno mansioni massacranti. Con circa la stessa manodopera, l’impianto sta producendo il 50% di pneumatici in più di quanti ne producesse prima della chiusura. I lavoratori hanno introdotto nuovi macchinari per incrementare la produzione, ma questo lo fa la maggior parte delle imprese. Le grandi imprese usano anche accelerazioni dei ritmi, tagli ai salari e un totale disprezzo per l’ambiente. Queste cose non succederanno in questa cooperativa.

I leader della Tradoc sono ora in contatto con i lavoratori degli pneumatici Goodyear in Francia che vogliono anch’essi rilevare il loro impianto in forma di cooperativa. Sono ansiosi di condividere le loro idee ed esperienze con tutti i lavoratori che stanno prendendo in considerazione una cooperativa come soluzione in un conflitto industriale. Scrivete a Jesus Torres all’indirizzo j.torres@coocsa.com.


Fonte: znetitaly.org e labornotes.org (traduzione di Giuseppe Volpe)




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