giovedì 28 febbraio 2013

APPUNTI SUI SETTE PECCATI CAPITALI DEL CENTROSINISTRA AL VOTO


I commenti che si possono fare sul risultato delle elezioni sono moltissimi (il potere della tv nell'informare condizionare le persone, la quantità di idioti ed analfabeti nel nostro paese, il suicidio della "sinistra", il ruolo di Napolitano, ecc). 
Poco per volta li faremo.
Nel frattempo propongo due riflessioni che secondo me ci azzeccano un po' di più.


APPUNTI SUI SETTE PECCATI CAPITALI DEL CENTROSINISTRA AL VOTO

di Gianluca Gobbi (dal sito di RadioFlash)

1. Il centrosinistra mi sembra l’atleta che, in vista della finale olimpica dei 100 metri, spende tutte le energie nelle batterie di qualificazione (primarie e controprimarie fratricide) e si presenta alla gara decisiva “senza fiato e senza bronco” (cit.). Il più motivato ha la testa sgombra e vince. Il Cavaliere ha cominciato la campagna elettorale nel salotto (intimo il giusto) di Barbara D’Urso su Canale 5 il 16 dicembre, a due mesi dal voto, raggiungendo il picco da Santoro. Beppe Grillo ha condotto la campagna elettorale in crescendo girando (e riempiendo) le piazze principali del Paese, fino a conquistare quella storica del Primo Maggio.
2. Il tasso di odio scaturito dalle primarie del Pd e di Sel avrebbe alimentato tutte le centrali nucleari francesi: caliamo di qualche ottava perché, se ci scanniamo con i parenti/serpenti, quando usciamo di casa abbiamo l’illusione di essere forti, poi ci rendiamo conto di aver scoccato qualche freccia di troppo contro obiettivi non così lontani da noi come sembrava.
3. Quanta arroganza, quanta supponenza, quanta vanagloria! Non è scontato che il voto debba andare alla propria formazione politica perché l’elettore possa essere considerato meritevole. Il voto bisogna conquistarselo, da qualche tornata elettorale (almeno dalle regionali del 2010) appare chiaro che tutte le rendite di posizione si siano esaurite.
4. Quando un politico perde la prima reazione è: dobbiamo tornare tra le persone e sul territorio. Bene, occorre essere consapevoli che finché non si è tra le persone e sul territorio non si sta facendo politica, ma una pratica indefinibile e salottiera che magari porta a stringere legami professionali e a migliorare la propria posizione, ma che è ben lontana dalle esigenze della collettività.
5. “Certo che se si vota Grillo…!” In quanti nel centrosinistra hanno fatto questo commento. Per quanto mi riguarda, ho visto all’opera come ospiti delle mie trasmissioni una neodeputata, Federica Daga (all’interno della rubrica Acqua Pubblica) e un neosenatore, Alberto Airola (negli spazi dedicati alle iniziative del Comitato Emergenza Cultura): non sono fanatici, ma due persone che hanno mostrato le loro qualità senza il minimo sussiego e con passione.
6. By the way, dov’è la passione all’interno del centrosinistra? Non intendo la carica di odio, invidia, gelosia, arrivismo, protagonismo…che anzi abbondano, ma quel quid che ti fa dire: sì, ti voto perché mi ascolti, mi sei vicino e mi indichi un orizzonte: ho respirato quella passione di persona in piazza Castello e via tubo catodico in piazza San Giovanni, non nei teatri con i soliti noti scelti dai leader di centrosinistra negli ultimi giorni di campagna.
7. Ha vinto chi ha saputo comunicare: per Bersani, come per la maggior parte di noi, era impresa improba lottare contro Berlusconi, un imbonitore nato, e contro Grillo, che sa scaldare la platea e ha pure il dono della battuta, però pochi di noi avrebbero scelto come slogan finale per convincere gli indecisi “mai più condoni”…Il 30 per cento di voti per Berlusconi non deve stupire: Tullio De Mauro ricorda spesso che gli analfabeti rappresentano il 23 per cento dei nostri connazionali e se si aggiungono gli analfabeti di ritorno si arriva al 47: ci siamo scordati che un italiano su due non legge nemmeno un libro all’anno? Anche volendoli considerare irrecuperabili, c’è sempre un 53 per cento di italiani che aspetta soltanto una buona ragione per dare il proprio voto.


Non è un disastro. È molto peggio

(dal sito di Micromega)
Allora, visto che a differenza dei dirigenti del centrosinistra in questo spazio non ci sono carriere da difendere, possiamo discuterne in tutta sincerità: da qualunque parte della sinistra si guardi – moderata, moderata ma radicale, radicale e basta – la sconfitta è totale.
1. Ricordiamo sommessamente che 14 mesi fa Berlusconi era morto e sepolto, Monti non esisteva e Grillo aveva il 4 nei sondaggi. Se non si è andati al voto è grazie alle pressioni del presidente della Repubblica e all’accondiscendenza suicida di Bersani.
2. Le primarie si sono rivelate l’ennesima illusione collettiva, così come lo furono nel 2005. La democrazia non è roba utile per questo Paese. Vincono quelli che fanno per sé, perché fanno per tre (vedi Berlusconi, ma anche Grillo).
3. La sinistra radicale (sia Sel che Rc) esce ancora una volta con le ossa rotte dal voto. Proprio in una fase storica che, paradossalmente, mette in evidenza i fallimenti del riformismo come finora è stato inteso. Forse è davvero ora di fare spazio ai giovani e di riunificare un’area divisa più dalle inimicizie personali che dalle divergenze politiche.
4. Chi protesta, chi è attivo nelle lotte, non sceglie a sinistra ma opta per il Movimento Cinque Stelle. È il momento di togliersi la puzza da sotto il naso (parlando sempre di fascismo e di matite ciucciate, ad esempio) e provare a ricordarci che, programma alla mano, il 70 per cento delle proposte del M5S è di estrema sinistra. La domanda è questa: perché l’elettorato si affida a Grillo e non all’originale? Sono molto sincero: la risposta che avrei in mente è troppo deprimente per dirla. Ma magari ha un fondo di verità: perché Grillo va di moda.
5. Se il Pd fa la grande alleanza con il Pdl alle prossime elezioni il M5S prende l’80 per cento. Conoscendo gli enrichiletta, la cosa è possibile.
6. Nonostante i giganteschi spot a reti unificate, Monti porta a casa un deprimente 10 per cento. È l’unica soddisfazione della giornata. E conferma l’incapacità d’analisi del Pd, che non ha fatto altro che evocarne un futuro accordo.
7. Tornando alla sinistra radicale. Ingroia era e resta una splendida persona. Che ho votato con convinzione. Ma aveva ragione il direttore di questa rivista, Paolo Flores d’Arcais. Bisognava saltare il giro e prepararsi al futuro caos post-voto. Devo essere sincero: credevo si sbagliasse. Adesso, comunque sia, invitare Ingroia a fare le valige è un gioco semplice e pure codardo. Credo resti una risorsa, così come lo è quel simbolo, il Quarto Stato. Che adesso non va di moda, ma che ha un suo valore e una sua ragione d’esistere.
8. Infine Berlusconi. Resta il politico più straordinario della storia di questo Paese. In senso negativo, certo. Eppure rimane drammaticamente unico. Chi non lo ha stritolato 14 mesi fa deve dimettersi una volta per tutte.
9. Basta parlare di politica. D’ora in poi motori, donne, discoteca.
Matteo Pucciarelli
(25-02-2013)



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