
Doveva
essere una riforma della legge sulla stampa per eliminare la pena del
carcere per i giornalisti, a tutela dei diritti fondamentali di cronaca e
di critica: il testo licenziato al Senato rischia di ottenere l’effetto
opposto.
La legge sulla diffamazione che potrebbe presto essere approvata, prevede in particolare:
1) sanzioni pecuniarie fino a 50 mila euro che appaiono da un lato inefficaci per i grandi gruppi editoriali e dall’altro potenzialmente devastanti per l’informazione indipendente, in particolare per le piccole testate online;
2) un diritto di rettifica immediata e integrale al testo ritenuto lesivo della dignità dall'interessato, senza possibilità di replica o commento né del giornalista né del direttore responsabile, e che invece di una “rettifica”, si configura come un diritto assoluto di replica, assistito da sanzioni pecuniarie in caso di inottemperanza, che prescinde, nei presupposti della richiesta, dalla falsità della notizia o dal carattere diffamatorio dell’informazione;
3) l’introduzione di una sorta di generico diritto all’oblio che consentirebbe indiscriminate richieste di rimozione di informazioni e notizie dal web se ritenute diffamatorie o contenenti dati personali ipoteticamente trattati in violazione di disposizioni di legge. Previsione questa che non appare limitata alle sole testate giornalistiche registrate ma applicabile a qualsiasi fonte informativa, sia essa un sito generico, un blog, un aggregatore di notizie o un motore di ricerca, e che fa riferimento al trattamento illecito dei dati.
Una legge che modifica la normativa sulla stampa al tempo del web deve avere come primo obiettivo la tutela della libertà di espressione e di informazione su ogni medium: e questo non si ottiene prevedendo nuove responsabilità e strumenti di controllo e rimozione, ma estendendo ai nuovi media le garanzie fondamentali previste dalla Costituzione per la stampa tipografica.
La legge sulla diffamazione proposta ha invece il sapore di un inaccettabile "mettetevi in riga", per quei giornalisti coraggiosi, blogger e freelance che difendono il diritto dei cittadini ad essere informati per fare scelte libere e consapevoli.
La mancanza di norme che sanzionino richieste e azioni giudiziarie temerarie o infondate non fa che aggravare un quadro di potenziale pressione sull’informazione che la sola eliminazione del carcere come sanzione non è sufficiente a scongiurare e che anzi con la nuova legge si aggrava.
La nuova legge sulla diffamazione è pericolosa per le molte violazioni in essa previste del diritto costituzionale d’informare e di essere informati.
Per questo invitiamo tutti i cittadini ad aderire a questo appello, a chiedere ai parlamentari di non approvare la legge e al Capo dello Stato di non firmare questo improvvido testo normativo, evitandone la promulgazione.
Ne va della libertà di tutti.
http://nodiffamazione.it
#nodiffamazione
Promotori:
Associazione Articolo 21, Associazione Nazionale Stampa Online, Confronti, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Libera Informazione, Libertà e Partecipazione, Ossigeno per l’Informazione, MoveOn, Valigia Blu, Usigrai
Lirio Abbate, Patrizia Abbate, Federica Angeli, Lucia Annunziata, Raffaele Barberio, Matteo Bartocci, Stefano Maria Bianchi, Carlo Blengino, Paolo Butturini, Daniele Cerrato, Tommaso Cerno, Fabio Chiusi, Arianna Ciccone, Marina Cocozza, Stefano Corradino, Alberto Crepaldi, Domenico D’Amati, Nicola D’Angelo, Luca De Biase, Tana de Zulueta, Gianni Del Vecchio, Santo Della Volpe, Arturo Di Corinto, Tommaso Di Francesco, Vittorio Di Trapani, Emiliano Fittipaldi, Carola Frediani, Milena Gabanelli, Martino Galliolo, Alessandro Gilioli, Beppe Giulietti, Federico Guerrini, Enzo Iacopino, Betto Liberati, Raffale Lorusso, Alessandro Mantovani, Laura Maragnani, Giuseppe Federico Mennella, Liana Milella, Walter Molino, Mara Filippi Morrione, Fausto Napolitano, Claudio Paravati, Danilo Procaccianti, Marco Quaranta, Giovanni Maria Riccio, Stefano Rodotà, Guido Romeo, Maria Pia Rossignaud, Fulvio Sarzana, Guido Scorza, Roberto Secci, Franco Siddi, Danilo Sinibaldi, Alberto Spampinato, Giovanni Tizian, Nicola Tranfaglia, Marco Travaglio, Davide Vecchi, Vincenzo Vita, Giulio Vasaturo, Vauro
La legge sulla diffamazione che potrebbe presto essere approvata, prevede in particolare:
1) sanzioni pecuniarie fino a 50 mila euro che appaiono da un lato inefficaci per i grandi gruppi editoriali e dall’altro potenzialmente devastanti per l’informazione indipendente, in particolare per le piccole testate online;
2) un diritto di rettifica immediata e integrale al testo ritenuto lesivo della dignità dall'interessato, senza possibilità di replica o commento né del giornalista né del direttore responsabile, e che invece di una “rettifica”, si configura come un diritto assoluto di replica, assistito da sanzioni pecuniarie in caso di inottemperanza, che prescinde, nei presupposti della richiesta, dalla falsità della notizia o dal carattere diffamatorio dell’informazione;
3) l’introduzione di una sorta di generico diritto all’oblio che consentirebbe indiscriminate richieste di rimozione di informazioni e notizie dal web se ritenute diffamatorie o contenenti dati personali ipoteticamente trattati in violazione di disposizioni di legge. Previsione questa che non appare limitata alle sole testate giornalistiche registrate ma applicabile a qualsiasi fonte informativa, sia essa un sito generico, un blog, un aggregatore di notizie o un motore di ricerca, e che fa riferimento al trattamento illecito dei dati.
Una legge che modifica la normativa sulla stampa al tempo del web deve avere come primo obiettivo la tutela della libertà di espressione e di informazione su ogni medium: e questo non si ottiene prevedendo nuove responsabilità e strumenti di controllo e rimozione, ma estendendo ai nuovi media le garanzie fondamentali previste dalla Costituzione per la stampa tipografica.
La legge sulla diffamazione proposta ha invece il sapore di un inaccettabile "mettetevi in riga", per quei giornalisti coraggiosi, blogger e freelance che difendono il diritto dei cittadini ad essere informati per fare scelte libere e consapevoli.
La mancanza di norme che sanzionino richieste e azioni giudiziarie temerarie o infondate non fa che aggravare un quadro di potenziale pressione sull’informazione che la sola eliminazione del carcere come sanzione non è sufficiente a scongiurare e che anzi con la nuova legge si aggrava.
La nuova legge sulla diffamazione è pericolosa per le molte violazioni in essa previste del diritto costituzionale d’informare e di essere informati.
Per questo invitiamo tutti i cittadini ad aderire a questo appello, a chiedere ai parlamentari di non approvare la legge e al Capo dello Stato di non firmare questo improvvido testo normativo, evitandone la promulgazione.
Ne va della libertà di tutti.
http://nodiffamazione.it
#nodiffamazione
Promotori:
Associazione Articolo 21, Associazione Nazionale Stampa Online, Confronti, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Libera Informazione, Libertà e Partecipazione, Ossigeno per l’Informazione, MoveOn, Valigia Blu, Usigrai
Lirio Abbate, Patrizia Abbate, Federica Angeli, Lucia Annunziata, Raffaele Barberio, Matteo Bartocci, Stefano Maria Bianchi, Carlo Blengino, Paolo Butturini, Daniele Cerrato, Tommaso Cerno, Fabio Chiusi, Arianna Ciccone, Marina Cocozza, Stefano Corradino, Alberto Crepaldi, Domenico D’Amati, Nicola D’Angelo, Luca De Biase, Tana de Zulueta, Gianni Del Vecchio, Santo Della Volpe, Arturo Di Corinto, Tommaso Di Francesco, Vittorio Di Trapani, Emiliano Fittipaldi, Carola Frediani, Milena Gabanelli, Martino Galliolo, Alessandro Gilioli, Beppe Giulietti, Federico Guerrini, Enzo Iacopino, Betto Liberati, Raffale Lorusso, Alessandro Mantovani, Laura Maragnani, Giuseppe Federico Mennella, Liana Milella, Walter Molino, Mara Filippi Morrione, Fausto Napolitano, Claudio Paravati, Danilo Procaccianti, Marco Quaranta, Giovanni Maria Riccio, Stefano Rodotà, Guido Romeo, Maria Pia Rossignaud, Fulvio Sarzana, Guido Scorza, Roberto Secci, Franco Siddi, Danilo Sinibaldi, Alberto Spampinato, Giovanni Tizian, Nicola Tranfaglia, Marco Travaglio, Davide Vecchi, Vincenzo Vita, Giulio Vasaturo, Vauro
Diffamazione, sparisce il carcere ma il rischio bavaglio resta
Va oggi in aula a Montecitorio
il testo finale della legge che modifica le norme sulla diffamazione, a
mezzo stampa, radio e tv, libri e Internet. Ecco cosa è cambiato
di ARTURO DI CORINTO
NIENTE CARCERE ma multe salate fino a 50
mila euro per il giornalista colpevole di aver diffamato. Il testo
finale della legge che modifica le norme sulla diffamazione, a mezzo
stampa, radio e tv, libri e Internet, arriva al voto nell'aula di
Montecitorio con una serie di aggiustamenti che mettono solo in parte d'accordo il governo e le associazioni dei giornalisti.
Rimane quell'obbligo di rettifica "gratuitamente e senza commento,
senza risposta e senza titolo", entro 48 ore per le testate online e per
libri e riviste entro 15 giorni dalla richiesta, che ha fatto
innervosire sia Enzo Iacopino, presidente dell'Ordine dei giornalisti, che Raffaele Lorusso
neoeletto presidente del sindacato FNSI. Quest'ultimo aveva anche
contestato l'assegnazione dei processi per diffamazione contro i siti
internet al giudice della città del querelante: "Costringere una piccola
testata a difendersi in cento tribunali diversi diventa una forma
indiretta di intimidazione".
La legge aveva destato una forte opposizione già due anni fa quando era stata concepita per rimediare al mostro giuridico del carcere per i giornalisti previsto dal nostro ordinamento e che l'Europa ci chiedeva di rimuovere. Un'opposizione non solo dei giornalisti e delle loro categorie professionali, ma di semplici cittadini, associazioni, esponenti del mondo della cultura, perché rischiava, e rischia, di trasformare i giornali nei dazebao dei rettificatori di professione, sia per l'enormità di sanzioni pecuniarie a fronte di una categoria adesso composta in maggioranza da giornalisti autonomi, precari e malpagati. Consapevoli tutti della tendenza a utilizzare lo strumento della querela per diffamazione come strumento di censura e di condizionamento per zittire i giornalisti scomodi, querele che secondo l'osservatorio di Ossigeno per l'informazione sono pretestuose, cioè temerarie, 40 volte su 100.
Adesso però invece del carcere da sei mesi a sei anni, i giornalisti condannati per diffamazione se la potranno cavare con una multa che, pagata, non metterà direttore ed editori al riparo da eventuali e successive di richieste di risarcimento. Col possibile risultato di voler chiedere ai propri giornalisti di limitare inchieste e approfondimenti su fatti controversi. A dispetto di quello che il presidente del Senato Pietro Grasso qualche giorno fa ha detto: "il giornalismo precede la giustizia e per questo la mafia lo teme".
Le buone notizie. Scomparsa la norma che prevedeva la rivendicazione della cancellazione da Internet per articoli considerati diffamatori (il diritto all'oblio), e scomparso l'obbligo di rettifica per i blog e i siti indipendenti come Wikipedia, Valter Verini, il relatore, in un colloquio con Repubblica.it, si è detto soddisfatto: "Abbiamo fatto un buon lavoro in commissione. Adesso in aula c'è la possibilità di presentare emendamenti migliorativi. Ovviamente il testo licenziato dalla commissione Giustizia non preclude la possibilità che l'aula, sovrana, possa chiedere cambiamenti ulteriori". E se fossero peggiorativi? "Il parere del relatore è conforme a quello del governo. Perciò io sono cauto ma anche fiducioso."
Spiega Verini: "Abbiamo tolto il carcere, mi pare un risultato importante. Ricordo che su tre quarti del regolamento non si poteva intervenire, per il principio della doppia lettura conforme di Camera e Senato. Ma abbiamo eliminato le parti più controverse". Si riferisce all'articolo 3, quello che riguardava la rete e i blog? "Sì, è stato tolto con il consenso di tutti. La diffamazione in rete è un problema reale, lo sappiamo, ma nelle molte discussioni avute si è compreso che affrontare un tema tanto delicato con un emendamento era assai difficile, tanto più perché è in corso il lavoro della commissione per i diritti di Internet presieduta da Stefano Rodotà che bisogna discutere in relazione a normative europee".
Tuttavia la Cassazione ha appena depositato una sentenza di condanna per diffamazione attraverso Facebook che integra il reato di diffamazione a mezzo stampa. (sentenza 24431/15, depositata l'8 giugno 2015). "Certo che la cancellazione dell'articolo 3 non vuol dire che i blog saranno liberi di diffamare. Si può sempre denunciare per diffamazione. L'istituto giuridico non viene cancellato. Anche i blog e i siti non registrati ai sensi dell'articolo 5 della legge sulla stampa, possono essere querelati. Ci vuole maggiore approfondimento e ci aspettiamo spunti significativi dalla commissione Rodotà".
Un emendamento anche per le querele temerarie. "Inoltre - aggiunge - abbiamo dato un segnale significativo rispetto al tema dolente delle querele temerarie (presentate per intimidire e minacciare giornali e giornalisti, ndr), soprattutto per le proprietà deboli e per certe zone del paese. L'idea è che il giudice possa decidere un risarcimento pari al 50% della somma richiesta da chi ha invocato il reato di diffamazione se si accerta la temerarietà della querela. Altra cosa importante è che si conferma il carattere colposo e non doloso del ruolo del direttore del giornale perché questi non può controllare tutto". Sì, ma le rettifiche? Non ha ragione Enzo Iacopino quando dice che i giornali si trasformeranno in una buca delle lettere per i rettificatori? Non le sembra eccessivo non poter rispondere alla rettifica pure pubblicata? "La norma come si sta configurando da un lato garantisce un bene prezioso, la libertà dell'informazione, dall'altro tiene conto dei diritti del cittadino che si sente diffamato e che ha pari
diritto ad avere una rettifica. Se la rettifica viene pubblicata non
sono punibili né i giornalisti né il direttore. Per noi questa norma
rappresenta una garanzia di responsabilizzazione per i giornalisti e per
avere maggiore accuratezza nelle fonti e nei fatti".
La legge aveva destato una forte opposizione già due anni fa quando era stata concepita per rimediare al mostro giuridico del carcere per i giornalisti previsto dal nostro ordinamento e che l'Europa ci chiedeva di rimuovere. Un'opposizione non solo dei giornalisti e delle loro categorie professionali, ma di semplici cittadini, associazioni, esponenti del mondo della cultura, perché rischiava, e rischia, di trasformare i giornali nei dazebao dei rettificatori di professione, sia per l'enormità di sanzioni pecuniarie a fronte di una categoria adesso composta in maggioranza da giornalisti autonomi, precari e malpagati. Consapevoli tutti della tendenza a utilizzare lo strumento della querela per diffamazione come strumento di censura e di condizionamento per zittire i giornalisti scomodi, querele che secondo l'osservatorio di Ossigeno per l'informazione sono pretestuose, cioè temerarie, 40 volte su 100.
Adesso però invece del carcere da sei mesi a sei anni, i giornalisti condannati per diffamazione se la potranno cavare con una multa che, pagata, non metterà direttore ed editori al riparo da eventuali e successive di richieste di risarcimento. Col possibile risultato di voler chiedere ai propri giornalisti di limitare inchieste e approfondimenti su fatti controversi. A dispetto di quello che il presidente del Senato Pietro Grasso qualche giorno fa ha detto: "il giornalismo precede la giustizia e per questo la mafia lo teme".
Le buone notizie. Scomparsa la norma che prevedeva la rivendicazione della cancellazione da Internet per articoli considerati diffamatori (il diritto all'oblio), e scomparso l'obbligo di rettifica per i blog e i siti indipendenti come Wikipedia, Valter Verini, il relatore, in un colloquio con Repubblica.it, si è detto soddisfatto: "Abbiamo fatto un buon lavoro in commissione. Adesso in aula c'è la possibilità di presentare emendamenti migliorativi. Ovviamente il testo licenziato dalla commissione Giustizia non preclude la possibilità che l'aula, sovrana, possa chiedere cambiamenti ulteriori". E se fossero peggiorativi? "Il parere del relatore è conforme a quello del governo. Perciò io sono cauto ma anche fiducioso."
Spiega Verini: "Abbiamo tolto il carcere, mi pare un risultato importante. Ricordo che su tre quarti del regolamento non si poteva intervenire, per il principio della doppia lettura conforme di Camera e Senato. Ma abbiamo eliminato le parti più controverse". Si riferisce all'articolo 3, quello che riguardava la rete e i blog? "Sì, è stato tolto con il consenso di tutti. La diffamazione in rete è un problema reale, lo sappiamo, ma nelle molte discussioni avute si è compreso che affrontare un tema tanto delicato con un emendamento era assai difficile, tanto più perché è in corso il lavoro della commissione per i diritti di Internet presieduta da Stefano Rodotà che bisogna discutere in relazione a normative europee".
Tuttavia la Cassazione ha appena depositato una sentenza di condanna per diffamazione attraverso Facebook che integra il reato di diffamazione a mezzo stampa. (sentenza 24431/15, depositata l'8 giugno 2015). "Certo che la cancellazione dell'articolo 3 non vuol dire che i blog saranno liberi di diffamare. Si può sempre denunciare per diffamazione. L'istituto giuridico non viene cancellato. Anche i blog e i siti non registrati ai sensi dell'articolo 5 della legge sulla stampa, possono essere querelati. Ci vuole maggiore approfondimento e ci aspettiamo spunti significativi dalla commissione Rodotà".
Un emendamento anche per le querele temerarie. "Inoltre - aggiunge - abbiamo dato un segnale significativo rispetto al tema dolente delle querele temerarie (presentate per intimidire e minacciare giornali e giornalisti, ndr), soprattutto per le proprietà deboli e per certe zone del paese. L'idea è che il giudice possa decidere un risarcimento pari al 50% della somma richiesta da chi ha invocato il reato di diffamazione se si accerta la temerarietà della querela. Altra cosa importante è che si conferma il carattere colposo e non doloso del ruolo del direttore del giornale perché questi non può controllare tutto". Sì, ma le rettifiche? Non ha ragione Enzo Iacopino quando dice che i giornali si trasformeranno in una buca delle lettere per i rettificatori? Non le sembra eccessivo non poter rispondere alla rettifica pure pubblicata? "La norma come si sta configurando da un lato garantisce un bene prezioso, la libertà dell'informazione, dall'altro tiene conto dei diritti del cittadino che si sente diffamato e che ha pari
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