Fonte e Link:
“Ho appena
finito di leggere il reale contenuto delle tanto sbandierate decisioni
epocali prese ieri dal Consiglio dei Ministri in materia di riforma
della giustizia e mi son chiesto: “ma fino a che punto è lecito truffare la buona fede degli italiani?”. Poi, però, ho letto i titoli e gli articoli dei soliti giornali di regime e soprattutto le dichiarazioni di alcuni “illuminati” Ministri e mi sono detto: “ma
come possono gli italiani valutare l’effettiva bontà delle suddette
riforme, se ad essi vengono propinate notizie così false e fuorvianti da
rasentare il reato di truffa?”.
Volete alcuni esempi? Eccoli:
1 – “La Repubblica” così titola quel che sarebbe stato approvato ieri dal Consiglio dei Ministri: “La rivoluzione Giustizia, prescrizione congelata, nuovo falso in bilancio e vacanze dimezzate”;
2 – “Il Corriere della Sera” così sintetizza l’umore del Governo: “il
Premier Renzi parla di rivoluzione, il Ministro della Giustizia Orlando
è molto soddisfatto perché è riuscito a far varare dal Consiglio dei
Ministri l’intero pacchetto Giustizia”;
3 – Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando (sì, tale Ministero è diretto proprio da Orlando, anche se pare impossibile) ha esclamato, all’uscita dal Consiglio dei Ministri: “sono
soddisfatto, aver portato a casa il falso in bilancio,
l’autoriciclaggio e la nuova prescrizione lo considero un vero successo.
Francamente, fino a ieri non ci avrei scommesso”.
Ma è davvero così? Nel senso che davvero è stata congelata la prescrizione? Davvero è stato ripristinato il reato di falso in bilancio e davvero è stato finalmente introdotto il reato di autoriciclaggio nel nostro sistema penale? Ed ancora: davvero i provvedimenti approvati servono a “rivoluzionare”
la giustizia, nel senso di farla diventare più efficace e celere? E
soprattutto: davvero tutti i provvedimenti riguardanti il cosiddetto “pacchetto Giustizia” sono stati “approvati”
o non invece, ed ancora una volta, sono solo delle banali proposte,
come ce ne sono già state migliaia di tante altre in questi ultimi 20
anni?
Ebbene, se esaminiamo con attenzione cosa
effettivamente ha varato ieri il Consiglio dei Ministri, non possiamo
non accorgerci che non ci troviamo affatto di fronte ad un nuovo e più
efficace “pacchetto Giustizia” ma solo e sempre ad un ennesimo “pacco” rifilato agli italiani per illuderli che – fra 100, massimo 1000 giorni tanto cari a Renzi – vivremo tutti felici e contenti.
Ed allora, ristabiliamo una prima inconfutabile verità: in materia penale non è stato approvato alcun provvedimento “vero e reale”
(dicasi decreto legge), tale cioè da poter incidere da subito e con
maggiore determinazione contro la dilagante criminalità economica,
istituzionale e politica che attanaglia e blocca lo sviluppo del nostro
paese e ci fa rimanere, agli occhi del mondo, con il gelato (pardon, con il cerino) in mano.
E’ stata invece varata solo una sfilza di cosiddetti “disegni di legge”, vale a dire semplici “proposte”
che andranno a riempire gli scaffali del Parlamento, come migliaia di
tante altre proposte che già occupano i magazzini e gli scantinati di
Camera e Senato, senza alcuna possibilità di poter essere in futuro
approvate.
Anzi, diciamola tutta, dobbiamo pure
augurarci che i disegni di legge varati ieri non vengano approvate,
giacchè trattasi di proposte che – per non scontentare nessuna forza
politica che, direttamente o indirettamente, rappresenta l’attuale
maggioranza parlamentare “renzusconiana” in materia di
giustizia – dopo essere state scopiazzate qua e là da precedenti
proposte, sono state manipolate ed assemblate in modo tale che tutti i
partiti della “nascosta” maggioranza possano ora dire che hanno
vinto loro. Ed infatti già ieri, subito dopo il varo dei predetti
disegni di legge, il leader dello sconosciuto partito NCD Angelino
Alfano ha esclamato: “centrato l’obiettivo, grazie a noi!”.
L’obiettivo sarà stato pure “centrato” ma chi è stato colpito a morte non è la criminalità dei potenti, bensì la funzionalità della giustizia.
Un esempio? Eccolo. E’ stato ribadito che
risponde del reato di concussione solo il pubblico ufficiale e non anche
l’incaricato di pubblico servizio. Soprattutto è stato ribadito che non
esiste più la figura del reato di “concussione per induzione”
(cosa che invece c’era prima della famigerata riforma Severino). Ebbene,
pure le pietre sanno che gli amministratori pubblici (politici e
funzionari che siano) non chiedono denaro puntando addosso alle loro
vittime una pistola o minacciandoli di incendiare la loro casa (come
invece avviene per il reato di estorsione da parte della criminalità
comune) ma semplicemente non dando seguito alla “pratica”
richiesta, frapponendo mille ostacoli burocratici, fischiettando e
girandosi dall’altra parte ad ogni istanza, facendo finta di non capire e
così via, fino a farsi “mettere letteralmente in mano il denaro” e farsi pure dire “grazie” per essersi “abbassati” ad accettarlo! Posso assicurare che tutta l’inchiesta “Mani Pulite”
a suo tempo realizzata dal Pool di Milano e le tante altre inchieste
simili che si sono svolte in tutta Italia si sono basate proprio sulla
contestazione del reato di concussione “per induzione” e non anche “per costrizione”,
forma, questa, pure prevista dal codice penale. Ma si sa come vanno le
cose nel nostro Paese: quando si scopre la malattia, invece di curare la
malattia si cura “il medico” ed infatti l’unica norma immediatamente operativa approvata ieri è stata l’inasprimento della responsabilità civile dei magistrati, con il risultato che – per paura di sbagliare – c’è il rischio che qualche magistrato si accontenti di fare da “passacarte” invece che rovistare ogni angolo delle notizie di reato che riceve.
Un altro esempio? Eccolo. Per poter mettere sotto intercettazione i corrotti e corruttori non basta che ci siano “sufficienti indizi di reato” come è previsto per i delitti di mafia ma rimane sempre necessario che ci siano “gravi indizi di reato”, come se i crimini commessi dai pubblici ufficiali facciano meno danni di quelli commessi dai mafiosi!
Un altro esempio ancora? Eccolo. Il cosiddetto Ministro Orlando ieri si è vantato di aver “portato a casa la nuova prescrizione”
(parole sue sparate a vanvera, giacchè, ripetesi, tutta la materia
penale è stata affrontata solo con generici disegni di legge che chissà
quando e chissà come vedranno la luce). In realtà, sono state previste
solo brevi interruzioni dei termini di prescrizione tra un grado e
l’altro del giudizio (primo grado, appello e cassazione). Invece (e lo
ripeto ancora una volta), pure le pietre sanno (e figurarsi se non lo
sanno i delinquenti) che l’unico modo per impedire che chi commette un
delitto debba pure e quasi sempre farla franca è quello di emanare una
norma che semplicemente dica: “dopo il decreto di rinvio a giudizio, la prescrizione si interrompe”.
In tal modo, chi deve rispondere dei suoi reati di fronte alla legge
deve necessariamente sottoporsi al processo. A questa proposta,
solitamente si obietta che – siccome ogni imputato ha diritto a
conoscere il suo destino giudiziario in un tempo ragionevole – se la
sentenza definitiva non arriva entro un certo termine, il processo non
deve farsi più. No, ogni processo può e deve farsi entro un termine ragionevole. Come? Come si fa in tutte le moderne democrazie occidentali dove è vigente il cosiddetto “sistema accusatorio”
(quello, cioè che consente ad accusa e difesa di potersi confrontare
alla pari durante il processo): eliminare il doppio giudizio di merito,
ovvero non più giudizio di primo grado e giudizio di appello, ma un solo
giudizio di merito e poi eventualmente il giudizio di legittimità
riservato alla Corte di Cassazione.
Ancora un altro esempio di cosa non è stato previsto nel tanto decantato pacchetto giustizia? Eccolo. Nulla è stato previsto in merito alla necessaria riformulazione del reato di voto di scambio di cui all’art. 416 ter codice penale,
furbescamente approvato (da tutti i partiti presenti in Parlamento, ad
eccezione del MoVimento 5 stelle) lo scorso 16 aprile di quest’anno con
la scusa di combattere meglio i “rapporti gelatinosi” fra
criminalità mafiosa e politica ma che, in realtà, si è rivelata essere
solo un altro modo per assicurare impunità a quei politici che – per
poter essere eletti – si affidano ai mafiosi per cercare i voti
necessari. Infatti, proprio in questi giorni la Cassazione ha dovuto riconoscere la non colpevolezza del cuffariano Antonello Antinoro
(detto, mister Preferenze) in quanto, pur essendosi egli incontrato un
paio di volte con il boss di Resuttana, ed avergli consegnato una busta
di 5.000 euro in cambio di voti per le elezioni regionali del 2008, il
nuovo articolo 416 ter rende penalmente irrilevanti tali comportamenti
qualora non si riesce a dimostrare (come nel caso di specie) che il
mafioso si sia impegnato a procurare i voti con la “forma di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà”.
Insomma, secondo l’attuale art. 416 ter del codice penale (che ieri non
è stato nemmeno preso in considerazione di cambiare) il mafioso che
chiede all’elettore Caio di votare il politico Sempronio ma lo fa non
minacciandolo esplicitamente bensì limitandosi a chiederglielo con un
sorrisino di circostanza, non commetterebbe alcun reato di voto di
scambio né lui né il politico che è stato favorito. Ma ve lo immaginate
voi, lo stato d’animo di quei poveri cristi di elettori che – trovandosi
in una ben determinata zona geografica ed in una chiara situazione
ambientale sfavorevole – si vedono venire incontro un mafioso che – mani
in tasca e cappello in testa – se la ride e gli chiede “il favore”
di un voto? Secondo voi, essi vivono tale richiesta come una banale
richiesta elettorale di questo o quel militante di partito o come un
diktat a cui “resistere non potest”?
Mi fermo qui, per oggi e per non tediare
oltremodo chi ha avuto la pazienza di leggermi finora ma – se mi sarà
data ancora la possibilità di intervenire – potrei segnalare altre
decine e decine di incongruenze di cui è infarcito il “pacchetto giustizia” presentato ieri in pompa magna dal Governo.
Per ora mi limito solo a prendere atto di una verità incontestabile: Berlusconi è sempre stato un abile venditore di fumo ma almeno nei suoi confronti vi è stata la possibilità di conoscere “l’altra versione dei fatti” grazie ad una parte degli organi di informazione che non si sono lasciati sedurre dalle sue promesse.
Con Renzi, invece, c’è un “appecoronamento”
generale (ad eccezione di qualche testata, di cui pure va dato atto)
che preoccupa soprattutto per la tenuta democratica del nostro paese. Ma
forse no: fino a quando abbiamo un Presidente del Consiglio che “gira con il gelato in mano” per reclamizzare il prodotto Italia, il nostro paese non si trova in una situazione drammatica ma solo ridicola!
Staremo a vedere!”
Antonio Di Pietro
Ma come si fa a non disciplinare in maniera più compiuta il reato di
concorso esterno in associazione mafiosa . Questo tipo di reato è stato
inventato, all’epoca, dai giudici Falcone e Borsellino per combattere
la criminalità organizzata ed è oggetto di una giurisprudenza molto
altalenante anche in Cassazione. Perché non disciplinarlo in maniera più
compiuta? Qualcuno ci spiega perché? Anche Lei Di Pietro.Antonio Di Pietro
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Trattativa@governo.it
da il Fatto Quotidiano del 30 agosto 2014
Parliamoci chiaro, senza tante pippe per il giustizialismo, il garantismo, la privacy e altri concetti molto seri che qui c’entrano come i cavoli a merenda. L’unico metro per misurare la carica di innovazione sbandierata da Renzi è quello della giustizia: qui, dopo vent’anni di inciuci che hanno prodotto oltre cento fra leggi e riforme, tutte regolarmente nella direzione di paralizzare i processi, agevolare le prescrizioni e salvare i colpevoli eccellenti, si parrà la sua nobilitate rottamatoria.
Il premier aveva cominciato bene, scegliendo il pm Gratteri come ministro della Giustizia. Poi Napolitano, imbalsamatore imbalsamato dell’Ancien Régime, gli ha depennato quel nome con una scusa patetica (i magistrati non possono fare i ministri della Giustizia, i delinquenti e i loro compari invece sì). E Renzi s’è subito genuflesso, nominando il povero Orlando.
Risultato: in sei mesi abbiamo avuto la legge svuotacarceri (la terza
in tre anni, quella che lascia liberi tutti gli spacciatori e non solo
quelli), la riforma del voto di scambio politico-mafioso (che
l’altroieri ha regalato a un politico siciliano Udc l’annullamento della
sua condanna a 6 anni per aver comprato voti da un boss) e ieri la
rivoluzionaria, epocale Riforma della Giustizia. Ricordate la conferenza
stampa di fine luglio, con le 12 linee guida, le slide sberluccicanti e
l’invito del premier “Scriveteci le vostre idee a
rivoluzione@governo.it”?
Ecco, devono avergli scritto B., Verdini, Dell’Utri, Alfano e Schifani.
Infatti ieri il premier col gelato ha annunciato un bavaglino sulle intercettazioni per avvocati, giornalisti e cittadini. Quanto alla prescrizione, che falcidia dai 100-150 mila processi all’anno e l’Europa ci chiede di bloccare al momento del rinvio a giudizio come in tutti i paesi civili, è tutto un faremo, vedremo, delegheremo: zero assoluto. Così come su falso in bilancio, frode fiscale, autoriciclaggio e anticorruzione. Dare la colpa a Berlusconi o Alfano è giusto, ma riduttivo: Renzi, quando vuole, fa come gli pare (ne sanno qualcosa i suoi ministri, Giannini in primis). La boiata di ieri porta dunque il suo nome e la sua responsabilità. Diciamola tutta, allora, fuori dai denti: la rottamazione, la rivoluzione, l’innovazione sono annunci vuoti, promesse vane, parole al vento. Il bulletto di Rignano s’è messo prontamente a cuccia e protegge come i suoi predecessori una classe dirigente che campa sulle prescrizioni (senza, sarebbe decimata dalle retate), sugli scambi e le trattative con le mafie, sui bilanci falsi, sulle frodi fiscali e sulla speranza di non essere intercettata (o, nel caso lo fosse, almeno di non finire sputtanata sui giornali). Una riforma della giustizia che non limiti le intercettazioni e la loro conoscibilità, non intimidisca i magistrati, ma anzi li aiuti a scoprire corruzioni, voti di scambio, falsi in bilancio e frodi fiscali sarebbe cannibalismo puro. Renzi ha fatto la sua scelta, premeditata. Non ha ceduto a un diktat di B. o di Alfano. Continua a fare accordi con B. e Alfano perché la pensa come loro. È ora di prenderne atto, onde evitare future sorprese, delusioni e prese in giro. Ricordate il nuovo reato di voto di scambio (416 ter Codice penale) approvato in Senato il 16 aprile dopo tre passaggi parlamentari? È la prova della premeditazione. Mentre il Fatto, alcuni magistrati (Di Matteo, Gratteri, Ingroia) e i 5Stelle gridavano al colpo di spugna o almeno al pastrocchio, lorsignori (politici di ogni colore, ma anche purtroppo i pm Cantone e Roberti) giuravano che la riforma era perfetta o almeno molto migliore della precedente. In apparenza era così, visto che finalmente puniva il politico e il mafioso che scambiano voti o promesse di voti non solo per denaro, ma anche per “altre utilità” (appalti, assunzioni, favori). In realtà riduceva le pene, che prima andavano da 7 a 12 anni e ora vanno da 4 a 10. E – come subito avvertì il Massimario della Cassazione – era scritta apposta per risultare inapplicabile e mandare assolti i colpevoli. È il Renzi-style: pacchetti ben infiocchettati e, dentro, il nulla o il peggio. Vediamo come e perché.
1) Nel primo passaggio al Senato, su impulso dei 5Stelle, il Pd aveva accettato di inserire fra le altre utilità promesse dal politico al mafioso in cambio di voti la “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione”. Poi però quella frase fu cancellata. Dunque se il politico promette al mafioso di mettersi a disposizione della sua cosca in cambio di voti, è molto improbabile che commetta reato.
2) Perché il voto di scambio sia reato non basta che il politico accetti la promessa di voti dal mafioso: grazie a un altro codicillo appositamente aggiunto in extremis al testo base della riforma, bisogna pure dimostrare che il mafioso si è impegnato a procurarglieli “mediante le modalità di cui al 3° comma dell’art. 416bis”, cioè con “la forma di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà”. Se invece il mafioso chiede i voti gentilmente, o non si riesce a dimostrare che abbia promesso di chiederli con minacce, l’accordo col politico non è reato.
È questa la scappatoia che ha salvato l’Udc Antonello Antinoro, Mister Preferenze di scuola cuffariana: incontrò due volte il boss di Resuttana, gli consegnò una busta di 5 mila euro in cambio di voti per le Regionali 2008, un picciotto chiamò il suo cellulare il giorno prima delle elezioni per comunicare che “tutte le cose stanno andando nel modo migliore” e l’indomani l’“onorevole” fu eletto con 25 mila preferenze. Però, scrive la Cassazione, il “nuovo articolo 416 ter” rende “penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato... il concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso”: “ai fini della punibilità, deve esservi stata piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di avere concluso uno scambio politico-elettorale implicanti l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”. Chi ha infilato quella frasetta nella legge ne conosceva benissimo gli effetti impunitari. Noi, e non solo noi, l’avevamo scritto e detto per tempo, non solo sul Fatto (sul sito di Servizio Pubblico c’è un dibattito fra il sottoscritto e la sempre ignara Picierno, a imperitura memoria). Dunque non fu un errore o una svista: fu un delitto legislativo premeditato per salvare chi, in certe zone d’Italia (e non solo al Sud), non sa come prendere voti se non comprandoli dalle mafie.
La trattativa Stato-mafia è un format inossidabile, che sopravvive a ogni rottamazione vera o presunta. Sarebbe ora di depositarlo alla Siae: scriveteci le vostre idee su trattativa@governo.it. (Marco Travaglio)
Ecco, devono avergli scritto B., Verdini, Dell’Utri, Alfano e Schifani.
Infatti ieri il premier col gelato ha annunciato un bavaglino sulle intercettazioni per avvocati, giornalisti e cittadini. Quanto alla prescrizione, che falcidia dai 100-150 mila processi all’anno e l’Europa ci chiede di bloccare al momento del rinvio a giudizio come in tutti i paesi civili, è tutto un faremo, vedremo, delegheremo: zero assoluto. Così come su falso in bilancio, frode fiscale, autoriciclaggio e anticorruzione. Dare la colpa a Berlusconi o Alfano è giusto, ma riduttivo: Renzi, quando vuole, fa come gli pare (ne sanno qualcosa i suoi ministri, Giannini in primis). La boiata di ieri porta dunque il suo nome e la sua responsabilità. Diciamola tutta, allora, fuori dai denti: la rottamazione, la rivoluzione, l’innovazione sono annunci vuoti, promesse vane, parole al vento. Il bulletto di Rignano s’è messo prontamente a cuccia e protegge come i suoi predecessori una classe dirigente che campa sulle prescrizioni (senza, sarebbe decimata dalle retate), sugli scambi e le trattative con le mafie, sui bilanci falsi, sulle frodi fiscali e sulla speranza di non essere intercettata (o, nel caso lo fosse, almeno di non finire sputtanata sui giornali). Una riforma della giustizia che non limiti le intercettazioni e la loro conoscibilità, non intimidisca i magistrati, ma anzi li aiuti a scoprire corruzioni, voti di scambio, falsi in bilancio e frodi fiscali sarebbe cannibalismo puro. Renzi ha fatto la sua scelta, premeditata. Non ha ceduto a un diktat di B. o di Alfano. Continua a fare accordi con B. e Alfano perché la pensa come loro. È ora di prenderne atto, onde evitare future sorprese, delusioni e prese in giro. Ricordate il nuovo reato di voto di scambio (416 ter Codice penale) approvato in Senato il 16 aprile dopo tre passaggi parlamentari? È la prova della premeditazione. Mentre il Fatto, alcuni magistrati (Di Matteo, Gratteri, Ingroia) e i 5Stelle gridavano al colpo di spugna o almeno al pastrocchio, lorsignori (politici di ogni colore, ma anche purtroppo i pm Cantone e Roberti) giuravano che la riforma era perfetta o almeno molto migliore della precedente. In apparenza era così, visto che finalmente puniva il politico e il mafioso che scambiano voti o promesse di voti non solo per denaro, ma anche per “altre utilità” (appalti, assunzioni, favori). In realtà riduceva le pene, che prima andavano da 7 a 12 anni e ora vanno da 4 a 10. E – come subito avvertì il Massimario della Cassazione – era scritta apposta per risultare inapplicabile e mandare assolti i colpevoli. È il Renzi-style: pacchetti ben infiocchettati e, dentro, il nulla o il peggio. Vediamo come e perché.
1) Nel primo passaggio al Senato, su impulso dei 5Stelle, il Pd aveva accettato di inserire fra le altre utilità promesse dal politico al mafioso in cambio di voti la “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione”. Poi però quella frase fu cancellata. Dunque se il politico promette al mafioso di mettersi a disposizione della sua cosca in cambio di voti, è molto improbabile che commetta reato.
2) Perché il voto di scambio sia reato non basta che il politico accetti la promessa di voti dal mafioso: grazie a un altro codicillo appositamente aggiunto in extremis al testo base della riforma, bisogna pure dimostrare che il mafioso si è impegnato a procurarglieli “mediante le modalità di cui al 3° comma dell’art. 416bis”, cioè con “la forma di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà”. Se invece il mafioso chiede i voti gentilmente, o non si riesce a dimostrare che abbia promesso di chiederli con minacce, l’accordo col politico non è reato.
È questa la scappatoia che ha salvato l’Udc Antonello Antinoro, Mister Preferenze di scuola cuffariana: incontrò due volte il boss di Resuttana, gli consegnò una busta di 5 mila euro in cambio di voti per le Regionali 2008, un picciotto chiamò il suo cellulare il giorno prima delle elezioni per comunicare che “tutte le cose stanno andando nel modo migliore” e l’indomani l’“onorevole” fu eletto con 25 mila preferenze. Però, scrive la Cassazione, il “nuovo articolo 416 ter” rende “penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato... il concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso”: “ai fini della punibilità, deve esservi stata piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di avere concluso uno scambio politico-elettorale implicanti l’impiego da parte del sodalizio mafioso della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori”. Chi ha infilato quella frasetta nella legge ne conosceva benissimo gli effetti impunitari. Noi, e non solo noi, l’avevamo scritto e detto per tempo, non solo sul Fatto (sul sito di Servizio Pubblico c’è un dibattito fra il sottoscritto e la sempre ignara Picierno, a imperitura memoria). Dunque non fu un errore o una svista: fu un delitto legislativo premeditato per salvare chi, in certe zone d’Italia (e non solo al Sud), non sa come prendere voti se non comprandoli dalle mafie.
La trattativa Stato-mafia è un format inossidabile, che sopravvive a ogni rottamazione vera o presunta. Sarebbe ora di depositarlo alla Siae: scriveteci le vostre idee su trattativa@governo.it. (Marco Travaglio)
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