La forza di Grillo era Grillo stesso. Grillo non ha un pensiero
politico, ha solo rabbia e capacità di esprimerla in modo convincente a
chi non capisce né la politica né l'economia. Questa, però, è anche la
sua debolezza: non appena viene condizionato qua e là da interessi
politici che i suoi stringono nelle istituzioni, Grillo smette di essere
Grillo. Viene mitigato, contaminato, manipolato, e prima o poi qualcuno
si renderà conto che è proprio un ottimo megafono ma che non
necessariamente debba essere lui a pensare quel che dice.
Insomma, finiranno per usarlo come frontman.
Era lo stesso rischio che avrebbe corso Berlusconi se non si fosse lanciato in politica in prima persona. Si può manipolare dietro le quinte fino ad un certo punto, ma un movimento è pieno di gente ambiziosa che sfrutterà il potere per affiancare e poi mandare via il leader. E' nell'ordine naturale delle cose, perché mai Grillo dovrebbe esserne esente?
Insomma, finiranno per usarlo come frontman.
Era lo stesso rischio che avrebbe corso Berlusconi se non si fosse lanciato in politica in prima persona. Si può manipolare dietro le quinte fino ad un certo punto, ma un movimento è pieno di gente ambiziosa che sfrutterà il potere per affiancare e poi mandare via il leader. E' nell'ordine naturale delle cose, perché mai Grillo dovrebbe esserne esente?
È del 15 giugno la notizia che Beppe Grillo avrebbe bussato alla porta del Partito Democratico,
autoinvitandosi all’orgia di polemiche e idee geniali che stanno
segnando la discussione sulle riforme istituzionali. Grillo, da bravo
egocentrico, ha tentato di giustificare la svolta come una gentile
concessione che il Movimento 5 Stelle fa al PD per onorare quella sorta di legittimazione popolare che Matteo Renzi
avrebbe ottenuto alle ultime elezioni europee. Sí, proprio lo stesso
Movimento che aveva parlato di brogli e congiure dietro i risultati
delle europee ora ne accetta il risultato, e anzi è disposto a
cambiar politica sulla base di ciò. Sul suo blog, Grillo scrive: «Renzi è
stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti
della direzione del PD. Quindi qualcosa, anzi molto, è cambiato». Poi
fa un passo indietro, resta sulle sue, come un ospite timido e un po’
presuntuoso che pretende d’essere cercato dal padrone di casa anziché
andare a porgergli per primo i propri omaggi: «Renzi batta un colpo. Il M5S
risponderà». Insomma, Grillo ha un po’ pasticciato: ha teso la mano,
poi l’ha ritirata, e infine è rimasto in attesa, perché il M5S non
rincorre i politici per ottenere favori, bensí viene rincorso in virtú del numero di voti che rappresenta. Secondo Grillo.
La verità è un’altra, però. Come ogni partito nato dal populismo, il M5S ha attraversato tre fasi ben precise, ed è giunto, con questa svolta, alla sua fase terminale: quella di partito identico a tutti gli altri.
E non è colpa dei suoi esponenti, di Grillo, degl’italiani che non
l’hanno votato, o di Casaleggio. Semplicemente, Grillo ignorava una
regola: masse di persone sottoposte ai medesimi stimoli tenderanno ad avere anche i medesimi comportamenti in risposta. I singoli, magari, agiranno in modo diverso l’uno dall’altro; ma l’intera massa andrà in una direzione ben precisa. È su questa regola ch’è stato possibile costruire il mantra «La storia
si ripete»: essa non è che lo studio delle reazioni che determinati
gruppi umani ebbero a determinati stimoli; stimoli simili produssero
reazioni simili, e di qui la sensazione che la storia sia una ciclica
ripetizione d’eventi. Il M5S, dunque, non ha fatto altro che inserirsi
in un meccanismo che avrebbe inevitabilmente portato alla ripetizione della storia di qualunque altro movimento o partito che abbia fatto le stesse scelte.
La prima fase del M5S è stata la fase «fuori dal sistema». Il partito nasceva raccogliendo rabbia e disagio sociale con la guida d’un leader che ostentava sentimenti e stati d’animo analoghi a quelli degli elettori che intendeva conquistare, esattamente come hanno fatto decine o centinaia d’altri partiti nella storia dell’umanità. Il M5S non era nulla di nuovo, ma — in questa prima fase — poteva ancora diventare un «mutatore»:
un fattore capace di determinare un cambiamento in un processo ciclico.
La storia è ricca di mutatori — tantoché possono essere considerati
essi stessi una regola, se il periodo di riferimento è molto ampio. In
un breve periodo, invece, i mutatori appaiono come eccezioni; e chi credeva nel M5S aveva tutte le ragioni per sperare ch’esso potesse cambiar le cose.
La particolarità di questa prima fase era la possibilità del M5S d’agire come contropotere di Stato e
partiti. Ciò era possibile perché il M5S non era tenuto a rispettare
regolamenti parlamentari, dinamiche politiche o registri linguistici
propri di quel sistema ch’esso criticava. Il M5S poteva costruire esso stesso le nuove regole del gioco,
facendo leva sul grande consenso popolare che stava conquistando e che
era visibile a tutti nelle piazze. Non erano necessarie le elezioni
politiche, per capire che il M5S aveva raggiunto le dimensioni dei
partiti che allora rappresentavano i due poli.
Il declino dell’utilità del M5S s’è avuto a partire dalla seconda fase: quella di transizione. È stata la fase segnata dalle elezioni politiche del 2013,
ed è stata la fase di svolta. Con la decisione di candidarsi e di
giocare in politica con le regole stabilite dai veterani, Grillo ha
lentamente condotto il M5S al macello. Tuttavia, questa fase apparve ai
sostenitori come la fase d’oro del partito — quella in cui esso aveva ottenuto il maggior numero di consensi. In realtà, esso ebbe soltanto un riscontro numerico di tutti i sostenitori che aveva già conquistato nella prima fase, e gli parve un risultato memorabile, oltreché un successo vero e proprio.
E questo ci porta alla terza fase, quella attuale. La fase «interna al sistema», segnata proprio dall’apertura di Grillo al PD. Grillo s’è reso conto che il M5S non può ottenere alcun risultato se gioca con le stesse regole di tutti gli altri,
perché il sistema è costruito appositamente per non permettere il
conseguimento degli obiettivi del singolo partito. E se n’è reso conto
quando tutto ciò che poteva sbandierare era qualche foto di parlamentari
addormentati, qualch’emendamento da nulla, qualche dimissione, e
null’altro. Ma il M5S non doveva cambiar le cose? Non doveva mandarli
tutti a casa, svellere il crimine dalle istituzioni, epurare il
Parlamento, dar voce alla gente? Avrebbe potuto farlo operando fuori dal
sistema, ma — una volta entrato — esso è stato trasformato: agendo
all’interno cosí come aveva agito fuori, non otteneva altro che d’essere
in minoranza alle Camere. Di conseguenza, tutto ciò ch’esso s’era
prefissato restava un mero orizzonte verso cui tendere, non obiettivi
concreti da raggiungere.
Grillo ne ha avuto la prova definitiva quando PD e PdL
hanno organizzato il festino per banchettare con la Costituzione e non
hanno invitato il M5S, perché in netta minoranza. PD e PdL possono avere
una maggioranza qualificata nel Parlamento, cioè dei 2/3, e approvare
qualunque legge costituzionale anche senza l’appoggio del M5S. Che cosa
fa, dunque, il M5S? S’omologa al comportamento degli altri
partiti. Grillo va in televisione come tutti gli altri, modera il
linguaggio come tutti gli altri, parla come una vittima, sostiene — come
Berlusconi — che, se avesse la maggioranza assoluta, potrebbe
fare tutto quanto è necessario al Paese (ma dài?) e, infine, s’abbassa a
trattare con coloro che ha piú volte definito criminali. È stata
una mossa necessaria, purtroppo, poiché il M5S deve dare prova
d’esserci (ancora) e di poter influenzare gli eventi piú grandi della
politica. Sono i colpi di coda d’un Movimento che ormai ha perso il suo
carattere di protesta. In sostanza, è la resa del Movimento 5 Stelle. Il suo fallimento.
Morale della favola: il M5S continuerà a definirsi «partito del cambiamento», ma le elezioni europee gli hanno dato già un primo segnale di pericolo.
Gli elettori si sono accorti d’avere preso un abbaglio, e sono tornati
alla base, cioè dai partiti che finora hanno almeno permesso loro d’ottenere favori da esponenti locali. Il M5S non avrà nulla di diverso da tutti gli altri partiti,
continuerà a far emendamenti che nessuno approverà, di tanto in tanto
ne proporrà di passabili e sbandiererà l’evento come una vittoria
epocale, ma in fin dei conti non risolverà nulla, esattamente come tutti gli altri.
Si può già prevedere una quarta fase. Quando Grillo perderà il suo ascendente — perché Grillo perderà il
suo ascendente —, il M5S si smembrerà e darà vita a piú movimenti
interni, trasformandosi in una sorta di federazione di movimenti minori.
Dopodiché, quando ogni movimento interno pretenderà di rappresentare
l’ortodossia, essi entreranno in aperta lotta tra loro e finiranno per
scindersi totalmente, segnando la fine del M5S.
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