Indipendentemente
dalla sentenza dell’Utri, esaminiamo, in generale, tale dibattuta
tipologia di reato. In ordine alla controversa interpretazione
giurisprudenziale del reato di concorso esterno in associazione mafiosa,
la Cassazione ha stabilito che «ai fini della configurabilità del
concorso esterno, occorre che il dolo investa sia il fatto tipico
oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale
recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento
dell’associazione, agendo il soggetto, nella consapevolezza di recare un
contributo alla sua realizzazione, anche parziale, del programma
criminoso del sodalizio» .
In altre
parole afferma ancora la Cassazione, va dimostrato il «il doppio
coefficiente psicologico», ossia quello che deve investire ai fini del
reato, «il comportamento dell’agente e la natura di esso come contributo causale al rafforzamento dell’associazione».
Qui la sentenza n. 15727 del 24 aprile 2012 della Cassazione sul caso dell’Utri.
Pertanto,
per la concretizzazione del concorso esterno in associazione mafiosa,
risulta basilare l’elemento soggettivo, ossia la consapevolezza e la
volontà del soggetto di concorrere insieme ad altri alla realizzazione
di un reato e la certezza che tale aiuto venga offerto in favore di una
associazione di tipo mafioso.
L’art. 1 del
Codice penale testualmente recita: “Nessuno può essere punito per un
fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con
pene che non siano da essa stabilite.” La norma recepisce nel sistema
normativo penale il c.d. principio di legalità formale (nullum
poena nullum crimen sine lege) secondo cui reato è solo ciò che è
previsto come tale dalla legge. E’ un principio di carattere generale,
sancito nell’art. 25, comma 2, della Nostra Costituzione, in virtù del
quale: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso».
La stessa
Suprema Corte, ad esempio, nel processo Dell’Utri ha avuto due
pronunciamenti – se non vado errato – un po’ dissimili tra di loro. La
prima volta ha rinviato il processo alla Corte di appello di Palermo,
dichiarando inammissibile il ricorso del Procuratore Generale presso la
Corte di Appello di Palermo (2012) ed annullando la sentenza impugnata
nel capo relativo al reato del quale l’imputato è stato dichiarato
colpevole, mandando, per il nuovo giudizio su di esso, ad altra sezione
della Corte di Appello di Palermo”
La seconda
volta, invece, ha accolto la sentenza resa dalla Corte di appello di
Palermo confermando la condanna dello stesso Dell’Utri a 7 anni per
concorso esterno in associazione mafiosa. (2014).
Noi
riteniamo che, sul punto, occorra fare chiarezza una buona volta per
sempre ed abbandonare questa giurisprudenza altalenante della Suprema
Corte intervenendo legislativamente in Parlamento per colmare questo
vuoto normativo dal momento che questo tipo di reato, purtroppo, è
ricorrente nel Nostro Paese. Una volta fissati dei paletti chiari in una
disposizione di legge lo stesso reato potrà avere ingresso nel C.P.
senza incertezze di sorta.
L’occasione è
utile per rivolgere un appello, da questo modestissimo Blog, al Governo
Renzi – proprio ora che sta mettendo le mani per riformare la giustizia
– a volgere lo sguardo verso una più compiuta disciplina di questa
figura di reato, inventato, all’epoca, dai giudici Falcone e Borsellino
per combattere la criminalità organizzata.
Assieme al falso in bilancio e all'autoriciclaggio
diamo ingresso anche al reato di concorso esterno in associazione
mafiosa. Gli Italiani ringraziano! Noi pure!
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