"Auschwitz comincia quando di fronte a un
mattatoio pensiamo che sono solo animali".
La storia dell’oppressione animale
è di lunga data, ma la relazione dei vari gruppi umani con gli altri animali è
in continua evoluzione. Non è affatto statica come si vorrebbe far credere. Di
certo, la violenza ha assunto scala industriale e un’organizzazione scientifica
del dominio sui corpi e sulle vite delle vittime di questo sistema. Si calcola
che ogni anno vengano «allevati» (agli animali definiti da allevamento sono
negate tutte le attività vitali) o catturati e uccisi, per l’alimentazione
umana, circa 50 miliardi di individui. Tutto avviene, almeno nei paesi
occidentali, nell’indifferenza generale: gli animali sono ridotti ad oggetti, la
vita è mercificata.
Per questo dobbiamo avere il coraggio di ripensare i nostri
rapporti con gli altri ospiti della Terra: gli animali e le piante. Una via
d’uscita è possibile a passa attraverso una nuova e più estesa nozione di
libertà e di rispetto per l’altro, attraverso un’idea di giustizia che includa
tutto il vivente. Nello sguardo infelice degli animali che torturiamo dovremmo
imparare a scorgere la sofferenza di tutti gli oppressi, umani e non. Di questo
parliamo, quando pensiamo a una società cruelty
free.
Nel mondo dell’animalismo, circolano
numerose frasi di filosofi, pensatori, scrittori a proposito degli animali, dei
soprusi che subiscono, del rispetto che meriterebbero. Si tratta di personaggi
importanti, autori di opere o scoperte fondamenti. Penso a Leonardo da Vinci e
Pitagora, ad Albert Einstein, Emile Zola e molti altri. I pensieri più
importanti, più acuti, quelli che aprono maggiori prospettive, legano la sorte
inflitta agli animali a una prospettiva di liberazione per tutti, animali umani
e non umani, in una logica di rispetto per la vita e la dignità di tutti i
viventi. due esempi per tutti: Theodor Adorno e Marguerite Yourcenar. Il
filosofo tedesco diceva: Auschwitz comincia quando di fronte a un mattatoio
pensiamo: sono solo animali. Secondo la scrittrice francese: Ci sarebbero meno
bambini martiri se ci fossero men o animali torturati, meno vagoni piombati che
trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto
l’abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senz’acqua dirette
al macello.
Sono parole importanti, spunti di
riflessione che non possono essere eluse da chi si batte, con i propri mezzi,
nel proprio ambito, quale che sia, per un ideale di giustizia e di
uguaglianza.
La citazione che io preferisco e che voglio
usare come punto di partenza per il mio intervento è tuttavia un’altra e ci
porta a un letterato, Isaac Bashevis Singer, grande scrittore ebreo che fu
premio nobel per la letteratura nel 1978. Singer – da non confondere con il
Singer, Peter, autore di Liberazione animale – diceva che i diritti animali sono
la forma più pura di difesa della giustizia sociale, perché gli animali sono i
più vulnerabili di tutti gli oppressi.
La mia esperienza di cittadino e di
attivista è maturata nel corso degli anni, è partita dalla nonviolenza e si è
manifestata nel corso del tempo in varie forme: l’obiezione di coscienza al
servizio militare, la scelta vegetariana e poi vegana, la difesa dei diritti
umani e delle libertà civili e negli ultimi anni, appunto, l’impegno anche per
la giustizia nei confronti degli animali non umani. Anche, e non in alternativa
ai diritti umani.
Gandhi, Capitini,
Tolstoj
Un tempo anch’io, come tanti, pensavo che i
diritti umani fossero una cosa e i diritti animali o come vogliamo chiamare
l’impegno per la tutela della loro dignità, fosse un’altra cosa. Due mondi
destinati a correre separati. Col tempo mi sono convinto che si tratta in realtà
di due aspetti di una stessa lotta contro l’ingiustizia, proprio come diceva
Isaac singer. E come dicevano, del resto, Adorno e Yourcenar nelle due frasi che
ho citato poco fa, e tanti altri con loro, da Gandhi ad Aldo Capitini, da Max
Horckheimer e Lev Tostoj quando ci ricordava che Dall’uccidere gli animali
all’uccidere gli uomini il passo è piccolo.
La storia dell’oppressione animale è di
lunga data, anche se non ha sempre accompagnato la storia dell’umanità: possiamo
farla risalire alla rivoluzione neolitica, alla sedentarizzazione dei nostri
antenati e alla domesticazione di alcune specie animali. Le relazioni dei vari
gruppi umani con gli altri animali sono state e continuano ad essere molto
varie, a seconda delle epoche storiche, dei diversi sviluppi culturali,
filosofici e religiosi. E’ una relazione in continua evoluzione. Non è affatto
statica come si vorrebbe far credere.
Possiamo però dire che l’epoca attuale è la
più tragica, la più dolorosa, la peggiore per la quantità e il tipo di
sofferenza inflitta agli animali non umani. La violenza e l’oppressione hanno
assunto scala industriale e un’organizzazione scientifica del dominio sui corpi
e sulle vite delle vittime di questo sistema. Si calcola che ogni anno vengano
allevati o catturati e uccisi, per l’alimentazione umana, circa 50 miliardi di
individui. La filiera di produzione del cibo ha oggi caratteristiche
totalitarie: agli animali destinati a diventare alimenti sono inflitte
condizione di vita impossibili, verrebbe da dire condizioni disumane, ma il
professor Lombardi Vallauri ci ha insegnato a definire queste vessazioni come
“troppo umane”, per indicare un’assuefazione alla violenza che &egra ve; un
tratto tipico delle società industriali contemporanee.
Agli animali definiti da allevamento sono
negate tutte le attività vitali. Negli allevamenti non esistono rapporti
sessuali – la riproduzione avviene esclusivamente con reiterate inseminazioni
artificiali, ripetute fino alla consunzione delle femmine, che vengono scartate
e soppresse una volta scese al di sotto di certi indici di produttività come
fattrici. L’alimentazione è forzata e non ha più nulla a che vedere con le
inclinazioni fisiologiche: gli erbivori non sono nutriti con l’erba, ma con
cereali a volte addirittura con farine animali, al fine di farli crescere e
ingrassare più in fretta. L’uso di antibiotici e altri medicinali non è
un’eccezione e nemmeno una possibilità, bensì una regola, una necessità, per
mantenere “sani” – si fa naturalm ente per dire – animali costretti a vivere in
ambienti sovraffollati, innaturali, autentici luoghi di
tortura.
La vita è
mercificata
Tutto questo avviene con un’organizzazione
implacabile: si è creata, nell’indifferenza generale, una gigantesca macchina di
nascite forzate e soppressioni di massa. Gli animali sono ridotti ad oggetti, la
vita è mercificata.
Il messaggio che ci arriva dalla società
industriale, dal suo apparato culturale e di comunicazione, è che tutto ciò non
costituisce un problema, che questa è la sorte degli animali, che le necessità
degli uomini, o meglio dei consumatori, devono essere soddisfatte ad ogni costo
ed anzi vanno stimolate, moltiplicando i consumi di carni, latte, derivati
animali. E la megamacchina che dicevo è il modo più rapido ed efficiente per
raggiungere questo scopo.
In questo modo stiamo disprezzando la vita,
stiamo privando della loro dignità esseri senzienti, perfettamente coscienti di
quel che viene loro inflitto. L’osservazione di Adorno – Auschwitz comincia
quando di fronte a un mattatoio pensiamo che sono solo animali – è un pensiero
che sconvolge e che si ha la tentazione di respingere, di rifiutare di fronte
all’orrore assoluto della shoah. Ma sono stati proprio pensatori, scrittori,
filosofi ebrei, e anche molti scampati ai campi di sterminio, a proporci questo
accostamento. E sono stati gli storici a mostrare l’affinità, o meglio il filo
diretto che lega i mattatoi di Chicago, dove fu inventata la catena di
smontaggio degli animali – da un lato entravano i treni carichi di animali vivi,
dall’altro uscivano i treni carichi di scatolette e quarti di bue -, alla catena
di montaggio della moderna fabbrica industriale – Henry Ford si ispirò proprio
ai mattatoi di Chicago per la sua prima fabbrica di automobili – e dalla
fabbrica fordista ai campi di sterminio nazisti. Basta accostare le fotografie
di queste tre diverse strutture per coglierne le grandi somiglianze, anche
architettoniche e di organizzazione interna (e del resto Hanry Ford fu un
autentico trait d’unione, da orribile antisemita qual era e da industriale molto
ammirato da Adolf Hitler, che lo cita nel suo Mein Kampf).
Un vero
dominio
Se osserviamo la sorte inflitta nel corso
della storia agli animali non umani, e ci soffermiamo in particolare su come
vengono trattati oggi nella società contemporanea, vediamo scorrere in filigrana
la storia sempre più dura e sempre più crudele di un dominio. Gli animali, come
ci diceva Bashevis Singer, sono i più indifesi fra gli oppressi. Vengono
trattati così non perché siano predisposti all’oppressione e allo sterminio, non
perché siano creature “naturalmente” a disposizione dell’animale umano, ma per
un semplice rapporto di forza: vengono trattati così, perché è possibile
trattarli così.
E’ ciò che hanno sperimentato nella storia,
e tuttora sperimentano, innumerevoli gruppi umani, oppressi di volta in volta
con motivazioni culturali o politiche o sociali, ossia per le differenze di
lingua, di credo religioso, di origine geografica; o per mera convenienza
all’interno di relazioni di potere in famiglia, sul posto di lavoro, nella
società.
L’oppressione degli animali ha una grande
legittimazione ideologica, viviamo nella società che è stata chiamata del
“carnismo”: una società nella quale viene vissuto come ovvio e scontato lo
sterminio sistematico degli animali non umani. Ma la mercificazione della vita è
un tratto universale di questa società e riguarda gli animali umani e tutto il
vivente. Viviamo nella società che sta percorrendo di gran carriera la strada
dell’autodistruzione: siamo minacciati dalla bomba atomica, dal cambiamento
climatico, dalla privatizzazione di risorse vitali come l’acqua e l’aria. In
questa folle corse vengono triturati e strumentalizzati anche gli ideali più
alti: la bandiera dei diritti umani è alzata sistematicamente, nella nostra
parte di mondo, per giustificare azioni di guerra e occupazioni
militari.
Oggi dobbiamo ripensare la posizione
dell’umanità sul pianeta. I suoi rapporti con gli altri ospiti della Terra: gli
animali e le piante. Dobbiamo pensare a un futuro comune, a un radicale cambio
di rotta rispetto alla strada sulla quale tutti noi ci troviamo a camminare. Una
via d’uscita è possibile a passa attraverso una nuova e più estesa nozione di
libertà e di rispetto per l’altro, attraverso un’idea di giustizia che includa
tutto il vivente. Perciò la questione animale è anche la questione dei diritti
umani, del diritto alla vita, del diritto al futuro.
Nello sguardo infelice degli animali che
torturiamo dovremmo imparare a scorgere la sofferenza di tutti, nella lotta per
liberarli una lotta per la liberazione di tutti gli oppressi, umani e non umani.
Di questo parliamo, quando pensiamo a una società cruelty
free.
Intervento durante il Premio Sganga, Terra
futura 2013 (Firenze, 18 maggio). Fonte:
http://lorenzoguadagnucci.wordpress.com/.
Letture consigliaiate:
Riusciamo a sopportare la schiavitù degli «animali umani», chi volete che si preoccupi per quella di un vitello che non vota, non fa nulla per liberarsi e nemmeno riesce a protestare?
Come possano esserci così pochi vegetariani? È un mistero. La forza dell’abitudine, la scarsa sensibilità del pubblico in generale rispetto alla sofferenza degli animali, la poco radicata coscienza ecologica, la mancanza di voglia di cucinare, il gusto di divorare cadaveri, “carne cara data vermis”, carne cara data ai vermi, “ca -da-ver”, sarà che ci piace moltissimo comportarci come i vermi, e in più divorare animali torturati.
Indignarsi per la fame nel mondo o per le corride, per il consumo della carne di cane in Corea o per la strage di cuccioli di foca in Canada, e non visitare mai un macello o non conoscere le condizioni del bestiame nelle stalle e non sapere quello che le bestie mangiano…e poi continuare comunque a mangiare carne, è qualcosa che non quadra. Non possiamo vedere soffrire gli animali fino al punto da voltarci da un’altra parte. Ci fanno pena, poverini, così li mangiamo.
La verità è che le testimonianze che forniamo a proposito della sofferenza degli animali non umani sono risibili. Gli studiosi delle specie, come tutti i razzisti, guardano da un’altra parte, mostrano la loro faccia solo quando il problema li tocca da vicino. Allora cominciano a parlare di filiere, a chiedersi se anche i pesci soffrono e cose simili. Per portare gli ascoltatori divertiti dalla loro parte. Non parlano assolutamente delle condizioni delle aziende produttrici di uova e latte industrializzati. Vogliono vivere tranquilli. Ci mancherebbe altro!
Il boicottaggio generalizzato dei prodotti alimentari di origine animale aggraverebbe la crisi, potrebbe addirittura far scoppiare la rivoluzione. Tenere un cane da compagnia diminuisce la pressione, mangiare un vitello di allevamento la fa salire. Sono cose compatibili. G.B. Shaw disse che al suo funerale dovevano essere presenti agnelli, mucche e vitelli, maiali e polli, e poi un intero branco di pesci, in segno di gratitudine per non averli mangiati. G.B. Shaw chiaramente scherzava, comunque era vegetariano.
Lo spreco non è solo questione di immoralità, ma anche di altre cose. 100 grammi di carne di bue hanno bisogno di 500 grammi di cereali, 2000 litri di acqua, un litro di benzina e il consumo di 3 chili e mezzo di terra arabile. D’altra parte, prestare attenzione alla quantità di metano, purina e merda che viene prodotta è, oltretutto, di cattivo gusto. Meglio non saperlo.
Non abbiamo abbastanza altruismo per liberare gli “animali umani” schiavizzati, quindi chiedere la liberazione animale è come chiedere la luna. Gli animali non umani non possono chiedere la propria liberazione, né indignarsi, né protestare, non possono votare, né fare sciopero. Le cose stanno prendendo una brutta piega: continuare a torturare gli animali non ci sembra del tutto un male, allo stesso modo torturare “ animali umani” non ci scandalizza come dovrebbe. Non so. So che diventare vegetariano costa un occhio della testa, ma resta un inizio. Solo che di inizi possibili, a livello individuale, non ce ne sono tanti da poterli rifiutare a cuor leggero.
Un altro modo per dire che possiamo scialacquare con una mano ed esigere austerità con l’altra, è dire che pensiamo da vegetariani e viviamo da carnivori. Questo è il motivo per cui in noi l’etica e la tecnica non corrono mai in direzione parallela. Vogliamo essere tanto buoni, come i buoni pastori, ma nello stesso tempo vogliamo vivere bene come i proprietari di allevamenti. Questo dualismo ha come effetto il fatto che tutte le attuali discussioni sull’etica abbiano un retrogusto di falsità.
Quale di queste domande ci da più fastidio? “Soffrono gli animali?” oppure “Con più vegetariani ci sarebbero meno fame e più giustizia nel mondo?”Con la imposizione dei tagli, è come se dicessero che la sofferenza degli “animali umani” non è poi tanto importante, come se l’avere un po’ fame non sia poi un gran male per la nostra salute.
I vegetariani somigliano agli obiettori di coscienza, stancano un po’: quando si siedono alla mia tavola, devo aver fatto uno sforzo al supermercato e in cucina, e dopo, nelle chiacchiere del dopo pranzo, devo pure sentirmi spregevole per non essere vegetariano, sarà per questo. Ramón, stanco di ricevere lezioni, diceva che i vegetariani non accettano che trasfusioni di sangue di barbabietola.
Fonte: Kaos en la red
Traduzione per Comune-info Massimo Angrisano
Porco amore
La letteratura sulla tenace battaglia degli animali umani che rifiutano il pasto dei cadaveri è nota e sterminata. Qui vogliamo limitarci a suggerire a chi, magari non è vegetariano, ma almeno evita di far finta di non vedere la lettura di poche pagine molto intriganti. Vorreste sapere perché è proprio il maiale a scatenare il nostro lato più crudele? Ve lo dice “Porco amore”, lo straordinario capitolo 8 del libro di Gabriela Wiener: “Corpo a corpo”. Storie di giornalismo gonzo. La Nuova Frontiera 2012
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