Il diritto umano all’acqua deve entrare nella legislazione europea. È quanto afferma il Rapporto di Lynn Bolan, europarlamentare del GUE, che stamattina è stato approvato in Commissione Ambiente del Parlamento Europeo: 38 voti a favore, 22 contrari e 6 astenuti hanno sancito il via libera per un provvedimento atteso da anni tra le fila del movimento per l’acqua. Ora si attende il passaggio cruciale: il testo dovrà passare il voto della plenaria di Strasburgo, in data ancora da definire.
La relazione chiede alla Commissione di riportare concretamente nella legislazione comunitaria – rispondendo alla prima iniziativa dei cittadini europei (ECI) – il diritto umano all’acqua, come definito dalle Nazioni Unite nel 2010.
Inoltre, i movimenti invitano a non prendere misure orientate alla privatizzazione di un bene comune attraverso misure di austerità, promuovendo piuttosto più attivamente i partenariati pubblico-pubblico (PUP). Già da tempo questa formula si sta sperimentando in America Latina, e si pone obiettivi slegati da dinamiche di profitto: lo scopo del partenariato, infatti, è la garanzia dell’accesso ai beni comuni e la sedimentazione del concetto di diritto umano all’acqua, considerata bene comune universale.
Infine, la relazione non manca di chiedere l’esclusione esplicita di questa risorsa e dei servizi igienico-sanitari dalle regole del mercato interno e da qualsiasi accordo commerciale.
«L’importanza del voto – analizza Marco Bersani, portavoce del Movimento italiano per l’acqua – risiede nel fatto che esso ha riaperto i giochi sull’ECI presentata a suo tempo dai cittadini europei con 1.700.000 firme e liquidata dalla Commissione Europea con una nota di quattro righe. Ora la partita si è riaperta e il risultato è tutt’altro che scontato».
La ritrosia dell’esecutivo comunitario a tener conto dell’opinione pubblica fa parte di una «filosofia complessiva dell’Unione», secondo Bersani, poiché «pur lasciando libero ogni stato membro di decidere se e cosa privatizzare, sostiene da anni l’ideologia liberista della concorrenza». C’è di più: alcune mosse sullo scacchiere internazionale starebbero ridefinendo il perimetro dell’operatività per le politiche nazionali: anche di quelle sui beni comuni.
«Una grave minaccia per il diritto umano all’acqua risiede nei trattati internazionali di libero scambio, come il CETA, il TTIP e il TISA – descrive il portavoce del Movimento – attraverso i quali l’Unione Europea spinge per la liberalizzazione e privatizzazione»
In Italia l’acqua è di nuovo a rischio privatizzazione
In Italia l’acqua non è buona. E non è buona nemmeno la sorte che l’attende, se si passano sotto la lente di ingrandimento le esplosive norme che il governo Renzi inserisce in decreti legge che hanno a che fare con tutt’altre materie. A soli 4 anni di distanza da un referendum che ha portato alle urne 27 milioni di persone, il destino del bene pubblico per eccellenza sembra portarlo in direzione opposta rispetto agli esiti della consultazione. Lo denuncia Marco Bersani, portavoce del Forum italiano dei movimenti per l’Acqua.
Qual è lo stato di salute, in Italia e nel mondo, delle risorse idriche?
Per quanto riguarda il nostro Paese, occorre dire che l’Italia è ancora molto lontana dagli obiettivi fissati dall’Unione Europea con la direttiva 2000/60 per la buona qualità delle acque.
Ad oggi in Italia lo stato ecologico superiore al “buono” è stato raggiunto solo dal 25% dei corpi idrici superficiali, mentre lo stato chimico buono è stato raggiunto solo dal 18%.
La percentuale dei corpi idrici superficiali che riesce a soddisfare tutti i requisiti è pari solo al 10%”. E le previsioni per il futuro non sono migliori. Il nostro Paese ha comunicato alla Commissione europea che, nel 2015, solo il 29% delle acque di superficie dovrebbe raggiungere lo stato denominato “buono” (o superiore). Per le acque sotterranee, dal 49% del 2009, dovremmo passare al 52,7%, con una prospettiva assolutamente insoddisfacente lontana dagli obiettivi della direttiva, che richiedono che tutti i corpi idrici significativi raggiungano il buono stato di qualità. Senza considerare le molteplici fonti di inquinamento che ancora oggi gravano su fiumi, laghi e falde.
Per quanto riguarda la situazione globale, ancora oggi 1,3 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,5 miliardi non fruiscono di servizi igienico-sanitari. Si tratta dunque di un’emergenza mondiale, come dimostrano le decine di conflitti armati che sono in campo, legati in qualche modo all’utilizzo delle risorse idriche. Senza contare il ruolo del cambiamento climatico che renderà più aspri i medesimi conflitti.
Dopo il referendum del 2011, l’acqua rischia ancora la privatizzazione?
Il referendum non poteva che essere l’avvio di un nuovo scontro, perché i cittadini, con la loro straordinaria partecipazione al voto referendario, hanno di fatto messo in mora le politiche liberiste che volevano il mercato come unico regolatore e i beni comuni come merci da valorizzare.
Solo un mese e mezzo dopo la vittoria referendaria e in coincidenza con lo scoppio della crisi economico-finanziaria in Europa, la Bce ha scritto una lettera all’allora governo Berlusconi, nella quale, al punto 26 si chiedeva cosa avesse intenzione di fare il governo per la privatizzazione degli acquedotti, malgrado il recente esito referendario. La guerra dei poteri forti alla vittoria referendaria è iniziata subito dopo il voto e continua tutt’oggi.
Quali provvedimenti sta portando avanti in merito il governo Renzi?
Contrariamente a governi precedenti, Renzi ha sapientemente evitato un attacco frontale all’esito referendario, preferendo approvare una serie di norme, spesso difficili da interpretare, ma che nel loro combinato disposto vanno a favorire la privatizzazione dell’acqua. Così, troviamo norme che vanno in questa direzione nel decreto “Sblocca Italia”, nella Legge di stabilità e nel disegno di legge “Madia” (ora in discussione) sulla riforma della pubblica amministrazione. Il disegno complessivo è quello di favorire la fusione di tutte le società territoriali che gestiscono il servizio idrico in quattro grandi multiutility collocate in Borsa (A2A per Lombardia, Trentino Alto Adige; IREN per Piemonte, Liguria e una parte di Emilia Romagna; HERA per il resto dell’Emilia Romagna, Veneto e Friuli; ACEA per Toscana, Umbria, Lazio e Campania), rendendo così definitiva la de-territorializzazione della gestione del servizio idrico e la sua trasformazione in servizio economico, finalizzato agli utili.
Quali proposte avanza il Forum dell’acqua per assicurare una gestione sostenibile ed etica di questa preziosa risorsa?
Il Forum italiano dei movimenti dell’acqua propone da sempre la riappropriazione sociale e la gestione territoriale, pubblica e partecipativa del servizio idrico integrato. (1) Perché solo fuori da una gestione di mercato diventa possibile attuare politiche di tutela e di risparmio della risorsa idrica, anche nell’ottica delle future generazioni. E solo con una gestione partecipata dalle comunità locali viene garantito il diritto universale all’acqua e la fruizione di un bene comune indipendentemente dalle risorse economiche delle persone. Per quanto riguarda gli investimenti, il Forum propone da sempre che il carico di questi possa essere suddiviso fra la fiscalità generale, il ricorso a mutui agevolati, modificando l’attuale struttura della Cassa Depositi e Prestiti, e un sistema tariffario che garantisca l’accesso all’acqua e colpisca gli sprechi, anche nei settori agricolo e industriale.
(1) Evidentemente, neppure questo basta a San Giorgio del Sannio dove il diritto all'acqua ed ai servizi igienico-sanitari è continuamente eluso dai sistematici disservizi dell'Alto Calore s.p.a.con la concomitante e colpevole acquiescenza del Comune che pure è parte del consiglio di amministrazione !
Non riusciamo proprio a capacitarci di come sia possibile continuare a tollerare supinamente questa inaudita circostanza legata alla carenza d'acqua, alla quale il comitato ha deciso di rispondere con una manifestazione di massa e con la sospensione del pagamento delle bollette.
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