venerdì 24 luglio 2015

Il governo Renzi si nasconde sui favori a Big Tobacco

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(CARLO DI FOGGIA E DAVIDE VECCHI - il Fatto Quotidiano) - Maria Elena Boschi riesce a scindere i suoi ruoli con una tale capacità che quando indossa i panni da ministro si dimentica degli altri. È già accaduto a dicembre, quando l’esecutivo di cui fa parte ha varato un decreto che interessava la banca popolare guidata dal padre e di cui lei è socia e il fratello dipendente. L’evento si è ripetuto ieri durante la riunione dei capigruppo: ai senatori del Movimento 5 Stelle che chiedevano un intervento del premier in aula per spiegare perché la British American Tobacco (Bat) ha versato 100 mila euro alla sua fondazione e se grazie a questo stanziamento ha ottenuto in cambio agevolazioni normative, il ministro Boschi ha risposto che “la fondazione Open non ha legami con il governo”.
Questione di ruoli, dunque. Perché lei della fondazione è consigliere e dal 23 gennaio 2012 segretario generale, cioè la seconda carica più importante dopo quella di presidente e tesoriere affidata ad Alberto Bianchi, avvocato del premier e nominato nel cda Enel dall’esecutivo. Per dire. La poltrona di segretario generale è talmente rilevante che dal 2007 a oggi Matteo Renzi l’ha affidata solamente a due persone: il fidatissimo fundraiser Marco Carrai e a Boschi. Che è anche ministro.
Prima di diventarlo ha avuto tempo di essere pure un finanziatore della Open con 8.800 euro. Luca Lotti è stato più generoso: 9.600 euro. Anche lui dal gennaio 2012 è entrato nel cda della fondazione – in cui siedono anche Carrai e Bianchi – e dal febbraio 2014, come Boschi, ha varcato Palazzo Chigi con i galloni di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con deleghe all’editoria.
Tra i finanziatori figura poi una buona parte della segreteria del Pd, dal tesoriere Francesco Bonifazi (12.800 euro devoluti alla causa renziana) a Ernesto Carbone (20 mila), al consigliere economico del premier Yoram Gutgeld (4.200) a Ivan Scalfarotto (7.800). Sarà una questione di ruoli quindi. E ieri Boschi era in quello di ministro.
Tutto è partito dalla vicenda rivelata dal Fatto: i 100 mila euro versati dopo il primo luglio 2014 dalla Bat alla fondazione di Renzi nel pieno della “battaglia delle accise”. Al Senato i pentastellati hanno chiesto, in riunione di capigruppo, che il premier riferisca in Parlamento. “È normale che un presidente del Consiglio possa farsi finanziare la propria Fondazione da grandi gruppi direttamente interessati dalle scelte dell’esecutivo?”, attacca il senatore Bruno Marton. L’assegno viene staccato dopo l’incontro tra il premier e il gran capo di Bat, Nicandro Durante. Sono i giorni in cui il governo si appresta a varare il decreto di riordino del settore, atteso da tutti gli operatori, che alza la componente fissa dell’accisa, una misura auspicata dal colosso americano Philip Morris e che avrebbe danneggiato le marche di fascia bassa (di Bat). A luglio, invece, il testo, ultimato, salta più volte all’ultimo giro di boa dal Consiglio dei ministri, e nella versione finale l’incremento è più basso di quello circolato nelle bozze e invocato da Philip Morris: salta la stangata, mentre gli americani ottengono uno sconto del 50% sull’accisa per i nuovi prodotti realizzati nello stabilimento di Crespellano.
La richiesta dei 5Stelle è stata respinta dalla maggioranza, con il voto contrario di Pd e Ncd. La spiegazione viene riferita dalla senatrice Michela Montevecchi in aula. Per la Boschi “non si possono inseguire indiscrezioni di stampa”. Stessa linea dei capigruppo Pd Luigi Zanda e Ncd Renato Schifani. Eppure si parla di un assegno cospicuo, staccato da una multinazionale del tabacco a favore della fondazione del premier nel periodo in cui si sta discutendo il provvedimento più atteso dal settore. “Quanto questi finanziamenti arrivano a condizionare queste scelte? Sono domande legittime”, attacca Marton.
Nulla da fare. L’informativa è stata respinta.
Il versamento della Bat campeggia nel sito della Fondazione Open alla voce trasparenza. Il tesoriere Alberto Bianchi ieri ha confermato al Fatto di aver reso noto i nomi di tutti i finanziatori che hanno firmato la liberatoria. Sono ancora una piccola parte rispetto alla cifra complessiva raccolta: 1,2 milioni nel 2014, circa 5 dal 2007. 
Ma tant’è. Nell’elenco, oltre ai nomi già pubblicati, figurano, tra le altre, due fiduciarie: Sant’Andrea della Deutsche Bank (25 mila euro) e la Simon della famiglia Grande Stevens, il gigante che gestisce un patrimonio di 4,5 miliardi ha versato 20 mila euro. 
Il colosso della sanità privata Garofalo, 25 mila euro.

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