"Nell'instabile realtà del Medio Oriente, siamo in prima linea per
mantenere la superiorità tecnologica e militare di Israele". Sembra una
pubblicità dell'esercito: è il biglietto da visita dell'università di
Tel Aviv.
In cui chi si arruola in giurisprudenza impara il diritto
internazionale dal colonnello Sharvit-Baruch, consigliere giuridico
delle forze armate durante l'Operazione Piombo Fuso - l'acrobata
dell'interpretazione che ha autorizzato la decisione di mirare ai
civili.
Mi astengo, dunque partecipo.
Svezzati ormai all'inazione internazionale, cinque anni fa, nel primo
anniversario del parere della Corte di Giustizia delle Nazioni Unite
sull'illegalità del Muro, i palestinesi hanno raccolto le
raccomandazioni conclusive dei giudici, e lanciato autonomi una campagna
per il boicottaggio di Israele - nella convinzione che come per il
Sudafrica dell'apartheid, l'unico freno sia imporre un costo economico e
politico all'occupazione. L'ambizione del boicottaggio accademico, in
particolare, l'astensione cioè dalla cooperazione con università
israeliane, è incrinare la normalizzazione di un'occupazione che sempre
più sbiadisce in abitudine e paesaggio. "Non mi è possibile venire e
parlare di filosofia, così", ha spiegato Judith Butler declinando
l'invito a un convegno, "come se l'iniziativa non avvenisse sullo sfondo
dell'assedio di Gaza, di quel contesto tacito e violento che è oggi la
vita ordinaria di Israele. Affermare lo status quo significa affermare
l'occupazione. Non mi è possibile lasciare un momento da parte la
povertà, la malnutrizione, le restrizioni alla libertà di movimento le
incursioni, e parlare d'altro. Chi accetta di parlare d'altro
contribuisce alla produzione di un discorso pubblico limitato, che ha
per suo obiettivo la rimozione, e dunque la continuazione,
dell'oppressione". L'appello al boicottaggio si basa infatti sulla
percezione, e la condanna, dell'indifferenza della larga maggioranza
degli intellettuali israeliani nei confronti dell'occupazione - una
neutralità che non è che invece sostegno al più forte. Ma non è solo
questione di silenzio e negazione. In realtà, dall'arsenale delle
giustificazioni ideologiche alla collaborazione diretta con l'apparato
militare, "il boicottaggio ha raggiunto l'università perché l'università
ha scelto di essere ufficiale e nazionale", ha scritto Ilan Pappé. Uno
che del boicottaggio, e non solo accademico, è tra i promotori perché
testimone diretto della sua efficacia, quando ancora era professore a
Haifa: tra minacce anonime e poliziotti chiamati a impedire i suoi
seminari sul 1948, è stato costretto a trasferirsi in Inghilterra.
Contiguità e complicità. L'accusa più diffusa, per
il boicottaggio accademico, è di essere in realtà controproducente:
colpire quel segmento del paese più sensibile alle ragioni dei
palestinesi. Un segmento che però, dall'analisi di Uri Yacobi Keller,
non sembra propriamente quello a cui affidare tentativi di pace. Il
Technion di Haifa per esempio, consapevole che sempre meno israeliani
hanno voglia di combattere, e soprattutto morire, nei Territori, ha
prontamente progettato ruspe telecomandate per la demolizione di case e
olivi, e equipaggiato di intelligenza artificiale aerei privi di pilota.
E il sostegno all'occupazione non è solo, esplicita, la ricerca a libro
paga delle forze armate: è anche, e largo e vario, il trattamento
preferenziale per gli studenti impegnati nell'esercito, perché
riservisti o perché militari di carriera: borse di studio, quote
riservate nelle facoltà a numero chiuso, addestramenti convertibili in
crediti, lezioni e appelli supplementari - la Ben Gurion di Beersheva,
in cui gli ufficiali dell'aeronautica si laureano in un anno invece che
tre, ha premiato con trentacinque euro al giorno gli assenti per Piombo
Fuso. Una miriade di benefici che si ribaltano inevitabili, tra l'altro,
nella discriminazione di quanti non vogliono o non possono servire
nell'esercito: gli obiettori di coscienza, ma soprattutto i cittadini
arabi di Israele - che per questo, per esempio, non sono ammessi nei
dormitori dell'università di Haifa. Nonostante l'eguaglianza formale,
gli studenti arabi sono progressivamente falciati via da un setaccio di
ostacoli sociali e culturali restituito alla luce da statistiche
inequivoche: sono oltre il 20 percento della popolazione: ma poi solo il
10 percento delle lauree, il 5 percento dei master, il 3 percento dei
dottorati - l'1 percento dei professori. E dalla contiguità si scivola
rapidi in complicità. Con un contributo fisico, mattone a mattone,
all'occupazione, quando la Bar Ilan di Tel Aviv inaugura una sede
distaccata nell'insediamento di Ariel "per fortificare i futuri confini
di Israele" - ma anche, e più sottile, neurone a neurone, con un
contributo intellettuale e morale: Arnon Sofer, cattedra di geostrategia
a Haifa, studia l'ebraicizzazione della Galilea come altrove si studia
la riforestazione dell'Amazzonia. Cementando così, e nella più totale
impunità, denuncia Omar Barghouti, quella cultura del razzismo e della
disumanizzazione, del disconoscimento dell'Altro che è il Muro più
invisibile e insidioso, ormai, alla cui ombra sono confinati i
palestinesi.
Laurearsi criminali. L'icona di questa mobilitazione
e coscrizione delle istituzioni civili è l'università di Tel Aviv, i
cui programmi di ricerca sono spesso organici alle priorità di sicurezza
stabilite dagli apparati militari. Costruita sulla Pompei di Sheikh
Muwanis, villaggio arabo divelto nel 1948, l'università di Tel Aviv
ospita l'Institute for National Security Studies, il principale think
tank strategico di Israele: un centro di ricerca in borghese, e
impegnato invece, e sistematico, in quella che definisce "la
ristrutturazione delle forze armate a fronte di un conflitto ormai
asimmetrico e non convenzionale". I programmi di ricerca commissionati e
finanziati direttamente dall'esercito sono oltre cinquanta, dagli
esplosivi e tecniche di classificazione biometrica e genomica, a cui si
dedica la facoltà di chimica, alle tecniche di intercettazione e
videosorveglianza affinate nella facoltà di ingegneria. Ed è nelle sue
aule, in particolare, tra libri di diritto internazionale mai neppure
sfogliati, che è stata elaborata la Dottrina Dahiya denunciata dal
Rapporto Goldstone - la teoria dell'attacco intenzionalmente
indiscriminato come sola opzione realistica contro il terrorismo.
"Avremmo dovuto progettare una guerra tra Israele e il Libano, non tra
Israele e Hezbollah", si pentiva una rivista dell'università, numero di
novembre del 2008, in un articolo intitolato Forza sproporzionata: il
concetto di risposta di Israele alla luce della seconda guerra del
Libano: "le sofferenze di centinaia di migliaia di persone sono capaci
di influenzare chi è al potere più di ogni altra cosa". Non è
sufficiente limitarsi agli obiettivi militari, dunque, ma al contrario -
è inutile braccare i lanciatori di razzi, uno a uno: è necessario
colpire con violenza l'intera popolazione, costringere a lunghi e
costosi processi di ricostruzione, perché sia la stessa popolazione,
esausta e affamata, a isolare i movimenti islamici. Il laboratorio
dell'università di Tel Aviv, al confine con l'Egitto, dispone oggi di
oltre un milione e mezzo di cavie.
Sapere è resistere. La fiducia nell'efficacia del
boicottaggio accademico si àncora alla consapevolezza che l'economia
israeliana è un'economia della conoscenza, esportatrice di tecnologia -
un'economia terza dietro Stati Uniti e Cina per numero di imprese
quotate al Nasdaq, in un paese piccolo quanto la Toscana. Diversa invece
la motivazione alla base della campagna per il diritto allo studio
promossa in Italia da Danilo Zolo, con l'obiettivo di intensificare le
relazioni tra le nostre università e i Territori Occupati. Perché le
università palestinesi hanno un ruolo non solo culturale, ma anche
sociale e politico: sono da sempre "arene per il pensiero critico e la
perizia tecnica", nella sintesi del rettore della Birzeit di Ramallah:
l'energia motrice della costruzione del futuro stato indipendente e
sovrano - e soprattutto oggi, con una Autorità Palestinese intrappolata
dalle norme di Oslo a governare senza neppure mappe aggiornate: i loro
centri di ricerca sono una risorsa insostituibile per l'analisi, il
monitoraggio, la programmazione dell'intervento pubblico. E questo ruolo
di state-building è integrato da un ruolo, non meno essenziale, di
nation-keeping. Per contrastare quello che è il disegno di fondo di
Israele: il de-sviluppo, secondo la formula di Sara Roy, l'atomizzazione
della società palestinese in una aggregazione di individui malleabile
allo sfruttamento e alla subordinazione - la cosiddetta pace economica. E
studiare, allora, curare e coltivare la propria identità collettiva,
diventa la prima forma di resistenza. Non a caso Birzeit è stata chiusa
già negli anni Settanta: molto prima che l'Intifada offrisse agli
israeliani il pretesto della sicurezza per sigillare anche gli asili - e
qualificare come reato il semplice possesso di libri. Dopo Oslo,
l'assalto al diritto allo studio ha solo cambiato natura: ancora
incursioni e proiettili, naturalmente, ancora soldati a sbarrare
l'ingresso, e sullo sfondo precario di una sopravvivenza per molti
aggrappata ormai agli aiuti umanitari: ma soprattutto, le restrizioni
alla libertà di movimento. Perché se a Gaza è vietata persino
l'importazione di inchiostro, e si spara alle navi cariche di pacifisti e
quaderni, nella West Bank le università rischiano di asfissiarsi in
istituzioni locali. Formalmente, ci si laurea comunque: ma l'isolamento
sgretola l'unica trincea possibile contro quello che è per Danilo Zolo
l'etnocidio in corso - la progressiva erosione dell'identità storica,
culturale, sociale dei palestinesi: della loro identità unitaria di
popolo.
Boicottare chi boicotta. Secondo Alan Dershowitz, il
boicottaggio accademico è un inammissibile attacco alla libertà di
parola, che è insieme libertà di esprimersi e libertà di essere
ascoltati. E ricorda pericolosamente il boicottaggio degli ebrei
precipitato passo a passo in Olocausto: è infatti un boicottaggio
selettivo, osserva, invocato solo nei confronti di Israele, tra i mille
altri paesi responsabili di violazioni dei diritti umani - è una forma
di antisemitismo. In effetti, l'ultima illustre vittima è stato l'ebreo
Noam Chomsky, respinto alla frontiera da quella che è stata definita
"una polizia del pensiero". "Il governo non apprezza quello che lei
dice", si è sentito spiegare. Alla frontiera di Israele.
Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri / ma: perché i loro poeti hanno taciuto?Bertolt Brecht
I documenti citati, alla base della Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Bycott of Israel e della Campagna per il Diritto allo Studio del Popolo Palestinese, sono ora raccolti in "Pianificare l'oppressione. Le complicità dell'accademia israeliana",
a cura di Enrico Bartolomei, Nicola Perugini e Carlo Tagliacozzo, Edizioni SEB 27
PeaceReporter, Francesca Borri
Il libro "Pianificare l'oppressione, uscito quattro anni fa ma ancora attualissimo, nasce dall’esigenza di documentare all’interno del contesto accademico italiano i profondi collegamenti esistenti tra le università e il complesso sistema militare, di sicurezza e di oppressione israeliani, con uno sguardo molto attento alle università stesse come luogo di produzioni di ingiustizie nei confronti del popolo palestinese.
I contributi raccolti forniscono, da un lato, una riflessione sull’articolato sistema di occupazione, colonialismo e apartheid israeliano, e una panoramica storica degli effetti di questo sistema sull’istruzione palestinese; dall’altro, essi mostrano il ruolo decisivo che l’accademia israeliana ricopre nel fornire gli apparati ideologici e tecnologico-scientifici indispensabili per la perpetrazione delle decennali violazioni del diritto internazionale e dei fondamentali diritti del popolo palestinese.
La pubblicazione nasce sotto il patrocinio del PACBI (The Palestinian Campaign for Academic and Cultural Boycott of Israel) e vuole essere uno strumento il più possibile scientifico e di documentazione, a cui possa attingere ogni persona che intenda avviare un discorso sul boicottaggio dell’accademia israeliana, o sulla denuncia delle violazioni del diritto all’istruzione superiore e universitaria palestinese, o sulla moratoria delle relazioni tra università italiane e israeliane, a seconda del grado di sensibilità, delle convinzioni e del contesto nel quale ciascuno si trova a operare.
Fondatrice e coordinatrice: Rosanna Carpentieri "Non esiste libertà senza verità. Chi è a conoscenza di una menzogna e non fa nulla per rivelarla, diventa complice della menzogna stessa. Non possiamo più restare a guardare !" (R.Carpentieri) Per una San Giorgio LIBERA dalla criptomafia:del camaleontico padrino politico, dal mercante negriero, della cupola mafioclientelare...
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