sabato 1 febbraio 2014

Con il cd. impeachment di Napolitano si profila la fine del Movimento 5 stelle

Da Polis Blog
TESTO DELL' IMPEACHMENT depositato dal MoVimento 5 Stelle al Senato, contenente l’atto d’accusa al Presidente Napolitano.

Il Presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano, nell’esercizio delle sue funzioni, ha violato - sotto il profilo oggettivo e soggettivo, e con modalità formali ed informali - i valori, i principi e le supreme norme della Costituzione repubblicana. Il compimento e l’omissione di atti e di fatti idonei ad impedire e a turbare l’attività degli organi costituzionali, imputabili ed ascrivibili all’operato del Presidente della Repubblica in carica, ha determinato una modifica sostanziale della forma di stato e di governo della Repubblica italiana, delineata nella Carta costituzionale vigente. Si rilevano segnatamente, a seguire, i principali atti e fatti volti a configurare il reato di attentato alla Costituzione, di cui all’articolo 90 Cost.
1. Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d’urgenza 
La nostra Carta costituzionale disegna una forma di governo parlamentare che si sostanzia in un saldo rapporto tra Camere rappresentative e Governo. La prevaricazione governativa assoluta, caratterizzata da decretazione d’urgenza, fiducie parlamentari e maxiememendamenti configura, piuttosto, un ordinamento altro e diverso che non conosce più il principio supremo della separazione dei poteri. Il predominio legislativo da parte del Governo, attraverso decreti legge, promulgati dal Presidente della Repubblica, viola palesemente sia gli articoli 70 e 77 della Costituzione, sia le norme di primaria rilevanza ordinamentale (quale la Legge n. 400 del 1988), sia numerose sentenze della Corte costituzionale (tra tutte: sentenza n. 29 del 1995, n. 22 del 2012 e n. 220 del 2013). Ma al di là del pur impressionante aspetto quantitativo che, comunque, sotto il profilo del rapporto costituzionale tra Parlamento e Governo assume fortissima rilevanza, è necessario rimarcare, parallelamente, una preoccupante espansione della loro portata, insita nei contenuti normativi e, soprattutto, nella loro eterogeneità.
Aspetto ulteriormente grave è la reiterazione, attraverso decreto- legge, di norme contenute in altro decreto-legge, non convertito in legge. La promulgazione, da parte del Presidente della Repubblica, di simili provvedimenti è risultata in palese contrasto con la nota sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1996, che ha rilevato come «il decreto- legge reiterato - per il fatto di riprodurre (nel suo complesso o in singole disposizioni), il contenuto di un decreto-legge non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali - lede la previsione costituzionale sotto più profili».
La forma di governo parlamentare, alla luce dell’attività normativa del Governo, pienamente avallata dalla connessa promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, si è sostanzialmente trasformata in «presidenziale» o «direttoriale», in cui il ruolo costituzionale del Parlamento è annientato in nome dell’attività normativa derivante dal combinato Governo-Presidenza della Repubblica.
2. Riforma della Costituzione e del sistema elettorale
Il Presidente della Repubblica ha formalmente e informalmente incalzato e sollecitato il Parlamento all’approvazione di un disegno di legge costituzionale volto a configurare una procedura straordinaria e derogatoria del Testo fondamentale, sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello degli organi deputati a modificare la Costituzione repubblicana.
In particolare, il disegno di legge costituzionale governativo presentato alle Camere il 10 giugno 2013, sulla base dell’autorizzazione da parte del Capo dello Stato, istituiva una procedura di revisione costituzionale in esplicita antitesi sia rispetto all’art. 138 Cost., sia rispetto all’art. 72, quarto comma, della Costituzione che dispone: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale».
Il Capo dello Stato ha, dunque, promosso l’approvazione di una legge costituzionale derogatoria, tra le altre, della norma di chiusura della Costituzione - ovvero l’art. 138 Cost. - minando uno dei principi cardine del nostro ordinamento costituzionale: la sua rigidità. Egli ha tentato di trasformare la nostra Carta in una Costituzione di tipo flessibile. Flessibilità che, transitivamente, si sarebbe potuta ritenere espandibile, direttamente ed indirettamente, alla Prima Parte della Costituzione repubblicana, in cui sono sanciti i principi fondamentali della convivenza civile del nostro ordinamento democratico.
Il Presidente della Repubblica ha, inoltre, in data 24 ottobre 2013, nel corso dell’esame parlamentare riferito alla riforma della legge elettorale, impropriamente convocato alcuni soggetti, umiliando istituzionalmente il luogo naturalmente deputato alla formazione delle leggi. Si tratta, segnatamente, del Ministro per le Riforme Costituzionali, del Ministro per i Rapporti con il Parlamento e Coordinamento delle Attività di Governo, dei Presidenti dei Gruppi Parlamentari “Partito Democratico”, “Popolo della Libertà” e “Scelta Civica per l’Italia” del Senato della Repubblica, e del Presidente della Commissione Permanente Affari Costituzionali del Senato.
3. Mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale
Il Presidente della Repubblica, recita l’articolo 74 della Costituzione, prima di promulgare un progetto approvato dalle due Camere, può rinviarlo al mittente, chiedendo una nuova deliberazione. Il rinvio presidenziale costituisce una funzione di controllo preventivo, posto a garanzia della complessiva coerenza del sistema costituzionale.
Spiccano, con evidenza, alcuni mancati e doverosi interventi di rinvio presidenziale, connessi a norme viziate da incostituzionalità manifesta.
Possono, in particolare, evidenziarsi sia con riferimento alla legge n. 124 del 2008 (c.d. «Lodo Alfano»), sia con riguardo alla legge n. 51 del 2010 (c.d. «Legittimo impedimento»). Nel primo caso, le violazioni di carattere costituzionale commesse ad opera della Presidenza della Repubblica sono risultate duplici, stante sia l’autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di legge governativo, sia la sua relativa promulgazione; norma, questa, dichiarata integralmente incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 262 del 2009. Nel secondo caso, la legge promulgata è stata dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 23 del 2011 ed integralmente abrogata con referendum popolare del giugno 2011.
4. Seconda elezione del Presidente della Repubblica
Ai sensi dell’articolo 85, primo comma, della Costituzione «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni». É, dunque, evidente che il testo costituzionale non contempla la possibilità dello svolgimento del doppio mandato da parte del Capo dello Stato.
A tal riguardo, il Presidente Ciampi ebbe a dichiarare che: «Il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».
In definitiva, anche in occasione della sua rielezione, il Presidente della Repubblica - accettando il nuovo e doppio incarico - ha violato la forma e la sostanza del testo costituzionale, connesso ai suoi principi fondamentali.
5. Improprio esercizio del potere di grazia
L’articolo 87 della Costituzione assegna al Presidente della Repubblica la possibilità di concedere la grazia e di commutare le pene. La Corte costituzionale ha sancito, a tal riguardo, con sentenza n. 200 del 2006, che tale istituto trova supporto costituzionale esclusivamente al fine di «mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio per eccezionali ragioni umanitarie».
Viceversa, in data 21 dicembre 2012, il Capo dello Stato ha firmato il decreto con cui è stata concessa al direttore del quotidiano “Il Giornale”, dott. Sallusti, la commutazione della pena detentiva ancora da espiare nella corrispondente pena pecuniaria. A sostegno di tale provvedimento presidenziale, il Quirinale ha «valutato che la volontà politica bipartisan espressa in disegni di legge e sostenuta dal governo, non si è ancora tradotta in norme legislative».
Analogamente, il Presidente della Repubblica, in data 5 aprile 2013 ha concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano, in relazione alla condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010. La Presidenza della Repubblica ha reso noto che, nel caso concreto, «l’esercizio del potere di clemenza ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico».
Con nota del 13 agosto 2013, inoltre, il Presidente della Repubblica ha impropriamente indicato le modalità dell’esercizio del potere di grazia, con riferimento alla condanna definitiva del dottor Berlusconi, a seguito di sentenza penale irrevocabile relativa a gravissimi reati.
Dunque, anche con riguardo agli istituti di clemenza, il potere nelle mani del Capo dello Stato ha subito una palese distorsione, ai fini risolutivi di controversie relative alla politica estera ed interna del Paese.
6. Rapporto con la magistratura: Processo Stato - mafia
Anche nell’ambito dei rapporti con l’ordine giudiziario i comportamenti commissivi del Presidente della Repubblica si sono contraddistinti per manifeste violazioni di principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, con riferimento all’autonomia e all’indipendenza della magistratura da ogni altro potere statuale. La Presidenza della Repubblica, attraverso il suo Segretario generale, in data 4 aprile 2012, ha inviato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione una lettera nella quale si chiedevano chiarimenti sulla configurabilità penale della condotta di taluni esponenti politici coinvolti nell’indagine concernente la trattativa Stato-mafia e, addirittura, segnalando l’opportunità di raggiungere una visione giuridicamente univoca tra le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta. Inoltre, il Presidente della Repubblica ha sollevato Conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo, in merito ad alcune intercettazioni telefoniche indirette riguardanti lo stesso Capo dello Stato. Tale iniziativa presidenziale, fortemente stigmatizzata anche da un presidente emerito della Corte costituzionale, ha mostrato un grave atteggiamento intimidatorio nei confronti della magistratura, oltretutto nell’ambito di un delicatissimo procedimento penale concernente la presunta trattativa tra le istituzioni statali e la criminalità organizzata. Sempre con riferimento al suddetto procedimento penale, il Presidente della Repubblica ha inviato al Presidente della Corte di Assise di Palermo una missiva, al fine di sottrarsi alla prova testimoniale. In particolare egli ha auspicato che la Corte potesse valutare «nel corso del dibattimento a norma dell’art. 495, comma 4, c.p.p. il reale contributo che le mie dichiarazioni, sulle circostanze in relazione alle quali è stata ammessa la testimonianza, potrebbero effettivamente arrecare all’accertamento processuale in corso».
Il Presidente della Repubblica in carica non sta svolgendo, dunque, il suo mandato, in armonia con i compiti e le funzioni assegnatigli dalla Costituzione e rinvenibili nei suoi supremi principi. Gli atti e i fatti summenzionati svelano la commissione di comportamenti sanzionabili, di natura dolosa, attraverso cui il Capo dello Stato ha non solo abusato dei suoi poteri e violato i suoi doveri ma, nei fatti, ha radicalmente alterato il sistema costituzionale repubblicano.
Pertanto, ai sensi della Legge 5 giugno 1989, n. 219, è quanto mai opportuna la presente denuncia, volta alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per il reato di attentato alla Costituzione.
(in aggiornamento)
Commento:
La doppia escalation della virulenta pratica parlamentare dell'ostruzionismo, sommata alla presentazione della Messa in Stato d'Accusa contro Giorgio Napolitano, segnano la fine del Movimento 5 Stelle come lo avevamo conosciuto. Già, perché il M5S doveva riportare la politica alla dimensione collettiva della partecipazione e pertanto rimettere al centro i problemi del vivere comune: l'ambiente, la gestione del suolo, la lotta alla criminalità organizzata, i beni pubblici, l'acqua, le fonti energetiche, e via discorrendo. 
Ora troviamo un gruppo di parlamentari che ogni santo giorno di questa XVII Legislatura combatte una guerra verbale e finanche fisica, una guerra di parole fuori posto, esagerate e offensive, che hanno sì l'effetto di bucare il sistema comunicativo e di farlo impazzire guadagnando una visibilità sconosciuta, ma anche quello di svilire pesantemente la propria iniziativa politica.
In questo contesto, il documento della Messa in Stato d'Accusa di Napolitano segna il discrimine fra razionalità e irrazionalità del Movimento. E' il documento con il quale i 5 Stelle dimostrano di aver perso di vista il mondo reale e si fanno controparte di una classe politica impedita a vedere oltre la siepe delle battaglie di Palazzo. 
Le accuse contro Napolitano hanno il difetto di essere inconsistenti, a tratti errate, poggianti su mere considerazioni o, peggio, su ricostruzioni giornalistiche non verificabili. La lettura del documento vi lascerà esterrefatti, tante sono le inesattezze e le forzature. E sarete permeati dall'idea che esso sia stato presentato al solo fine di giustificare i prodotti della comunicazione politica, vale a dire i filmati esplicativi molto aggressivi e i post del blog, studiati con l'intenzione di narrare il sospetto, il complotto. Il documento non vale nulla (o quasi), eppure diventa una arma formidabile nella produzione del consenso verso il Movimento 5 Stelle. Napolitano è al secondo mandato presidenziale, fatto quantomeno irrituale nel nostro ordinamento. Lo abbiamo scritto anche su questo blog. Ma Napolitano ha operato in una certa fase della politica italiana, quella dei giorni delle dimissioni di Berlusconi e del rischio di commissariamento da parte di Bruxelles. Gli si potrà rimproverare tutto, da un punto di vista politico. L'operazione dei 5 Stelle tenta di trasformare un giudizio politico in giudizio tecnico-costituzionale: un rischio, tanto più che il dibattimento avverrà in Parlamento, laddove i 5 Stelle sono una minoranza auto-balcanizzatasi, isolata nel proprio circuito di autoreferenzialità.
Le accuse. Analizziamo qui di seguito alcuni dei capi d'accusa sollevati contro il Presidente.
1. Espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d’urgenza: i 5 Stelle accusano il Presidente Napolitano di aver favorito questa deriva. Va da sé che il Capo dello Stato non ha potere di influenzare questa tendenza (il potere di rinvio è limitato): ma Napolitano si è più volte espresso con messaggi contro l'abuso della decretazione d'urgenza, come lo scorso Agosto 2012 quando, durante la discussione del decreto sulla Spending Review, scrisse al governo Monti ricordando che "il costante ricorso alla decretazione d'urgenza e alla posizione di questioni di fiducia è prassi non ammessa dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che definisce questa evenienza come un uso improprio, da parte del Parlamento" (infooggi.it). Non è quindi razionale accusare Napolitano di una prassi adottata dal Parlamento, specie quando la medesima prassi è stata più volte denunciata da lui stesso.
3. Mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale: per sostenere questa accusa, il perimetro dei provvedimenti analizzati è ristretto ad alcuni atti dei governi Berlusconi dichiarati poi incostituzionali, totalmente o parzialmente, dalla Corte Costituzionale. Napolitano avrebbe la colpa grave di aver promulgato leggi incostituzionali. Ma i 5 Stelle qui confondono quello che Stefano Ceccanti chiama 'controllo preventivo e astratto', proprio perché agisce quando la legge non è ancora applicata e quindi ancora non esiste alcune fattispecie concreta che possa mettere in luce l'incostituzionalità. Fra l'altro, il potere di rinvio non si configura come un vero e proprio controllo preventivo, dal momento che il Capo dello Stato non può sollevare la pregiudiziale in seno alla Consulta, ma può solamente rinviare il provvedimento alle Camere con un messaggio di motivazione, e per giunta respingendolo una sola volta. Tuttavia, nel corso del suo primo mandato, Napolitano ha esercitato questo potere in talune circostanze, fra le quali figura il rinvio alle Camere del Decreto Milleproroghe, nel Febbraio 2011, poiché le norme che introduceva "per la loro ampiezza e eterogeneità" si ponevano "in contrasto con la Costituzione". Quindi Napolitano agiva contro un decreto omnibus, proprio ciò che oggi i 5 Stelle indicano come capo d'accusa contro lo stesso Presidente.
2. Riforme della Costituzione e della legge elettorale: qui si accusa il Presidente di aver "incalzato e sollecitato" il Parlamento all'approvazione della riforma dell'articolo 138. Come ben saprete, la riforma del 138 è naufragata con le Larghe-Larghe intese, ed era forse ben chiaro a tutti i parlamentari che la medesima non sarebbe mai stata approvata. Non solo, ma come abbiamo più volte scritto su questo blog, la surreale riforma del 138 prevedeva l'istituzione del Comitato dei Quaranta che a sua volta avrebbe dovuto seguire una speciale procedura per l'approvazione di altre ulteriori imprecisate riforme costituzionali, tutte egualmente sottoponibili a referendum popolari. Curioso che il potere prevaricante di Napolitano abbia prodotto questo (cioè il nulla). Secondo i 5 Stelle, il Napolitano Presidenzialista - come giustamente rileva Stefano Ceccanti - sarebbe colpevole di una riforma che non è mai stata approvata. Paradossale, non è vero?
Tralascio la questione delle intromissioni nelle indagini correlate al processo sulla Trattativa Stato-mafia, sul quale vi è una pronuncia della Consulta che ha dato ragione a Napolitano (sentenza n. 1/2013); sul potere di attribuire la grazia posso aggiungere che il Presidente, in tale decisione, può essere motivato anche da ragioni politiche:
Il Legislatore, predisponendo il testo del Codice di procedura penale del 1988 ha regolato all’art. 681 i provvedimenti relativi alla grazia, rammentando che essa “assolve una funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge, ma ha anche, e sempre più, il ruolo di strumento di risocializzazione alla luce dei risultati del trattamento rieducativo” (cfr relazione al progetto preliminare), pur non senza dimenticare “le altre e diverse funzioni, di rilievo anche politico”, proprie dell’istituto (cfr. relazione al progetto definitivo) -  di Roberto QuintavalleCassazione Penale, Anno XLI Fasc 11 - 2001.
Di fatto, tali erano le decisioni nei casi citati, vale a dire la clemenza verso il giornalista Sallusti e quella erogata a Joseph L. Romano, colonnello USA, che ai tempi della extraordinary rendition contro Abu Omar, nel 2003, era responsabile statunitense della sicurezza della base di Aviano, dove sostò l’aereo che portò l’ex imam in Germania e da lì in Egitto. Entrambi i provvedimenti di clemenza sono motivati da ragioni di opportunità politica, specie il secondo caso, in grado - in potenza - di far esplodere una crisi diplomatica con gli USA.
In ultima analisi, è curioso che, a parte il caso citato della riforma del 138 (la rielezione non è un atto del Presidente), tutti gli altri atti contestati risalgono al precedente settennato. Va da sé che, se Napolitano non fosse stato rieletto, tali accuse non sarebbero mai state formulate né formalizzate. Aspetto già sufficiente a capire la natura artificiosa di codesta operazione.
Davide Sera

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